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Il connubio tra baseball e politica americana

DJ Suonandajie (Photo Amy Kontras for The New York Times) 

di Michele Dodde

Nel 2018 è apparso nelle librerie americane un significativo saggio quale “The Presidents and the Pastime: The History of Baseball and the White House “. L’autore, il giornalista Curt Smith, già redattore della holding di mass media Gannet Co., Inc., poi caporedattore del “Saturday Evening Post” ed infine prescelto ed apprezzato “Gost Writer” di molti discorsi presidenziali della Casa Bianca, con questo suo lavoro di ricerca ha voluto divulgare lo stretto connubio sempre esistito tra il gioco del baseball, pura sintesi sociale, e la politica attraverso l’interesse dimostrato dai tanti Presidenti in quanto fermamente convinti che “il baseball e la politica sono simili: alla fine, un osservatore sa chi ha vinto, chi ha perso e, per la maggior parte, anche il perché”. 

Dopo aver scritto diversi libri sul baseball tra cui “Voices of the Game: The History of Baseball Broadcasting” che la rivista “Esquire” ha selezionato tra i “100 Greatest Baseball Books Ever Written” e che il quotidiano USA TODAY lo ha enfaticamente definito come "la voce dell'autorità americana sulle trasmissioni di baseball" l’aver dato alla stampa  questo suo 18esimo libro edito per conto della University of Nebraska Press ha destato molto interesse ed anche curiosità per via del vasto personale background cui l’autore ha potuto attingere.

Il suo racconto per un significativo amore verso il gioco in verità parte da molto lontano e forse va a riscrivere da par suo la storia del baseball poiché affonda le radici sino a George Washington andando a precisare che fu proprio il futuro primo Presidente degli Stati Uniti a praticarlo valorizzando ciò che George ebbe a scrivere nel suo diario durante la sua permanenza presso l’Accademia Militare di Valley Forge, ovvero che “per ore era solito lanciare e prendere una pallina unitamente al suo aiutante di campo…”. Poi però si sa che l’inizio della storia vera del gioco è stata datata in quel 19 giugno del 1846 lì nei pressi degli Elysian Fields in Hoboken: il resto solo vanterie e chiacchiere da bar. 

Interessante invece così incominciare a prendere atto dell’aneddoto di Abraham Lincoln (nell'illustrazione) che nel 1860, dopo che alcuni emissari gli stavano comunicando di aver vinto la nomination presidenziale, con molto aplomb si dice abbia risposto: "Per la mia formale accettazione si dovrà aspettare ancora qualche minuto. Sto giocando e non posso lasciare sino a quando non avrò avuto un altro turno di battuta". Ovvero il futuro acclamato Presidente, per non essere coinvolto dalla tensione emotiva durante l’attesa, si stava rilassando giocando amabilmente a baseball con i suoi collaboratori. 

 

Curt poi conferma che tutti i Presidenti hanno sempre avuto nei confronti del baseball molta simpatia partecipativa a meno di Teddy Roosevelt e Calvin Coolidge. Il primo perché pensava che il baseball fosse un "gioco mollycoddle", il secondo che incominciò a volgere lo sguardo con sufficienza verso il gioco ma solo per “placare” le richieste di sua moglie Grace che invece era appassionatissima.

Di certo a partire dal Presidente William Howard Taft (nella foto) che, grazie all’invito del manager dei Senators Jimmy McAleer, lanciò l’improvvisa idea di lanciare pubblicamente la prima pallina in quel 14 aprile del 1910 durante la gara tra gli Athletics di Philadelphia ed i Senators di Washington, il gesto oltre ad essere politicamente molto apprezzato diede il via ad una gradita tradizione collaterale in ambito degli Opening Day delle stagioni agonistiche.

 

Così Smith ha rispolverato per via indiretta le cronache e per via diretta grazie al suo lavoro presso la Casa Bianca le idee e la passione dei vari Presidenti nei confronti del baseball.

Ed ecco allora prendere vita tra le pagine, attraverso i loro diversi sentimenti e relativi aneddoti, le ombre dei vari inquilini della Casa Bianca da Theodore Roosevelt a Donald Trump tra cui l’eroico Franklin Delano Roosevelt che con i suoi atti salvò dall’oblio il baseball durante la seconda guerra mondiale, poi Dwight Eisenhower (nella foto) che giocò a baseball da semi-professionista sotto lo pseudonimo di "Wilson" e come, fortunatamente per Ike, avesse conservato la sua borsa di studio presso l’Accademia di West Point, di un Richard Nixon genuino e puro accanito tifoso tanto da essere stimato da tanti giocatori e come la sua competenza lo avesse proiettato ad essere seriamente considerato come un potenziale commissario della Major League, di George H. W. Bush, laureato nel 1948 alla Yale University e già straordinario prima base apparso nelle prime College World Series, per come tenesse il suo guanto MacGregor ben oliato a portata di mano nel cassetto della scrivania del suo Studio Ovale poiché era solito affermare che “il baseball è ed ha tutto”, di come Jimmy Carter fosse riuscito a capire quanto fosse importante il baseball attraverso gli insegnamenti della madre Lillian per finire alla emblematica frase “Go Sox” posta da Barack Obama sul registro degli ospiti d’onore in visita alla National Baseball Hall of Fame nel 2014. 

Tuttavia ora, sorvolando sulla personale diceria di Herbert Hoover che dichiarava di essere lui il tifoso più anziano del gioco del baseball, una nota di riguardo va verso Woodrow Wilson (nella foto) unanimemente riconosciuto come “il Presidente più sostenitore del baseball”.

 

Si racconta infatti che già da piccolo era solito disegnare sui suoi quaderni diagrammi di campi di baseball e poi in seguito giocare e considerato da alcuni scout “eccellente giocatore” nel ruolo di esterno centro nella squadra del Davidson College.

 

I suoi compagni di squadra però in seguito hanno testimoniato che il loro eccellente esterno più che il gioco era troppo preso dagli studi tanto da fargli saltare più di qualche allenamento. 

 

L’autore poi scrive che Wilson ha amato il baseball più profondamente di qualsiasi altro inquilino della Casa Bianca sia che lo abbia preceduto sia tra i suoi successori e va a precisare inoltre il detto di Clark Griffith, proprietario dei “Washimgton Senators”, quando affermò che "Wilson era di gran lunga il miglior tifoso dei Senators. Conosceva molti giocatori e veniva spesso al campo. Con un accordo speciale poi si permetteva all'autista di Wilson di entrare nello stadio attraverso un cancello esterno da dove l'allora presidente malato poteva guardare la partita indisturbato”.

 

Sì, perché il Presidente Wilson, malato del suo ictus ed afflitto da continue emicranie e dolorosa dispepsia solo nel baseball trovava conforto poiché gli permetteva di avere pochi e felici momenti di calma. E di lui l’intrigante Ty Cobb ebbe a dire: “Il Presidente Wilson ? E’ stato il più grande americano”.

 

Un libro dunque di complesse testimonianze ma anche chiarificatore di come il baseball sia fonte di riflessione sociale per la politica e con la politica.

 

Michele Dodde

 

 

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Commenti: 1
  • #1

    Rosa Mariano (martedì, 11 aprile 2023 14:22)

    Caro Michele, apprezzo lo stile sempre avvincente dei tuoi articoli, e plaudo ammirata del corredo fotografico che includi a questi.