La nascita delle statistiche

Foto tratta da MLB.com 

di Andrea Salvarezza

La NAPBBP introdusse una nuova regola per il campionato nazionale, nonché un concreto e tangibile “titolo” di Campione degli Stati Uniti rappresentato da un vessillo (pennant) che andava alla squadra vincitrice: tutte le squadre si sarebbero affrontate in una serie al meglio di tre partite su cinque e al termine degli incontri il titolo sarebbe andato alla squadra che avesse vinto più partite (o, in caso di parità negli incontri vinti, a quella con la miglior percentuale di vittorie).  Tuttavia non era previsto un calendario ufficiale, stilato o comunque approvato dall’Associazione,   e le squadre si organizzavano spontaneamente: pertanto regnava una discreta confusione, poiché alcune squadre non giocavano contro tutte le altre, soprattutto per via dei costi eccessivi causati dai trasferimenti. 

Ma il limite più grande era rappresentato dalla scarsa attenzione che i fondatori posero sulle modalità di affiliazione all’associazione: poiché l’unica restrizione prevista era il pagamento di una quota di ingresso relativamente modesta (10 $), alle squadre più forti e potenti, provenienti dai centri urbani di maggiore influenza, si affiancarono rapidamente un gran numero di piccoli club provenienti da città minori e piccoli centri. Tali squadre, per via della difficoltà ad attirare investitori e spettatori (a causa dello scarso bacino di utenza), erano spesso costrette ad interrompere l’attività agonistica nel bel mezzo della stagione, senza poter garantire regolarità e continuità alla competizione

Nonostante quindi alcuni problemi furono sostanzialmente lasciati irrisolti, soprattutto per via delle stringenti necessità temporali che avevano caratterizzato la fondazione della neonata associazione, e nonostante questi mali endemici avrebbero decretato la fine della NAPBBP nel giro di appena cinque stagioni, essa fu comunque un punto di svolta epocale nel cammino del baseball verso il suo assetto attuale

 

Certamente il livello della competizione si innalzò ulteriormente a partire dal 1871; ma il professionismo ebbe un impatto più radicale sul baseball, arrivando a causare diverse e profonde modifiche sia all’assetto istituzionale ed economico, che alla struttura sintattica del gioco:

 

  • fu trasmessa al baseball una nuova etica basata sulla vittoria a qualsiasi costo: stratagemmi, tattiche e strategie che finora erano state considerate non sportive furono non solo accettate, ma apertamente incentivate in vista del raggiungimento della vittoria;
  • si iniziò ad esercitare un’attrattiva sempre maggiore sugli spettatori paganti, per via del miglior livello di gioco dovuto alla specializzazione e in generale al cambiamento nella struttura stessa del baseball, che divenne più veloce, più eccitante, più coinvolgente;
  • si verificò il cosiddetto paradosso della “local loyalty”: dalla fine degli anni ’60 il sentimento di appartenenza alla squadra da parte della comunità di riferimento si fece via via più forte, per la feroce e sempre più ampia competizione che andava contagiando tutta l’America; ma al tempo stesso l’allargamento geografico del gioco, oltre a diffondere il baseball in nuove aree, ebbe soprattutto un forte effetto negativo sulla fedeltà dei giocatori verso i club, perché questi, contrariamente ai fans, iniziarono gradualmente a sentir svanire il proprio senso di appartenenza alle squadre. Giocando per soldi, con sempre nuove opportunità di cambiare casacca, i ballplayers  iniziarono  a  muoversi  in lungo  e  in  largo  alla  ricerca  delle migliori condizioni economiche, mettendo fine all’identificazione tra squadra/comunità di riferimento e luogo di provenienza dei giocatori. La separazione tra il pubblico e i tifosi da una parte, e i giocatori dall’altra, divenne quindi con l’avvento del professionismo netta ed irrecuperabile
  • l’enorme aumento di partite giocate e giocatori coinvolti rese impossibile valutarne le qualità basandosi sull’osservazione diretta delle prestazioni; si rese quindi necessario un metodo per poter giudicare il valore dei ballplayers senza l’ausilio della visione diretta. Fu così che si diede maggiore impulso alla misurazione delle prestazioni, e le statistiche, che all’epoca erano sì in voga ma solo relativamente a pochi aspetti del gioco, proliferarono improvvisamente cercando di “coprire” tutti i possibili indicatori della prestazione di un giocatore. Le statistiche “moderne” del baseball, quelle che oggi conosciamo, nacquero in pratica per rispondere all’esigenza di razionalizzare il più possibile il gioco e renderlo un business capace di dare dei frutti; nello specifico, le stats servivano ad offrire un adeguato sistema di valutazione dei giocatori.
Nell'immagine Arthur “Candy” Cummings
Nell'immagine Arthur “Candy” Cummings

Ci furono cambiamenti prettamente tecnici, soprattutto nell’aspetto principale del gioco, ossia la sfida tra lanciatore e battitore (pitcher vs. batter) che nel baseball dà il “la” alla dinamica di ogni azione: Jim Creighton, di cui abbiamo già parlato in quanto primo professionista ante litteram della storia, cominciò ad aggirare le regole di lancio con impercettibili movimenti di polso e gomito e ad avvalersi del change of pace per confondere il battitore (pratica consistente nell’alternare lanci veloci a palle più lente, all’epoca chiamata «drop the pace»).

 

Di questa stessa arte fu maestro Harry Wright, che giocava sia da center field che come relief pitcher (lanciatore di rilievo, all’epoca detto change pitcher): egli fu uno dei lanciatori più scaltri, uno dei migliori nel saper usare abilità e cervello più che la mera forza del braccio o la velocità di palla;

 

Comparve poi la letale curve ball, ufficialmente accreditata ad Arthur “Candy” Cummings, che avrebbe iniziato ad usarla dal 1866, anche se Chadwick riferisce di  un pitcher di Rochester, di cui però non ricorda il nome, che la usava già dagli anni ’50 (in realtà anche Creighton era già in grado di effettuare dei lanci curvi, ma nonostante questo è Cummings ad essere ricordato come l’inventore di questo lancio letale);

 

Iniziano ad evolversi le attrezzature di gioco. Negli anni ’70 compare la maschera per il catcher, introdotta anche perché contrariamente ai primi tempi, in cui era solito posizionarsi qualche metro indietro rispetto al battitore, il catcher aveva ora assunto la posizione che ha attualmente, a ridosso del piatto di casa base; l’affermazione dei «fly games», con la pratica dell’eliminazione al volo, portò nel giro di qualche anno alla comparsa del guantone.

 

Poiché nel nuovo setting basato sul professionismo la vittoria era tutto, i giocatori ricorrevano ad ogni sorta di trucchi e metodi scorretti per aggirare le regole, al punto di poter affermare che il regolamento del baseball è in gran parte il risultato dei tentativi di arginare queste pratiche scaltre messe in atto di volta in volta dai partecipanti.

 

Segue

 

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Tratto da A. Salvarezza, Eccezionale quel baseball! L'origine dell'isolazionismo americano negli sport, Dottorato di ricerca in critica storica giuridica ed economica dello sport (relatore: Adolfo Noto), ciclo XXII, Teramo 2009.

 

 

La Tesi di Andrea Salvarezza

 

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