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Il baseball sul grande schermo - n° 12

di Michele Dodde

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Il periodo 1981 - 1990 è da considerare, per il baseball, quello di maggior interesse per la qualità dei film prodotti e per le trame di particolare intensità oltre alle prime sceneggiate televisive che, protratte nel tempo, avevano la possibilità di scandire meglio aneddoti e sfumature. Si contano ben 25  film ma quattro tra essi furono autentici capolavori ad ampio respiro e che nella classifica dei migliori di tutti i tempi occupano posti di rilievo. Si tratta di “The Natural” (!984), di “Bull Durham” (1988), di “Eigth Men Out” (1988), di “Field of Dreams” (1989). 

Il primo, in Italia veicolato come “Il Migliore”, è quello che nell’immaginario collettivo è diventato in senso assoluto il più bel film sul baseball sia per la scenografia curatissima, sia per la melodiosa colonna sonora di Randy Newman, sia per il suo forte impatto emotivo.


Diretto da Barry Levinson e adattato liberamente dal romanzo di Bernard Malamud, il film configura dapprima le vicissitudini di un giovane talento per il baseball e poi la sua tardiva ma strepitosa affermazione, quale incredibile rookie di mezza età, capace di sconvolgere i ritmi in un gruppo rendendolo vincente andando semplicemente a rimarcare quei veri valori che il baseball può rendere eterni.


Accanto ad un espressivo e completo Robert Redford, che per l’occasione studiò a lungo i movimenti in diamante e la battuta di Ted Williams, c’è una splendida e romantica Glenn Close, un Robert Duvall quale incisivo giornalista ed una giovane Kim Basinger misteriosa ed intrigante quanto non mai.  


Tuttavia devo anche precisare che il film a me è ancor più caro poichè l’attore Wilford Brimley, ovvero il disincantato Pop Fisher manager dell’inventata franchigia dei New York Knights , è il mio gemello di latte separato dalla nascita: ma questa è un’altra storia.

Il secondo film, in italiano “Un Gioco a Tre Mani” è una commedia romantica di particolare attrazione e vivacità su una piccolo squadra del North Carolina, scritto e diretto da Ron Shelton, ex giocatore di baseball per cinque anni nelle leghe minori.


Apparentemente una storia come tante altre (un giocatore veterano indurito da 12 anni di esperienza tra le squadre della lega minore di baseball il cui compito e quello di sgrezzare un presuntuoso ed indisciplinato quanto talentuoso lanciatore) se non che “Bull Durham” ha il pregio di snocciolare esperienze quasi vissute coinvolgendo animosità e sentimenti oltre ad apportare un dialogo colto e sopra le righe.


E’ stato questo il primo dei tre film sul baseball interpretati da Kevin Costner, ex giocatore di baseball durante le scuole superiori e dunque calibrato conoscitore dei fondamentali ed ottimo battitore (si dice tra l’altro che durante le riprese battè ben due fuoricampo), mentre per Susan Sarandon “Bul Durham” ha rappresentato un difficile banco di prova superato in modo brillante e generosamente lodato da Roger Ebert, scorbutico critico cinematografico del Chicago Sun-Times,”…dubito che il personaggio cui Sarandon dona cuore e corpo avrebbe funzionato senza la sua meravigliosa prestazione”.


Il film dunque non fu solo successo di pubblico ma anche di critica tanto da indurre la mitica rivista Sport Illustrated a cedergli l’onore del primo posto in assoluto tra tutti i film sportivi ed il severo Moving Arts Film Journal a posizionarlo al terzo posto nella lista dei 25 più grandi film.

Il terzo, sempre dello stesso anno, in italiano “Otto Uomini Fuori”, è un film storico rigorosamente attento ai dettagli sull’infamante accusa verso otto giocatori dei Chicago White Sox che nel 1919 accettarono di truccare le partite della World Series contro i Cincinnati Reds.

 

Il caso, tratto da un libro di Eliot Asinof, passato alla storia come lo scandalo dei Black Sox, è stato sceneggiato e diretto in modo impeccabile da John Sayles, che tra l’altro recita ne panni del giornalista Ring Lardner, e non sbaglia un colpo se non sotto il profilo emotivo. Superbe infine le scene di baseball d’annata e le ottime interpretazioni di David Strathairn come Eddie Cicotte, D.B. Sweeney a personificare il triste Shoeless Joe Jackson e John Cusack a dare vita a George “Buck” Weaver.

 

Dopo un anno, quasi ad ampliare la struggente emotività lasciata dallo scandalo dei Black Sox, quasi come un sequal, viene prodotto “Field of Dreams”, ovvero in Italia “l’Uomo dei sogni”, film da Oscar. Ancora una volta è Kevin Coster a cimentarsi nel suo amato mondo del baseball, ma qui è da evidenziare la bravura del regista Phil Alden Robinson a sceneggiare in modo fantastico il racconto “Schoeless Joe” di William Patrick Kinsella ed a dirigere le sequenze con il giusto tono senza mai toccare la banalità.

 

Ray Kinsella (Kevin Costner), agricoltore trentaseienne dell'Iowa, introverso per problematiche avute con il proprio padre e per non aver realizzato le sue aspirazioni sportive, una sera si lascia dapprima suggestionare da una voce “Se lo costruisci, lui tornerà” e poi convincere a costruire un campo di baseball. Terminato, sul diamante si materializzeranno una sera sia il triste Shoeless sia tutti gli altri sette giocatori dello scandalo dei Black Sox che così potranno ritornare a giocare.

 

Poi sarà la volta di un dimenticato scrittore, poi di un ex giocatore divenuto medico benefattore ed infine lo stesso padre con cui incomincerà a dialogare ed a giocare a baseball. Ed è sulla splendida colonna sonora di James Horner che i sogni, affinchè non muoiano all’alba, necessitano della costruzione di un “campo dei sogni” che sempre farà riscoprire il piacere della convivenza, ed oltre, con momenti di pura magia fantastica.

 

Michele Dodde

 

 

Segue

 

Articolo pubblicato il 20 marzo 2015

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Commenti: 1
  • #1

    Marcella (venerdì, 15 aprile 2022 15:40)

    L'ultrapotente cinematografia americana ha reso lo sport del baseball, agli esordi umile e carico di istanze sociali, il grandioso vessillo, il glorioso emblema dell'epopea nazionale.
    La molto più povera cinematografia italiana , non ha potuto avvalersi delle stesse risorse, per celebrare la grandezza dello sport nazionale, il calcio e sì è limitata a produzioni occasionali e mediocri, demandarndo ogni tipo di celebrazione alla forza e alla passione popolare