
Di recente, leggendo qua e là le notizie on line, in questo momento storico così convulso e complicato, mi sono imbattuta nel ricordo di Sammy Basso (1995 – 2024). Basso, affetto da progeria, ossia dalla “sindrome da invecchiamento precoce” è morto l’anno scorso, il 5 ottobre, per un malore e ciò che più mi ha colpito è stato leggere che sulla sua tomba vi sono una salamandra, il Tao francescano e … una palla da baseball. Ovviamente mi sono subito interessata ancor di più alla vita di questo ragazzo eccezionale che già conoscevo e che ha vissuto pienamente i suoi 28 anni, studiando, viaggiando e divulgando il più possibile sulla sua condizione, ma anche sulla sua “voglia di vivere”, anche grazie ad un documentario che girò nel 2014, quando appena diciottenne e fresco di maturità fece un viaggio negli Stati Uniti, il viaggio che per molti è quello “della vita” sulla Route 66 da Chicago a Los Angeles, coast to coast, dall’Illinois dei miei amati Cubs alla California con le sue tante squadre.
Da questo viaggio è stato ricavato un documentario che, tra l’altro ha fatto vedere il primo lancio di Sammy durante la partita tra St. Louis Cardinals e Milwaukee Brewers, del 18 settembre 2014: un’esperienza pazzesca per chiunque e ancor più da valorizzare.
Chissà, forse da quell’episodio Basso s’innamorò del nostro gioco e chissà, forse già tifava anche per qualche squadra italiana e di MLB; ad ogni modo vederlo immortalato in una foto con la mascotte dei Cardinals fa proprio piacere e sapere che una palla da baseball lo connoterà per sempre, ancor di più.
Sammy Basso ci ha lasciato il suo impegno nell’”Associazione Italiana Progeria Sammy Basso”, nata con l’obiettivo di promuovere la ricerca su questa malattia estremamente rara.

La Sindrome di Hutchinson-Gilford (HGPS) o progeria è infatti una malattia rara che causa l’invecchiamento precoce e in Italia, oltre a Sammy, già l’avevamo conosciuta per l’analoga vicenda che colpì la bolognese Isabella Ceola, che andò, come Basso al Maurizio Costanzo Show, con l’intento di mostrarsi per ciò che era e non passare per un fenomeno da baraccone; del resto erano altri anni e la disabilità era vissuta socialmente con indifferenza, fastidio e quasi come una colpa per chi l’aveva.
Isabella è morta nel 1997, quando Sammy iniziava, già a due anni a fare i conti con la sua malattia. Entrambi hanno lottato e si sono messi in gioco, si sono laureati in scienze politiche Isabella, in materie scientifiche Sammy, si sono mostrati al pubblico nello show di Maurizio Costanzo, cui tanto dobbiamo anche per questo ed entrambi ci hanno mostrato la dignità e l’integrità di chi vive pienamente la vita, col sorriso e impegnandosi.
Vivere comunque al massimo delle proprie possibilità è del resto molto americano e non stupisce quindi l’accoglienza che Sammy ebbe a St. Louis, perché gli statunitensi sono così: vivono la disabilità e la malattia, come una sfida, una caratteristica che rende unici e che deve stimolare a vivere comunque al top, utilizzando le abilità che comunque si hanno.
Da questo punto di vista devo dire che sono ammirevoli e il baseball, così come lo sport statunitense in generale è molto in sintonia con chi porta un messaggio o sponsorizza qualche associazione o iniziativa come quella di Sammy ed ecco, perché, con ogni probabilità sulla sua tomba si trova una palla da baseball.
E allora Go Sammy! e che ad un anno esatto dalla tua dipartita la terra ti sia lieve! Il tuo esempio resterà per sempre.
Allegra Giuffredi
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