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Il baseball sul grande schermo - n° 15

di Michele Dodde

15^ parte

Le altre puntate: 

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Dal 2001 al 2010 il grande schermo del cinema fa annoverare ben 68 produzioni tra film, documentari e TV movie. In questo periodo viene prodotto in Giappone “Jigoku Koshienè” o “Battlefield Baseball” con la regia dell’esordiente Yudai Yamaguchi. Tratto dall’omonimo Manga di Gataro Man il film, che dovrebbe presentare lo stile ricercato di una finale studentesca nel mitico stadio Koshien, cade invece nell’orrido e nell’assurdo che solo malate menti possono giustificare. Da censurare dunque con forte vigore e da cancellare da questo elenco così come “Deddoboru” (2011) di Yudai Yamaguchi su sceneggiatura dell’inqualificabile Keita Tokaji. 

Al confronto invece è da vedere e rivedere “ Kokoyakyu High Shool Baseball” documentario del 2006 diretto da Kenneth Eng sulla preparazione di due squadre di liceo a quell’evento “religioso” che dal 1915 è il Japan Koshien Tournament e lo splendido “Glove” (2011) scritto da Kim Ki-Beom e magistralmente diretto da Woo-Suk Kang ove si evidenzia, nella preparazione di una giovane squadra di liceo, il duro allenamento amalgamato sulla filosofia del Samurai.

 

Sotto: "Kokoyakyu High Shool Baseball"

 

 

 

Sotto: Glove

Alla normalità si ritorna con il trittico prodotto, diretto ed interpretato da Roger Lim : “AmerAsian” (2009),Grande American Dream” (2013) e “Young Again” (2015). Inizialmente autobiografico, il trittico ripropone tematiche confuse e desuete e comunque da vedere al posto di una deludente partita di calcio. 

Lasciando ora il mondo del baseball giapponese, si cresce di valore ontologico con lo statunitense “61” (2001), film drammatico scritto da Hank Steinberg e diretto da Billy Crystal con Berry Pepper e Thomas Jane ad interpretare rispettivamente Roger Maris e Mickey Mantle sul loro tentativo di battere il record di Babe Ruth del 1927 con il 61° fuoricampo.

 

Ancora il mieloso e fortemente romantico a lieto fine che è  “The Pitcher” (2003)  o meglio come sottotitolo “The Road Home” con Drew Johnson e Corinna Harney. Si prosegue con la favola “Slow Moe”  (2010) che va alla ricerca di un amuleto, in questo caso un paio di occhiali, per diventare improvvisamente un grande nel gioco. Questa garbata fantasia è stata assecondata da Tim Nelson in regia e David Massar nella sceneggiatura. Poi il sufficiente “Big Guns” (2006), scritto e diretto da John Rester Zodrow, che si cita esclusivamente perché presenta in modo arguto il mondo amatoriale maschile del Softball. 

 

Il lungo elenco poi annovera l’intrigante “The Yankles” (2009), che prende ispirazione da “The Chosen” del 1982,  ed è una garbata rappresentazione dell’approccio al baseball da parte di giovani universitari ebrei ortodossi yeshiva con tutti i loro pregiudizi teologici. Racconto scritto e poi diretto da David R. Brooks con un convincente cast tra cui il bravo Brian Wimmer.

Consideriamo poi l’irriverente “Fever Pitch” (2005) presentato in Italia come “l’Amore in Gioco”, diretto dai fratelli Peter e Bobby Farrelly. In effetti ed in sintesi il film non è altro che un copia ed incolla remake del film “Febbre a 90” del 1997. Lì però c’era Londra con il calcio e l’Arsenal, qui c’è Boston con il baseball ed i Red Sox. Denigrando la scelta di mischiare il diavolo con l’acqua santa, Fever Pitch è comunque un piacevole intrattenimento per quasi due ore grazie a buone riprese del gioco.

 

Si segnala successivamente il simpatico “Up for Grabs” (2004) documentario prodotto e diretto da Michael Wranovics che tratteggia le comiche vicissitudini di due appassionati di baseball che lottano per contendersi la pallina del 73esimo home run di Barry Bonds in finale della stagione MLB 2001.

 

Da evidenziare il canadese “Un ètè sans point ni coup sur” (2008) dal titolo lunghissimo diretto da Francis Leclerc e basato sull’omonimo libro di Marc Robitaille. Trattasi del difficile ed incomprensibile, come sempre,  rapporto tra il volere del padre e la passione del figlio che tuttavia alla fine realizza il suo desiderio proprio nella franchigia degli Expos trasferitesi in quel di Montreal.

 

Infine il veritiero “Perfect Game” (2009) che non è altro se non la storia vera e documentata di un gruppo di ragazzi messicani di Monterrey che sono passati nel libro dei ricordi quale prima squadra non statunitense a vincere il titolo mondiale della  Little League. 

 

segue

 

Articolo pubblicato il 18/04/2015

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