
L’ossimoro nell’andare a trovare il fantastico nella storia ed il vero nella leggenda ben si attaglia alla vita di Toni Stone, nata come Marcenia Lyle Stone a Bluefield nella Virginia Occidentale. La sua grande passione per il gioco del baseball e la sua forte determinazione le hanno aperto nel 1985 le porte della prestigiosissima “Women’s Sports Hall of Fame”. La storia di Toni Stone è molto singolare e fuori da qualsiasi logica del tempo di allora come di oggi: resta però negli annali poichè ella è stata la prima donna ad indossare la casacca di una squadra composta da maschi ed a giocare da professionista nella Major Negro League. E se Jacky Robinson, icona nr. 42 viene lodata per rappresentare il difficile inizio di una integrazione razziale, Toni Stone è lì a configurare a pieno titolo l’inizio di una qualificante emancipazione femminile senza limiti ed a tutto tondo.
A seguire il racconto della poliedrica ed eclettica ricercatrice Ashawnta Jackson si viene ad evidenziare come la Stone sia sempre stata per carattere e scelta la prima in tutto: prima ragazza, aveva 10 anni, a giocare nella squadra di baseball della sua chiesa cattolica, la San Pietro Claver, inserita nel campionato della Midget Lega, lega simile all’attuale Little League. Crescendo, a 15 anni, è la prima giovane a giocare in una squadra semiprofessionista maschile, la St. Paul Giants. Adulta, a 28 anni, è la prima donna ad infrangere la barriera dei divieti iniziando la sua carriera professionale indossando i colori della squadra maschile dei San Francisco Sea Lions proprio nello stesso periodo in cui la Major League Baseball stava facendo passi da gigante con l'integrazione razziale. Ed il merito maggiore per Toni è stato quello di accettare con sufficienza tutti gli strali inerenti sia il razzismo sia il sessismo durante il suo lungo viaggio per diventare una professionista nello sport che aveva amato fin dall'infanzia.

Già negli anni giovanili ebbe i primi contrasti con i suoi genitori che, cattolici praticanti, erano fortemente convinti che giocare a baseball era una cosa che una ragazza non avrebbe dovuto mai fare in quanto attività peccaminosa. Qui la sua grande determinazione perché non solo ebbe modo di superare le tradizionali convenzioni di genere ma delineò anche cause ed effetti per un futuro che la potesse appagare.
Fu determinante comunque l’intervento di un prete locale che convinse i suoi genitori a permetterle di giocare in un campionato ecclesiastico, che, fino all'arrivo di Stone, era stato solo appannaggio dei ragazzi.
Tuttavia, anche se i suoi genitori avevano accettato l’idea di lasciarla giocare, non la incoraggiarono minimamente neanche con un minimo sostegno finanziario a tal fine che, per comprarsi un guanto, si adoperò a svolgere diversi lavori manuali nel quartiere. Fu così che dietro l’angolo della volontà delineò la sua via per diventare un giocatore professionista sotto la forma di un manager della lega minore di nome Gabby Street.
Già giocatore della Minor League, Street gestiva la St. Paul Saints, franchigia della città, ma era anche il direttore di una scuola locale di baseball cui Stone ripetutamente chiedeva di entrare. Seccato per la continua insistenza, Street un giorno la mandò in diamante per dileggiarla quando invece, dopo i primi tiri, fu colpito dall’innata predisposizione al gioco che dimostrava di possedere la Stone.

Ciò che l'adolescente persistente Stone non sapeva, quando poi la realtà supera la fantasia, era che Gabby Street, pur appartenendo al Ku Klux Klan ed un trascorso ben documentato di razzismo per tutta la sua carriera, fece una motivata eccezione per quella ragazza nera che era ossessionata dal baseball senza rivalutare però i suoi stessi atteggiamenti razzisti verso tutti i cittadini neri. Così Stone iniziò a giocare per il St. Paul pur non essendo accolta a braccia aperte. Anzi, non le era permesso di entrare nello spogliatoio e più volte dovette cambiarsi nello spogliatoio degli umpire.
In seguito, nel 1943, portò il suo talento alla franchigia dei San Francisco Sea Lions ma quando scoprì che veniva pagata meno degli uomini, se ne andò con i Black Pelicans e poi con i New Orleans Creoles. Qui nel 1953 fu notata da Syd Pollack, proprietario degli Indianapolis Clowns. Questa franchigia, compagine simile agli Harlem Globetrotters nel basket, aveva perso il suo principale protagonista, un giovane interbase chiamato Henry "Hank" Aaron acquistato dai Milwaukee Braves in Major League, ed in quel periodo non aveva bisogno solo di qualcuno che fosse bravo, ma di qualcuno che potesse attirare, per originalità di ruolo, un maggior numero di spettatori. Così nell'aprile del 1953, all'età di 32 anni, Toni Stone fece il suo ingresso nella squadra e divenne ufficialmente la prima donna a giocare nella Major Negro League, come seconda base in sostituzione proprio di Aaron. Potrebbe essere stata una trovata pubblicitaria, ma il suo talento era innegabile tanto che nelle cinquanta partite disputate realizzò una media battuta di .243.
Le innate qualità di Stone divennero così l’attrazione principale e le sue giocate la spinsero sotto l’attenzione dei riflettori dei media riempiendo stand e colonne dei giornali mentre tutti diventavano ansiosi di vederla in azione. Divenne così un fenomenale punto di riferimento per il mondo della Negro League, come viene riportata nella sua recente biografia “Curveball” redatta da Martha Ackmann, schiudendo le porte poi ad altre giocatrici più giovani come Mamie Johnson e Connie Morgan.
Così mentre il Kansas City Call di allora si pregiava a definirla come la “bella mente del baseball”, Ray Doswell, vice direttore del “Negro League Baseball Museum”, di lei sintetizza oggi: “ Toni Stone doveva veramente amare il baseball per aver fatto ciò che ha fatto. Con perseveranza”.
Michele Dodde
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