Tre belle storie

Samuel Aldegheri tra i ragazzi del Verona

di Allegra Giuffredi

Come sappiamo, le recenti World Series hanno visto i Dodgers di Los Angeles scontrarsi con gli Yankees di New York e, alla fine, con un 4 a 1 i primi hanno prevalso sui secondi, vincendo una rocambolesca gara5 proprio nella Grande Mela. A parte l’esito vincente per i Dodgers, durante le partite ho scoperto tutta una serie di aneddoti molto umani, molto veri, che hanno coinvolto i giocatori di entrambe le squadre, perché il baseball è una fucina di aneddoti ed è sempre uno sport popolare, ancorché molto ricco. Dalle dita rotte di Anthony Rizzo, prima base degli Yankees con le quali ha comunque giocato durante la conquista dell’American League e quindi tutte le World Series, al bimbo di Freddie Freeman che durante la stagione ha sofferto di una malattia autoimmune, fino alla vicenda umana di Anthony Volpe shortstop degli Yankees, sono davvero tante le storie che hanno fatto da corredo alla conquista delle World Series del 2024.

Anthony Rizzo, mai troppo rimpianto prima base dei Chicago Cubs ed ormai in pianta stabile presso gli Yankees, si è sempre fatto apprezzare per la sua simpatia e sportività quando, per esempio, durante il Covid offriva il detergente liquido all’avversario che arrivava in prima base, o anche solo due parole e un sorriso e che durante le recenti World Series ha giocato con due dita rotte, mascherandole sotto il guanto, perché nonostante la sua indubbia simpatia, Rizzo è anche uno dei giocatori più “colpiti” di sempre.

Passando da un Anthony all’altro, arriviamo ad Anthony Volpe, anch’egli italoamericano, perché gli Yankees sono assolutamente un baluardo degli italoamericani di New York, anche se talvolta sono un po’ “too much”, diciamo così e quindi risultano un po’ antipatici, ma in questo caso, Anthony Volpe, yankee sfegatato, farà simpatia, perché ha una storia proprio “carina, carina”, alle spalle.

 

Dovete sapere infatti che il nonno di Volpe quando partì per la guerra in Europa con le truppe americane, stava per diventare papà e una volta fortunatamente tornato, si era ritrovato con il papà di Anthony, Michael, all’epoca cinquenne e sconosciuto e quindi per entrare in sintonia con questo “gnomo” che lo guardava tra il curioso e l’impaurito, decise di giocarsi il jolly, accompagnandolo a vedere le partite degli Yankees.

 

Potete ben immaginare cosa volesse dire, per un bimbo americano, andare allo stadio col papà, per tifare la stessa squadra e coltivare quel legame sportivo e famigliare che molto spesso travalica le generazioni e passa anche per la stessa squadra sportiva.

Il papà di Volpe è poi diventato un medico, così come la mamma e non ha mai dimenticato la sua appartenenza sportiva, tanto che anche lo stesso Anthony, oltre che un giocatore degli Yankees, ne è pure tifoso: niente di più romantico e bello, praticamente una storia da film!

 

Un po’ come quella che anni fa fu alla base del film sugli avversari, tra i più radicati e forti degli Yankees, vale a dire i Boston Red Sox, che per descriverne l’affermazione, dopo tanti anni alle World Series del 2004, nel film “L’Amore in gioco (Fever Pitch)” prese spunto dalla storia di un nipote, dopo il divorzio dei genitori e di uno zio che per entrare in confidenza, trovarono proprio in Fenway Park la sede dove iniziare a conoscersi, coltivando visceralmente il tifo per la squadra di Boston. 

 

Al bimbo di Freddie Freeman, prima base dei Dodgers, invece, durante l’anno è stata diagnosticata la sindrome di Guillain–Barré, una malattia autoimmune che colpisce i muscoli, indebolendoli e proprio per stargli vicino Freeman ha giocato solo le partite casalinghe durante la Regular Season. Ma alla fine tutto è ben quel che ben finisce, perché il bimbo è guarito e il suo papà ha fatto la differenza, a suon di fuori campo, per la vittoria finale dei Dodgers: insomma un’altra storia da film!

 

Allegra Giuffredi

 

 

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