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Scelta sociale o business?

 

di Michele Dodde

I recenti rumors che hanno interessato gli “Oakland Athletics” circa un loro nuovo trasferimento di città stanno investendo direttamente la nuova filosofia dei colletti bianchi, azionisti delle varie società di baseball, che stanno vivacizzando la serpeggiante inchiesta inerente i futuribili gradimenti sportivi. Ed il baseball è al primo posto. Pertanto, nonostante gli accordi mediatici e televisivi che le squadre stanno firmando, è intuibile concentrarsi anche sull’importanza di rendere il gioco il più facilmente visibile attraverso il piccolo schermo, da qui le prove di cambiamento di alcune attrezzature ed un capillare controllo dei tempi, e ciò per mantenere inalterato se non migliorabile il flusso di miliardi di dollari.

Tuttavia però si devono ulteriormente considerare le tante iniziative che le franchigie stanno mettendo in atto per mantenere i tifosi allo stadio prima, durante e dopo le partite, cioè far diventare il “ball park” non solo un "campo da baseball" ma costruire intorno ad esso un'intera comunità che possa affinare con la squadra le proprie aspettative. Per tale motivo le squadre stanno seriamente pensando di realizzare nuovi campi da baseball al fine di consentire loro di possedere (o almeno possedere una quota di maggioranza) tutto ciò che circonda lo stadio.

E seguendo questa logica ora si mormora che gli “Athletics” stanno cercando e verificando con l’Amministrazione della città di Oakland la possibilità di una nuova area di sedime che possa soddisfare le loro avveniristiche necessità o in caso contrario individuare una nuova città sede che appaghi le loro esigenze.

 

Voci di corridoio indicano la eventuale nuova emigrazione verso Las Vegas, città pronta a concedere suolo e quant’altro necessita alla franchigia.

 

Ed in effetti una eventuale nuova emigrazione, che è pronta a sconcertare gli amabili tifosi, per gli “Athletics” non sarà una novità visto che la squadra era nata nel 1901 a Philadelphia in ambito della “American League”, lega fortemente voluta dall’estroso dirigente sportivo Byron Bancroft Johson, detto  “Ban” per contrastare in modo fattivo l’organizzazione della “National League” colpevole, secondo le sue aspettative, di aver ridotto il baseball ad un semplice ritrovo maschilista mentre egli caldeggiava sugli spalti la presenza delle famiglie ed anche delle donne.

La squadra a Philadelphia sotto la guida del funambolico Connie Mack vinse le World Series negli anni 1910, 1911, 1913, 1929 e 1930 per essere poi venduta nel 1955 all’industriale dal cuore sportivo Arnold Johnson che, per ampliare il numero dei tifosi, ritenne opportuno trasferirla a Kansas City.

 

Successivamente, sempre alla ricerca di ulteriori spazi, nel 1968 la squadra approda ad Oakland potendo disporre per le proprie partite casalinghe del Ring Central Coliseum, impianto da 46.847 posti a sedere.

 

Qui subentra l’eccentrico proprietario Charlie O. Finley che rafforza la squadra con Catfish Hunter, Reggie Jackson e Rollie Fingers e vincerà ancora tre titoli delle World Series dal 1972 al 1974.

 

Si imporrà di nuovo nelle World Series del 1989 con l’apporto di Josè Canseco e Mark McGwire, più noti come i “Bush Brothers”, oltre agli Hall of Famer Dennis Eckersley e Rickey Henderson. La sua storia infine verrà sublimata nel 2011 sul grande schermo con il film “Moneyball” e nelle librerie con l’omonimo libro nei quali è dimostrato come gli “Athletics” con opportuni e mirati studi evidenziati dalla sabermetrica siano stati fortemente competitivi malgrado le loro scarse disponibilità finanziarie.

Ma con tutto il mondo del baseball in movimento con ampi coinvolgimenti in Africa ed in Cina non dovranno più meravigliarci siffatti cambiamenti di sede e/o di nomi delle franchigie così come ha dimostrato l’ampia metabolizzazione avvenuta da poco relativa al cambio di logo e costume avvenuto a Cleveland sotto la spinta emotiva di un “razzismo” in sedicesimo inerente la caricatura dell’indiano sorridente, “Capo Wahoo”.

 

Ora a Cleveland dal 19 novembre non esiste più la franchigia “Indians” ma quella indicata con il nome “Guardians” in riferimento alle quattro monumentali statue che danno lustro al ponte Lorein Carnegie, vere opere d’arte presenti nella città, pur se già una squadra di New York nell’ambito della “X Football League”, meglio conosciuta con l'acronimo XFL, lega professionistica statunitense di football americano, porti lo stesso nome. Comunque il logo dell’indimenticabile “Capo Wahoo” è rimasto nel cuore di molti tifosi ed incomincia ora a fare cassetta tra i cimeli degli antiquari.

 

Per quanto sopra dunque, a differenza dei “Royals” di Kansas City e di poche altre squadre di espansione i cui nomi sono stati scelti logicamente e sistematicamente dai loro tifosi, la maggior parte delle squadre che costituiscono la Major League Baseball dalla loro fondazione ad oggi avevano nomi ed occupavano sedi ben diverse dalle attuali. Un viaggio quindi che ci porterà a scoprire velleità di essere state presenti nella società per scelta e volontà ma senza dimenticare la nobiltà di azzerare, migliorandolo, il bilancio societario. 

 

Michele Dodde

 

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