Il baseball praticato dalle donne - 3^ parte

Nella foto Tom Hanks nella grande interpretazione del manager James “Jimmy” Ducan in "A League of Their Own" (Ragazze Vincenti)
Nella foto Tom Hanks nella grande interpretazione del manager James “Jimmy” Ducan in "A League of Their Own" (Ragazze Vincenti)

Nella foto Tom Hanks nella grande interpretazione del manager James “Jimmy” Ducan in "A League of Their Own" (Ragazze Vincenti) 

di Michele Dodde

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Gli eventi bellici della seconda guerra mondiale, che di fatto avevano sfoltito i giocatori delle franchigie della Major League richiamandoli ad assolvere il dovere delle armi, indussero alcuni imprenditori appassionati di baseball a non far scemare lo spettacolo del gioco che era molto sentito come garbato passatempo familiare. Così il produttore di chewing gum e dirigente della Major League, Philip K. Wrigley, unitamente al patrocinio di Walter Harvey, proprietario di una industria dolciaria, organizzò la prima stagione agonistica di baseball giocato da donne. Il film già evidenziato ripercorre così le varie fasi organizzative riesumando anche i primi preconcetti all’iniziativa. Ad iniziare dal manager James “Jimmy” Ducan, un ex giocatore menomato ad un ginocchio e dedito più all’alcol che al fine odore dell’erba sui diamanti, in quanto era il primo ad essere fortemente scettico sulle possibilità che le giocatrici fossero in grado di giocare una vera partita di baseball, e da un pubblico cui la novità strideva con i ricordi di altre gare viste.

Ed invece la A-A GPBL riuscì a radunare intorno a sè interesse, affetto e soprattutto a delineare, secondo la schietta filosofia statunitense, quanto sia sempre importate osare inesorabile.

 

Dal 1943 sino al 1954 la Lega visse di luce propria con il motto “Do or Die!” ed un inno, scritto dalle giocatrici Pepper Paire e Nalda Bird, che ancora la dice lunga nella sua notorietà: “This Used to Be My Playground” facendo capolino durante le Olimpiadi del 1992 a Barcellona ed inserito nella raccolta delle migliori ballate: “Sometime to Remember”. 

«Batter up! Hear that call!

The time has come for one and all

To play ball.

 

We are the members of the All-American League

We come from cities near and far

We’ve got Canadians, Irishmen and Swedes,

We’re all for one, we’re one for all

We’re all Americans!!

 

Each girl stands, her head so proudly high,

Her motto ‘Do or Die’

She’s not the one to use or need an alibi.

 

 

Our chaperones are not too soft,

They’re not too tough,

Our managers are on the ball.

We’ve got a president who really knows his stuff,

We’re all for one, we’re one for all,

We’re All-Americans!»

«Batti! Ascolta quella chiamata!

È giunto il momento per tutti e tutti

Per giocare.

 

Siamo membri della All-American League

Veniamo da città vicine e lontane

Abbiamo canadesi, irlandesi e svedesi,

Siamo tutte per uno, siamo uno per tutte

Siamo tutte americane!!

 

Ogni ragazza sta in piedi, con la testa così orgogliosamente alta,

Il suo motto "Fai o muori"

Non è quella da usare o ha bisogno di un alibi.

 

I nostri accompagnatori non sono troppo morbidi,

Non sono troppo duri,

I nostri manager sono in gamba.

Abbiamo un presidente che conosce davvero le sue cose,

Siamo tutte per uno, siamo uno per tutte,

Siamo tutte americane!»


Qui sotto uno straordinario video commemorativo con le vere giocatrici dell'epoca e nel sottofondo la canzone 

Gli esegeti del baseball però sono tutti pronti a giurare che il gioco praticato dalle ragazze della neonata Lega non era baseball ma un misto anche ibrido di baseball e di softball.

 

La pallina usata era quella del softball, il monte di lancio distava da casa base circa 13 metri, e successivamente a 15, ovvero ad una distanza ibrida intermedia tra la pedana di lancio del softball e quella del baseball. Il lancio era identico a quello del softball, o a quello del baseball antico, ed anche la distanza tra le basi era più corta di circa 7,62 metri. 

