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Un gioco perfetto

di Michele Dodde

Ci vuole una buona dose di coraggio e volontà nello spolverare un canovaccio gettato là in un cassetto anni addietro per un quasi netto rifiuto nell’accettare la fresca idea di una sceneggiatura di un film ad ampio respiro e poetico nell’insieme. Ebbene questa buona dose di coraggio l’ha avuta Enrico Franceschini nel dare completezza al suo ultimo saggio “Un Gioco Perfetto” quasi a voler pagar pegno alla sua età giovanile nell’andare a seguire le vicissitudini della Fortitudo di Bologna, la nota e blasonata squadra di baseball, distraendosi così dal basket, ed a rendere omaggio ai colori metafisici di una New York, ovvero di quella grande mela che dopo il primo assaggio riconsegna la vita ai primi amori poiché lì “If you can make it there / you’ll make it everywhere” (Se ce la farai lì, potrai farcela ovunque).

Stampato con i classici tipi della casa editrice romana “66th And 2nd”, specializzata in racconti sportivi, il libro, che indossa la casacca nr. 22 nel lungo elenco dei lavori redatti da Franceschini, oltre ad aver tradotto i testi di quell’amor nascosto verso Charles Bukowski, a leggerlo diventa uno schietto ed interessante compagno di avventura nel viaggio romantico tra il Bronx e Coney Island, tra i grattacieli di Manhattan ed il ponte di Brooklyn ma soprattutto nell’atmosfera mielosa e disincantata della Major League di baseball attraverso le fasi ed eventi dei “Cannons”, ideale mitica franchigia di New York con un buon seguito di fans italoamericani. 

 

Ed allora ha ragione dunque l’autore Franceschini quando confessa di aver rispolverato quel sopito canovaccio poiché in effetti “Un Gioco Perfetto” sembrerebbe di fatto la condivisibile sceneggiatura di un film che bene potrebbe apparire nella cineteca della Walt Disney Productions per il lieto fine che accontenta per via dei tanti tasselli che vanno a buon fine ed inseriti nel modo giusto, dal riottoso Jake Grim in seconda base a ridiventare dalla polvere alle stelle il magnifico cigno al giornalista Dave Friedman abile manovratore di gossip a risciacquare del tutto le sue idee con l’apoteosi finale del rookie Raul Ramirez, giovane lanciatore cubano, che va a chiudere i nove inning in cui il libro è stato sezionato. 

Nella foto Enrico Franceschini
Nella foto Enrico Franceschini

Certo, l’idea di una giovane che eredita dallo zio self made le redini di una franchigia della Major League non è nuova essendo l’evento già accaduto il 28 marzo del 1911 quando la giovane Helene Hathaway Britton realmente divenne la proprietaria a pieno titolo dei “Cardinals” di St. Louis. Ed ancora come l’inaspettata eredità trovasse la Britton ad operare in un mondo allora concettualmente tutto maschilista e come senza se e senza ma riuscisse a concretizzare positive iniziative sia verso i giocatori sia verso le donne nell’ambito di una fervente emancipazione consentendo loro l’ingresso gratuito allo stadio nel giorno del lunedì se accompagnate da un uomo. 

 

In “Un Gioco Perfetto” però la favola si sdoppia poiché lei, quell’intraprendente ed ottima sensitiva della filosofia e dell’etica del baseball che è nel romanzo Maggie Bandini, non è solo la proprietaria ma diventa di fatto anche il manager della squadra che poi con appropriate dritte e con a latere una turbolenta vita sociale non solo porterà i suoi “Cannons” a vincere il titolo di Lega ma anche e soprattutto le prestigiose World Series finendo il romanzo a mò di “Via col Vento” con l’emblematico “Ma tutto il resto, per il momento, sì” che racchiude un romanticismo retrò che non guasta dopo aver in due pagine, la 66 e la 67, data la migliore descrizione intima di che cosa sia il gioco del baseball. 

 

Dunque “Un Gioco Perfetto” allora diventa anche un sentito tributo personale dell’autore per il baseball, con il baseball e del baseball perché tra le pagine emerge anche una personale e simpatica autoironia nella scelta dei nomi dei personaggi che ricordano di fatto con le iniziali M.(aggie) B.(andini) la sua prima moglie, Maria Bondanza, grande conoscitrice ed appassionata del gioco, e soprattutto  se stesso con un fantasioso cambio con ellissiana voglia nel tradurre le proprie generalità: Henry (Errico) Franks (con la esse al plurale per Franceschini).

 

Unico neo al primo inning quando Javy Gonzales dei Texas Rangers non “raggiunge casa base” ma “entra nel box di battuta” da dove poi riuscirà a colpire la pallina al primo lancio deviandola con una debole traiettoria verso il seconda base Jake Grim che farà seguire una serie di errori da consentire allo stesso Gonzales di segnare il “punto” e non la “meta”.

 

Non pensabile possa accade in Major League, si in modo vero per la Walt Disney Productions… 

 

Michele Dodde

 

Sotto un'intervista a Enrico Franceschini tratto da maremosso.lafeltrinelli.it

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Commenti: 1
  • #1

    Ludovico Malorgio (sabato, 14 maggio 2022 12:09)

    Questa arguta e bella recensione denota ottima competenza e infinita passione, dunque, stimola a leggere il libro. Complimenti!