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La sciocca avidità di Rube Marquard

di Michele Dodde

Le pregevoli prestazioni sul monte di lancio da parte del giovane mancino Richard William Marquard, cui verrà in seguito affibbiato il nomignolo di “Rube” avendolo i cronisti sportivi idealmente paragonato al grande George Edward Waddell detto “Rube” per via della sua apparente rusticità, già nelle gare di Minor League avevano suscitato interesse ed attenzione da parte di sapienti scouts tanto che i Giants di New York decisero il suo acquisto per l’allora inaudita somma di undicimila dollari facendolo debuttare nel dorato mondo della Major League il 25 settembre del 1908.

Come sempre capita, ad inizio di carriera il passaggio di categoria non fu molto favorevole a Marquard ben ridicolizzato dalla satira come un “acerbo limone da undicimila dollari”, ma poi l’indiscutibile talento pronto a sfornare vincenti fastball con il contorno di ricercate palle curve e Screwball, gli permise di vincere dal 1911 al 1914 ben oltre 23 gare in ogni stagione agonistica portando i Giants, sotto la guida carismatica di John McGraw, a vincere tre campionati consecutivi in ambito della National League. 

Poi con la casacca dei Brooklyn Robins dal 1915 vinse il campionato nel 1916 e 1920.

 

Successivamente giocò per i Reds di Cincinnati e per i Braves di Boston chiudendo la sua carriera da atleta il 18 settembre del 1925 delineando il suo palmares con un record di 201 vittorie su 378 gare giocate, un'ERA di 3,08 e 1.593 strikeout che lo classificarono al terzo posto nella storia della Major League tra i mancini dell'epoca, ovvero dopo Rube Waddell e Eddie Plank.

 

In seguito ha lanciato ed allenato alcune squadre nelle leghe minori fino al 1933. E’stato inserito nella Baseball Hall of Fame solo nel 1971 dopo ben 38 anni dal suo allontanamento definitivo dai diamanti.

 

Ora, avendo i requisiti tecnici per essere preso in considerazione all’ammissione nella Hall of Fame, perché ciò è avvenuto solo dopo 38 anni?

 

Bene, come scrisse un poeta che la verità a tutti interamente si dona ma non a tutti si svela, è che il buon Rube Marquard nel lontano 1920 durante le gare delle World Series tra i suoi Brooklyn Robins contro gli Indians di Cleveland, vinte poi da questi ultimi per 5 a 2, fu arrestato in flagranza di reato e condannato per bagarinaggio mentre si trovava presso l’Hotel Winton.

Sopra un articolo dell'epoca che racconta -  "La giornata è stata un triplo smacco per Rube Marquard di Brooklyn: la sua squadra ha perso, è stato condannato con l'accusa di bagarinaggio ed è stato annunciato che non sarebbe tornato ai Brooklyn Robins nel 1921." 

 

L’atmosfera intorno al baseball in quel periodo stava subendo l’onda lunga moralizzatrice imposta dal giudice Kenesaw Mountain Landis acclamato dai proprietari delle franchigie sia della National League e sia dell’American League primo Commissioner con pieni poteri con il compito di debellare quanto di marcio le scommesse e gli scandali stavano per offuscare il gioco del baseball e ristabilire su di esso la fiducia del pubblico.

Fu così che il detective Soukoup nell’atrio dell’Hotel potè constatare che Rube poco prima della prima gara della World Series di quell’anno stava vendendo otto biglietti della tribuna d’eccellenza per 350 dollari, che in termini di dollari attuali sono pari a 4.522, mentre il costo originale era di 53 dollari, ovvero pari a 682 attuali, e dunque emise un mandato di arresto. 

 

L’episodio fu ampiamente enfatizzato dalla stampa poiché ormai l’opinione pubblica ed i tifosi erano stanchi di apprendere le varie scorrettezze da parte di quei giocatori che erano divenuti nell’immaginario collettivo eroi del gioco ed icone di lealtà.

 

Se questo bagarinaggio fosse avvenuto anni prima sarebbe stato posto nel cassetto delle cose da dimenticare ma invece in quella nuova atmosfera l’evento stava significando un ulteriore esempio di un giocatore di baseball che andava ad inseguire i soldi in modo subdolo.

 

La difesa di Marquard al processo per direttissima fu ingenua e leggera poiché andò ad affermare che nell’atrio stava aspettando il fratello proveniente da Youngstown per omaggiarlo dei biglietti e che quando gli fu chiesto se stava vendendo i biglietti aveva solo scherzato dicendo che erano disponibili a 350 dollari. 

 

Il buon giudice Frank Silbert, precisando che “per 50 anni il baseball è stato considerato uno sport pulito, ma ora l'effetto di uno scandalo improvviso ha messo in dubbio molte persone…” sancì che la brutta figura dell’arresto era stata più che sufficiente come condanna per Rube e lo multò simbolicamente di un dollaro più le spese del procedimento pari a 2,80 dollari archiviando la questione.

 

Non fu così però per la Commissione Nazionale della Major League che lo multò per circa 2.400 dollari mentre il presidente dei Brooklyn Robins, il mitico Charles Ebbets, andò a dichiarare che il giocatore di fatto non era più gradito in ambito della franchigia. Più esplicito fu John Heydler, il Presidente della National League, che con fermezza disse che “Marquard ha ferito Brooklyn e ha ferito la National League con la sua azione. Il baseball non vuole uomini del suo calibro e non credo che tornerà in campionato la prossima stagione, anche se probabilmente non prenderò alcuna azione ufficiale da solo”.

 

Per alcuni mesi sembrò che l’episodio avesse posto fine alla carriera del giocatore, e di certo lo fu per i dirigenti della squadra dei Robins che a fine anno lo cedettero ai Reds di Cincinnati da dove poi emigrò a Boston con i Braves. 

 

Questo episodio certamente è stato il momento più imbarazzante della carriera sportiva di Rube poichè divenne un oggettivo ostacolo ad ogni suo riconoscimento.

 

Ma i successi ottenuti da Rube sui diamanti non sono mai stati dimenticati ed è per tale motivo che la Veteran’s Committee nel 1971, ampiamente sfumando con coraggio i temi della trasgressione come fatto comune di sciocca avidità molto praticata negli anni venti del 19esimo secolo, pur a denti stretti fu favorevole ad un tardivo perdono immortalandolo poi con merito nella Baseball Hall of Fame di Cooperstown

 

Michele Dodde

 

 

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