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Due storie particolari, due film di successo

 DJ Suonandajie (Photo Amy Kontras for The New York Times) 

di Michele Dodde

Da quel grande contenitore di storie, eventi, particolarità e similitudini che è il baseball ed i suoi effetti collaterali sono stati tratti nel 2016 due ulteriori film di profonda meditazione e giustificato interesse in quanto entrambi ispirati da storie vere: “The Phenom” e “Weeds on Fire”. Il primo, scritto e diretto in modo impeccabile da Noah Buschel è stato realizzato ispirandosi alle notizie ad onda lunga inerente i primi anni di vita sportiva resa altalenante dalla mentale lotta professionale vissuta dall’ex giocatore della Major League Richard “Rick” Alexander Ankiel. Questi era un talentuoso lanciatore che, dopo due anni passati su quei banchi di prova che è la Minor League, debuttò nella Major League il 23 agosto del 1999 con la casacca dei St. Louis Cardinals contro la franchigia dei Montreal Expos.

La sua carriera lo vedrà come il primo giocatore dopo il mai dimenticato Babe Ruth a vincere dieci partite come lanciatore e ad aver realizzato settanta fuoricampo ma altresì è pur vero che in seguito cambierà ruolo da lanciatore per evidenziarsi come esterno e l’anomalia di aver giocato con i colori di ben altre cinque squadre: i Royals di Kansas City, i Braves di Atlanta, i Nationals di Washington, gli Astros di Houston ed i Mets di New York farà scrivere al giornalista Barry Petchesky come Ankiel abbia percorso uno dei cammini più strani nella storia del baseball. Ankiel lascerà il profumo dei campi da gioco il 5 marzo del 2014 ma resterà nel giro del grande baseball come “Life Skills Coordinator” in ambito dei Washington Nationals.

Quali sono stati dunque i mormorii che poi causarono il successivo cambio di ruolo di questo giocatore?

 

E’ che nonostante fosse stata talentuosa la sua ascesa in campo agonistico, a volte il giocatore lì sul monte di lancio veniva preso da momenti di deconcentrazione che inspiegabilmente portavano a rasentare una prestazione a forte negatività.

 

Il suo coach così con fare amichevole lo invitò a farsi supportare da uno psicologo specializzato in sportivi. Da qui l’interessamento del regista Buschel che, attraverso il gioco del baseball, ne ha tratto una storia di emozioni represse, rabbia, traumi e tormenti personali. Nel film “The Phenom” il nome del personaggio diventa Hopper Gibson che però, per dare forza alla sceneggiatura, non accetta subito di attuare il consiglio ricevuto di recarsi dal designato psicologo poiché era venuto a sapere che un altro giocatore, servendosi di questo apporto, si era suicidato.

 

Ecco allora che con ricchezza di linguaggio lo psicologo, prendendo il suo tempo, ottiene lentamente la fiducia di Hopper e da qui in poi si scopre come il padre di Hopper fosse stato anche lui un giocatore di baseball troncato però nella sua carriera dall’uso eccessivo di droga e continui comportamenti indisciplinati. 

Per tali reconditi motivi si comportava irragionevolmente verso suo figlio con modi estremamente offensivi usando poi urla, rimproveri e atteggiamenti intimidatori. Vivere in questo ambiente aveva creato in Gibson un enorme trauma che non era mai riuscito a superare e che gli interrompeva la concentrazione durante il gioco.

 

Il regista Buschel così sapientemente, prendendo a piene mani questo tema sportivo, lo trasforma in una complessa e snervante battaglia mentale approfondendo tematiche inerenti la dovuta concentrazione cui un giocatore di baseball deve attagliarsi.

 

Interpretato da Johnny Simmons, Paul Giamatti ed Ethan Hawke quali eccellenti attori principali, il film distribuito dalla RLJ Entertainmen  ha ricevuto una favorevole accoglienza di pubblico e di critica in specie quella del “New York Times” che ha scritto: "È una variazione di tutti quei film e programmi TV per bambini in cui un giocatore della Little League viene intimidito da un genitore che cerca di rivivere la propria infanzia. Il regista e scrittore, Noah Buschel così non ha aggiunto nuove intuizioni alla logora dinamica ma ha offerto agli attori ed al pubblico molto su cui meditare". 

Il secondo film “Weeds on Fire” invece tratta la storia vera della prima squadra giovanile di baseball formatasi ad Hong Kong, gli “Shatin Martins”, che riuscirono a vincere nel 1980 il campionato.

 

Diretto da Steve Chan Chi-fat ed interpretato da Liu Kai-chi, Lam Yiu-sing e Tony Wu Tsz-tung il film è stato poi inviato sul grande schermo il 25 agosto del 2016. Una storia singolare in un mondo eccezionalmente speciale.

 

Come noto allora, come lo è ancora, il baseball ad Hong Kong era semplicemente una disciplina sportiva marginale ma il preside di una scuola nel distretto di Sha Tin, consapevole e certo che attraverso il lavoro di squadra e la derivante disciplina che il baseball richiede avrebbero cambiato la vita dei suoi emarginati alunni, decise con forte convinzione ad assemblare una squadra.

 

L’inizio come sempre fu difficile ed ancor più avvilente fu la sconfitta subita da una squadra di Little League di Taiwan. Questa bruciante constatazione, il ricevere una divisa ed un piacevole logo come “Schatin Martins” divennero gli ingredienti concreti a completare una squadra che plasmerà una inversione di tendenza raggiungendo il successo vincendo il campionato.

Due le principali caratteristiche di questo film: la prima è che “Weeds on Fire” è stato il primo film realizzato dalla First Feature Film Initiative, la seconda è che è stato prodotto a basso costo, ovvero con un finanziamento di 2 milioni di yen pari a circa 230mila euro.

 

L’esordiente regista Chan Chi-fat con maestria riesce a coinvolgere lo spettatore a partire dalle problematiche giovanili sino alle loro complete soluzioni percorrendo il cammino attraverso divertenti scene di allenamento, in quel mondo iniziale che era un campo di erbacce, sino allo svolgimento delle gare attuate con grande energia tesa a trionfare contro le probabilità negative non disgiunte infine da una briosa ed entusiasmante colonna sonora.

 

Ma questo film, oltre ad essere elencato quale primo film sul baseball made in Hong Kong, intrinsecamente è anche un simbolico messaggio ad una vita sognata e più ampia che si vuole attraverso la pro-democrazia che Hong Kong persegue. 

 

Due film di grande interesse ontologico dunque ma anche di nicchia e che bisognerà andare a ricercare solo nelle cineteche…

 

Michele Dodde

 

 

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Commenti: 1
  • #1

    Aldo Accettura (domenica, 12 marzo 2023 21:08)

    Grazie Michele per le meravigliose storie piene di emozioni e umanità.
    Mi sono emozionato come non mai. Complimenti.