La perdita di un mito

Foto tratta dal quotidiano "L'Arena di Verona"
Foto tratta dal quotidiano "L'Arena di Verona"

Foto tratta dal quotidiano "L'Arena di Verona"

di Paolo Castagnini

E' una notizia difficile da digerire. Forse è uno sbaglio. No non è uno sbaglio. Il ritaglio di giornale cittadino che mi ha inviato mio fratello è vero. Mi è mancato un mito, un mio mito. Quando iniziai a giocare a baseball al campo del Boschetto a Verona  assieme ai miei compagni, tutti più grandi di me, io tredicenne vivevo all'interno di una bolla fantastica. Per me ragazzino vedere una partita della Prora Verona era come andare al Fanway Park. Dall'argine del fiume Adige  si entrava da un cancelletto dove alla domenica il bigliettaio di turno faceva pagare l'ingresso a quello che sarebbe stato per me un pomeriggio indimenticabile.

Profumo di hot dog, musica, suoni, il rumore della palla che colpisce la mazza durante il batting pratice, le grida e gli sfottò che facevano parte delle partite di allora. Insomma un'atmosfera anche se piccola paragonabile al Fanway Park di Boston.

 

Siamo negli anni 1966/1967 la squadra principale della città era la Prora Verona. Conservo ancora qualche cimelio di quel tempo come un giubbino di raso impossibile da trovare in altre squadre. L'inizio della partita era un frastuono di luci, colori e come scritto poc'anzi sfottò di ogni genere.

 

All'interno della squadra c'erano i miei idoli, i miei miti. Alcuni con il tempo sfiorirono nei miei ricordi, altri rimasero fulgidi. Uno in particolare era il mio, come dicono gli Americani, "favorite player". Giocava in seconda base e aveva un carisma irresistibile. Luciano Benini era un ragazzone, uomo per me, buon giocatore, mani veloci nel doppio gioco, ma ciò che lo distingueva era un fascino unico. Per lui la partita era un divertimento. 

La foto del CUS VERONA fine anni 60 presso il campo del Boschetto. Luciano Benini è il giocatore cerchiato di giallo (Foto tratta dal sito elguanton.org)
La foto del CUS VERONA fine anni 60 presso il campo del Boschetto. Luciano Benini è il giocatore cerchiato di giallo (Foto tratta dal sito elguanton.org)

Noi del pubblico eravamo ammassati dietro la recinzione di casa base con sedie che venivano consegnate dagli organizzatori. Il piatto di casa base non distava i 18 metri di un campo regolamentare bensì 6/8 metri pertanto ogni sfumatura dei giocatori veniva vissuta dal numeroso e rumoroso pubblico presente.  A quei tempi l'arbitro veniva contestato in modo spesso aggressivo dai battitori che protestavano sulle chiamate di strike e ball. Lui invece anziché contestare guardava l'arbitro e si apriva con un meraviglioso sorriso.

 

Ecco questo era l'esempio che avrei voluto imitare, avrei voluto diventare come lui, cosa naturalmente che non fu possibile. Ma c'è un altro aspetto che distingueva Luciano Benini ed era il rispetto. Quando stavo con i giocatori più grandi ero il ragazzino da prendere in giro. A quei tempi si usava molto trattare i giovani da matricole come nel servizio militare. " dai bocia, date na mossa!" Lui no, lui aveva sempre avuto nei miei confronti un grande rispetto. Si rivolgeva a me  come fossi un adulto e questo non lo dimenticai. Purtroppo smise di giocare molto presto. Sposò una ragazza americana dalla quale poi si separò e si dedicò al suo grande amore: la musica.

 

Gestì per qualche anno un negozio di dischi in centro di Verona dove trovavi di tutto compreso il jazz, il suo vero amore. Aprì un locale molto particolare come tutto ciò che faceva  che chiamò "Il Posto" dove arrivarono musicisti da sogno da ogni parte del mondo. Acquistò una fattoria ai piedi del Castello di Illasi (Verona) e anche in questa scelta seppe distinguersi. Lo andammo a trovare una sera con un gruppo di vecchi giocatori e fu un'altra serata memorabile. Alla domanda se lui producesse il vino Soave o Valpolicella rispondeva che lui produceva il suo vino, quello di Luciano Benini. 

 

Aveva una Ducati Scrambler bellissima, anche quella un mio sogno del tempo che poi sostituì con una moto BMW con la quale copriva la distanza tra Illasi e Verona.

 

Un giorno gli portai una ragazza che cantava e suonava la chitarra nel suo "Il Posto". Lui l'ascoltò fece uno dei suoi sorrisi e gli disse: "domani sera il palco è tuo".

 

Ora non c'è più e mi resta un grande rammarico. Quello di non averlo conosciuto meglio, ma forse è proprio per questo che rimase per me un mito, il mio mito.

 

Paolo Castagnini

 

Ciccando sulla foto qui sotto, l'articolo sul quotidiano "L'Arena di Verona" sulla sua scomparsa

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