
Quando dopo due mesi dalla sua dipartita avvenuta ad Hollywood l’8 marzo del 1999 le librerie statunitensi misero in vendita il libro “Joe DiMaggio: the Hero’s Life” biografia non autorizzata scritta dal giornalista scrittore premio Pulitzer Richard Ben Cramer ai più sembrò che fosse compiuta l’enorme mole di volumi e saggi scritti sul grande Joe DiMaggio quand’ecco che a chiuderla, con i tipi dell’editore di New York Simon & Schuster, nel 2017 apparve un curioso e particolare volume “A Dinner with Joe DiMaggio” scritto a quattro mani dai fratelli Positano, Rock e John, con la prestigiosa prefazione di Francis Ford Coppola.
Nel dicembre del 2024, a cura di Germana Valentini e la traduzione di Giovanna Ciracì, editore “i Quaderni del Bardo”, il volume con una splendida ed accattivante copertina e con il titolo “A cena con Joe DiMaggio” viene veicolato in Italia sia per il piacere degli appassionati italiani di baseball che per coloro che meglio vorrebbero conoscere questo particolare giocatore passato alla storia anche come il marito della celebre Merilyn Monroe.

E’ questo un libro di inusuale interesse poichè non raccoglie le prestigiose qualità sportive nel gioco del baseball che hanno reso Joseph Paul DiMaggio una indelebile icona nel mondo dello sport a stelle e strisce ma riporta come un intimo diario gli aspetti umani di un uomo che, una volta reso famoso ed anche idolatrato, non ha mai tradito le sue origini e non è mai andato oltre alla propria fama ma con determinazione ha sempre voluto restare fieramente a delineare un serio modello di vita divenendo quell’incancellabile icona “Yankees Clipper” per i tifosi o “ l’evento più significativo che si sia mai verificato nella storia dello sport americano” per dirla come un professore di Harvard.
Il libro quindi deve essere letto con profonda religiosità poichè è stato realizzato tramite una saga di appunti che il podologo Rock Positano, professore al Weill Cornell Medical Center, ha registrato da quando nel 1990, con una diagnosi e cura riuscì a curare a DiMaggio i continui dolori che gli venivano causati da uno sperone osseo del tallone, dolori questi che a suo tempo gli avevano anche limitato la già grande carriera nel baseball realizzata dall’eclettico esterno centro degli Yankees.
Sono ricordi degli ultimi dieci anni della vita di Jo DiMaggio dunque, non quelli di quando giocava e per tale motivo non emerge tra lo scritto il giocatore ma l’uomo DiMaggio notoriamente molto riservato in merito alla sua vita personale ed alle sue scelte che non dovevano mai essere banali o fraintese.
Tra le pagine così, memore della sua vita e fedele alla filosofia dell’"est unus quisque faber suae fortunae", viene evidenziato come DiMaggio apprezzasse tutti quegli italiani che con determinazione, serietà e consapevolezza sono riusciti ad affermarsi tra le pieghe difficili della società americana, tra cui proprio il Positano con il quale, pur essendo più giovane di lui di ben 44 anni, riesce ad instaura una salda amicizia che sfocia anche ad intime confidenze.

"Accompagnandolo a ogni sorta di eventi", scrive l'autore, "ho visto una sorprendente varietà di persone famose, ricche e potenti che lo ammiravano e volevano avvicinarsi a lui. L'intensità della loro ammirazione mi ha sorpreso”.
E da qui sono citati con curiosi aneddoti di vita gli incontri avvenuti con varie personalità politiche, sportive e star del cinema tra cui Henry Kissinger, che Jo stimava moltissimo, poi Tom Hanks, Luciano Pavarotti, Regis Philbin, Rudy Giuliano, Tommy Lasorda, Jack Lemmon, Walther Matthau, Gregory Peck, Frank Sinatra, fortemente detestato, Bill Clinton per finire con un improvviso incontro anche con Sophia Loren
Si scopre poi il DiMaggio uomo introverso e fragile nel venire a conoscere l’intima confidenza inerente i due matrimoni falliti e tuttavia il grande amore sentito per Merilyn Monroe, il contrasto con il figlio problematico avuto dal primo matrimonio, le sue convinzioni politiche, il suo disagio per coloro che non si vestivano in modo appropriato e da ultimo i giudizi su giocatori di baseball che rispettava e disprezzava ed in particolare precisando che “Nella mia epoca erano tutti sportivi, atleti a tutto tondo. Oggi sono dei raider aziendali. Potrebbero anche essere dei commercialisti o degli avvocati sportivi. Giocano solo per il profitto”
Dunque un libro da biblioteca che purtroppo nell’edizione italiana soffre di una serie di fastidiosi refusi ma soprattutto di una orribile traduzione relativa al gioco del baseball: confondere il centrocampo con l’esterno centro già si pecca, ma tradurre “bat” con “pipistrello” invita a gettare via la pagina.