 

Dunque gli unici elementi eguali al baseball giocato erano due: i ruoli dei giocatori in diamante rimasti sempre nove ed il classico monte di lancio da cui la lanciatrice saliva per frombolare la pallina.

 

E’ pur vero però che con il passare degli anni sia le distanze sia la dimensione della pallina avevano reso le attrezzature quasi simili a quelle usate nel baseball.

 

Nel 1954 tuttavia, dopo il galvanizzante picco del 1948 quando furono registrati ben 910.000 spettatori ad assistere alle gare della stagione agonistica, l’inesorabile calo di pubblico e la sempre emergente vitalità del softball praticato dalle donne costrinse di fatto la AAGPBL a chiudere l’attività.

 

Come nota va ricordato che l’uniforme delle giocatrici consisteva in una tunica a pezzo unico su pantaloncini di raso, calze da baseball alte sino alle ginocchia ed un cappellino ed  un vademecum sulla condotta da rispettare. Ovvero le giocatrici, che ricevevano un kit di bellezza e le istruzioni su come usarlo, dovevano avere capelli corti, non fumare o bere in locali pubblici e portare sempre il rossetto sulle labbra.

 

Dunque il baseball praticato dalle donne restò in sintesi un’attività del tutto amatoriale e di spettacolo di varietà anche se altre giocatrici hanno infranto con successo il muro divisorio nel roster di una squadra maschile.  

Nella foto Toni Stone
Nella foto Toni Stone

Un caso avvenne nel 1949 quando la Negro League, volutamente ignorando il divieto di Landis, avallò il contratto di ben tre giocatrici che furono tutte utilizzate in squadre della propria lega:, Marcenia Lyle Stone, in arte Toni Stone, Mamie “Peanut” Johnson e Constance Enola Morgan.

 

Nel 1953 i “Clowns di Indianapolis”, proveniente dai San Francisco Sea Lions, scritturarono Toni Stone, giocatrice di raro talento, per andare a sostituire sul diamante in seconda base nientemeno che Hank Aaron.

 

La Toni Stone nella storia va ad inserirsi quale  prima donna di colore a giocare nella Major Negro League (vds su archivio BOTR del 4 febbraio 2019) e sul sito web della NLBPA risulterà sempre che la sua media battuta di .243 la rende “uno dei migliori giocatori di cui si sentirà parlare sempre”.

 

In quell’anno i Clowns per dare maggior impulso al loro bullpen misero sotto contratto anche Mamie Johnson, lanciatrice destra, in possesso di lanci ingannevoli capaci di sviluppare il percorso della pallina su cinque traiettorie diverse e fu proprio Satchel Paige ad insegnarle quello della fantasiosa curva.  Giocò con i Clowns di Indianapolis dal 1953 al 1955, il suo soprannome Peanut nacque durante la sua carriera a causa della sua altezza: 5 piedi e 3 pollici (un metro e sessanta centimetri). Su di lei è stata scritta la biografia “A Strong Right Arm”.

 

Enola Morgan è stata la terza donna di colore a giocare nel baseball professionistico della Lega Negra. Enola fu chiamata sempre dai Clowns per sostituire la Toni Stone in seconda base giocandovi per due anni. Prima aveva giocato per cinque stagioni nella franchigia della “North Philadelphia Honey Drippers”, squadra di baseball composta da sole donne. 

 

Michele Dodde

 

Segue

 

 

Sotto l'esilarante scena "non si piange nel baseball" tratto da "A League of Their Own" (Ragazze Vincenti)

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Commenti: 2
  • #1

    Giuditta (domenica, 14 aprile 2024 15:52)

    Sempre interessante--cose che non sapevo!

  • #2

    Rosa Mariano (lunedì, 15 aprile 2024 16:44)

    Caro Michele, ho seguito questa terza tappa della storia del Baseball Femminile con il medesimo interesse delle precedenti. La storia americana degli anni cinquanta è talvolta raccontata per degli aspetti poco positivi. Il tuo splendido articolo accende un faro rimarcando l'importanza del grande spirito americano anche nel baseball definito" amatoriale" in quanto ha dato spazio alle donne: tutte americane nonostante il colore della pelle e la loro provenienza d'origine.