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Power is nothing without control

di Allegra Giuffredi

Di recente mi sono recata a Torino e come forse avevo già avuto modo di scrivere, mi sono imbattuta negli stabilimenti della Pirelli lungo l’autostrada Milano – Torino, in località Settimo Torinese. Quello che la nota marca di pneumatici italiana mi ricorda è il suo slogan, vale a dire che “la potenza non è niente senza controllo”, pubblicità questa che è comparsa orgogliosamente, per noi italiani, qualche anno fa, nel bullpen dei Dodgers di LA, con la formula “Power is nothing without control” e che mi porta a fare qualche considerazione sul ruolo del lanciatore. Innanzitutto, se ci pensiamo un attimo, non esiste frase migliore che quella sopra riportata per descrivere il gioco del baseball e in particolare ciò che fa il lanciatore sul monte di lancio, perché è proprio così, se non controlli il lancio, se non dai l’effetto voluto, l’avversario in battuta avrà la possibilità di andare in base o di far andare a casa base i compagni di squadra e quindi a punto la sua squadra. Il lancio pazzo, sempre in agguato, è il peggior incubo per qualsiasi pitcher (e anche per i catcher). 

Ma quanto lancia un lanciatore? E come si sviluppa la meccanica del lancio?

Come sappiamo ci sono, i lanciatori partenti, i rilievi e poi i closer e fino a qualche tempo fa c’erano pure dei lanciatori “specializzati”, come i “LOOGY” che lanciavano solo per eliminare il battitore mancino che si presentava appunto alla battuta e che adesso non ci sono più, perché ogni lanciatore deve affrontare minimo, tre battitori; insomma la raffinatezza di questo ruolo è arrivata a livelli altissimi e quanti lanci un partente possa sostenere, … dipende, e su quanti inning li spalma, pure, ma più o meno vogliamo azzardare? dai sessanta ai novanta.

 

I rilievi poi, dipende in quale momento della partita entrano e in che situazione ereditano il monte di lancio: all’inizio dell’inning, con la propria squadra in svantaggio o in vantaggio, o all’interno di un inning disgraziato con degli avversari già in base.

 

Il closer deve chiudere: quindi, anche se è raro che ci riesca con nove lanci cioè con un “inning immacolato”, che peraltro potrebbe essere fatto anche da un partente o da un rilievo, di solito tira molto forte e per un numero ridotto di lanci.

Assai importante è poi, come si diceva, la meccanica del lancio, perché, anche se non mi voglio impelagare in tecnicismi che non conosco, ogni lancio è costruito con un caricamento che parte dai piedi, si sviluppa nelle gambe e nelle anche per procedere con una torsione del busto che esplode nella spalla, nel braccio e nelle dita che producono l’effetto del lancio, a seconda di come si prendono in mano le cuciture della palla.

 

Alessandro Maestri, forse uno dei migliori lanciatori italiani contemporanei racconta nel suo libro “Mi chiamavano Maesutori”, edito da Baldini+Castoldi che quando giocava nelle Minors con la franchigia dei Chicago Cubs ad un certo punto dovette fermarsi, perché quando provava a forzare il lancio, soffriva e quindi perché ciò non accadesse ha dovuto riprogrammare tutta la meccanica del lancio, cosa non semplicissima.

 

Ogni lanciatore ha il suo stile, il suo caricamento del lancio, a seconda che preferisca lanciare veloce, sidearm o submarine, da sotto in su, oppure puntando al filo dall’area di strike, o ancora molto piano con un lancio off–speed o irregolare come una knuckleball.

 

A seconda di quale lancio il pitcher preferisca, calibrerà il movimento e dalla punta dei piedi, fino alle dita della mano, sarà un’esplosione di energia che viene anche misurata: ogni lancio infatti produce una velocità che viene calcolata e fra i lanciatori più potenti sicuramente vi è stato Aroldis Chapman che fu determinante per la vittoria dei Chicago Cubs delle World Series del 2016.

 

Insomma ci sarebbe molto altro da dire, ma lascio volentieri la parola e la penna a chi ne sa di più, di sicuro “la potenza non è niente senza controllo”.

 

Allegra Giuffredi

 

 

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