Ancora, poi, nell’edizione italiana sarebbe stato opportuno, al fine di completare “la conoscenza di un uomo straordinario”, come spiega l’editore Stefano Donno che ha portato in Italia il libro, riportare almeno in appendice quanto avvenne in una gran bella giornata d’estate nel 1957. Jo DiMaggio, in visita in Italia, venuto a sapere che a Nettuno si giocava a Baseball, vi si recò e raggiunse il campo di gioco realizzato nella tenuta del principe Borghese dove la squadra di Nettuno stava giocando contro la Roma.
Al suo arrivo il pubblico lo riconobbe e la partita fu sospesa poiché dagli spalti nacque un invito a gran voce a mostrare come si doveva battere la pallina. DiMaggio di buon grado si portò nel box di battuta vestito con giacca e cravatta, come era suo costume, pronto ad affrontare quell’eroe locale che allora era il lanciatore mancino Carlo Tagliaboschi, noto per i suoi gran baffoni.
Si racconta, come ricorda Christian Rocca “che Tagliaboschi era emozionatissimo, ma si preparò al meglio e lanciò verso il campione una bella pallina veloce. Con la sua maestosa eleganza, DiMaggio si avventò con grazia consueta sulla pallina. Ma la mancò clamorosamente. La gente rimase senza parole: il piccolo e baffuto Tagliaboschi aveva fatto uno strike al grande DiMaggio. L’entusiasmo si trasformò in evidente imbarazzo. Joe DiMaggio allora si tolse la giacca, la piegò con cura e la posò per terra accanto al piatto di battuta. Con calma si arrotolò le maniche e poi urlò a Tagliaboschi di tirarne un’altra: “More, ancora – gli disse – Give me some more. Dammene un’altra”. Tiraboschi rilanciò, ma questa volta DiMaggio colpì la pallina in pieno. E la pallina prese una traiettoria formidabile. I giocatori non tentarono nemmeno di acciuffarla, rimasero a guardare inebetiti quel fulmine che oltrepassava il muro di recinzione, sorvolava la fattoria vicina, attraversava la strada, superava la spiaggia, si involava verso gli scogli per infrangersi, infine, dopo un viaggio lunghissimo tra le onde del mare. Mai vista una cosa simile. Un grande “ooohhh” si levò dagli spalti. Poi mezza Nettuno corse verso il mare a cercare quella pallina leggendaria”.
Chi scrive aveva allora 15 anni e non può dimenticare quell’evento…
Michele Dodde
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Maria Luisa Vighi (martedì, 06 maggio 2025 10:47)
Racconto emozionante...La traettoria del secondo colpo è mitica: la fine nell'acqua del mare appartiene alla mitologia degli eroi....
Dario Bazzarini (martedì, 06 maggio 2025 11:01)
Come sempre preciso e documentato!!! Grande Arbitrone !!!
Scirman Arduino (martedì, 06 maggio 2025 12:28)
Bellissima storia. Quel giorno c'era anche mio papà. Quando eravamo un po' più grandi ci raccontava quell' episodio con molta emozione.
Rosa Mariano (giovedì, 08 maggio 2025 13:22)
Un uomo che è rimasto campione per tutta la vita: fedele al baseball e all'amore per la Monroe. Le cronache raccontano che Di Maggio era l'unico a portare i fiori sulla tomba dell'attrice .
In una società sempre più distratto, dove uomini e cose, sulla carta stampata hanno sempre più vita breve, è encomiabile che l'editore del Bardo Stefano Donno abbia curato l'edizione italiana della biografia, di certo la più significativa, del grande campione Joe Di Maggio