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Quando il caso diventa cultura

di Michele Dodde

La recensione di un libro ed il suo particolare titolo fanno nascere curiosità ed interesse verso un mondo che crediamo di conoscere e che invece è lontanissimo dai nostri schemi filosofici e culturali. La curiosità viene ampiamente soddisfatta da Paolo Bossi ricordando la presenza in quel di Novara di Hiromitsu Kawai, estroverso giapponese dalla manualità occidentale, dal cuore d’artista, dalla mente orientale. Un incontro che evidenzia quanto grande sia la modestia e quanto sublime il vero senso di appartenenza, concetto che esula dalla semplice filosofia per divenire realtà concreta e costruttiva. E quanto il baseball in tutto questo sia il fenomenale “Teamplay”. 

 

 Parla con Kawai, non te ne pentirai!!!

 

 di Paolo Bossi

Da una semplice telefonata, fatta per curiosità, allo storico giocatore giapponese del Novara, salta fuori una sorpresa finale. Sullo spunto dei racconti cosiddetti “monogatari”, usanza nipponica, emergono le virtù dei campioni di baseball… ma anche certi anniversari e, in formidabile crescendo, un simbolo da valorizzare!

Un articolo apparso di recente sul sito “Baseball on the Road”, a firma di Michele Dodde, ha attratto la nostra curiosità. Era la recensione di un libro di Filippo Coppola e dal titolo “Monogatari”.

 

Il vocabolo giapponese identifica un vero e proprio genere letterario, un modo particolare di narrare le gesta ed esaltare “le virtù degli eroi” di quel Paese: nel caso del volume citato, si tratta di alcuni campioni del baseball.

 

Per saperne di più non resta che leggere il libro, ovviamente.

Ma intanto quella parola ha stuzzicato l’idea di salutare un vecchio amico coinvolgendolo un po’ sul tema: lui è Hiromitsu Kawai. Giapponese sì, ma trapiantato in Italia (a Novara) da ben oltre mezzo secolo. Dunque, a pieno titolo, uno di noi.

 

Chi desidera saperne di più circa il personaggio può consultare

il volume “Figli della Lippa” edito nel 2018 per i 50 anni della società: nel 2022 diventano 55!

 

In sintesi, lui giocò a baseball, come lanciatore e seconda base, con il neonato B.C. Novara grazie a un approccio casuale avvenuto nel 1969. Kawai, ormai 35enne, era da poco giunto da Tokyo nel nostro Paese per motivi di lavoro (settore del design) e conosceva bene questo sport, “nuovo” a Novara, per averlo praticato a lungo in età studentesca. 

Con queste premesse, s’è immaginato che Hiromitsu potesse rispondere a una semplice domanda: è così diverso il modo di descrivere il baseball in Giappone, a confronto di quanto avviene in Italia, e tanto da ispirare addirittura un libro?

 

Non si pensava però che il quesito avrebbe suscitato un fortissimo interesse nell’interlocutore, al punto che, tra telefonate ed e-mail, ne è venuta fuori una chiacchierata simile a un’intervista. Praticamente una storia. E con lieto fine.

 

“Per dare una risposta alla tua domanda - ha subito spiegato Kawai - dobbiamo cominciare dalle origini, ricordando che il baseball nacque in Giappone ben 150 anni fa, nel 1872, grazie a un professore americano che, a Tokyo, lo insegnava ai suoi studenti. Non fu un caso: egli venne invitato perché dopo un lungo immobilismo si voleva modernizzare l’istruzione. Perciò questo sport si diffuse rapidamente come attività ricreativa in ambito scolastico, dalle medie sino all’Università. E così è stato anche nelle epoche successive: c’è dunque una base studentesca. Solo per fare un esempio, fin dal 1915 si svolge ogni anno, nel mese di agosto, una importante competizione nazionale che coinvolge le scuole superiori”.

 

“Nel frattempo - prosegue Hiromitsu - e curiosamente nell’anno 1934 in cui sono nato io, comparve in Giappone (dopo la visita di squadre americane) il baseball professionale, inizialmente gestito dalle case editrici dei quotidiani e dalle ferrovie private, allo scopo di fidelizzare i clienti ed acquisirne di nuovi.

Per venire dunque al tema proposto, ricordo che alla fine della guerra, terminate le elementari, eravamo tutti alla ricerca di nuovi eroi di riferimento e li trovavamo in quei giocatori di baseball che si distinguevano per talento e ci facevano sognare”.

Soprattutto nel dopoguerra, dunque, rifiorirono i racconti cosiddetti “Monogatari”, anche quelli applicati al baseball?

“Sì, per enfatizzare personaggi e gesta meritorie, come è da sempre consuetudine in Giappone, allo scopo di educare le nuove generazioni. Fu un ritorno di tradizioni desiderato: al proposito bisogna dire che, durante e subito dopo la Guerra Mondiale da noi vissuta, ci fu un lungo buco culturale in Giappone. Infatti dal 1945 gli americani cercarono di colonizzare il Paese: quindi sono stati cancellati quasi del tutto usi e costumi tradizionali, inclusi arti marziali, sumo e altre discipline.

Tranne il baseball. Peccato che, purtroppo, un mio carissimo amico, un tempo famoso giocatore, ci abbia lasciati anni fa... sarebbe stato bellissimo farvelo incontrare!”.

 

Ma come avrei mai potuto incontrarlo? E, soprattutto, chi era questo amico?

“Si chiamava Akitada Tsukuda. Dopo un inizio come il mio, cioè in tornei studenteschi, negli anni Cinquanta il bravissimo Tsukuda entrò a far parte, come catcher, dei Mainiki Orions della Pacific League; e poi anche di altre squadre. Da poco infatti si erano formate le leghe professionistiche, accanto al settore dilettantistico”. 

 

Per la cronaca, i “Mainichi Orions”, vincitori della prima edizione del campionato professionistico giapponese nel 1950, esistono tuttora anche se il nome è mutato in “Chiba Marines”. Il livello tecnico giapponese è via via cresciuto e nel massimo campionato hanno giocato anche atleti italiani. Per esempio, recentemente, Alessandro Maestri. A inizio anni ’80, l’italo-americano Steve Rum, dopo anni formidabili a Novara (dal 1978) e a Nettuno fu convocato da Beppe Guilizzoni, manager della Nazionale Azzurra, al Mondiale (6° posto per l’Italia) che si svolgeva proprio in Giappone. Qualcuno mise gli occhi su Rum, tanto che si affermò poi sui diamanti del Sol Levante.

 

Proseguendo nel racconto, Hiro, che ne è stato in seguito dell’amico e campione Tsukuda?

“Dopo la carriera sportiva aprì un ristorante d’eccellenza a Tokyo, dove io stesso potei gustare più volte un sushi ‘imbattibile’. Ma non fu solo grande atleta e… ristoratore, bensì anche persona di straordinarie doti umane. Si saldò sempre più tra noi un’amicizia e ci vedevamo quando rientravo periodicamente in Giappone. E lui venne in Italia, a girare per i musei innamorato com’era della nostra arte; l’ultima volta a Novara una decina di anni fa, però non ci fu possibilità di organizzare un incontro tra ex del baseball”.

In definitiva, quali sono le virtù principali cui ambiscono i giapponesi, sportivi o no, e che possano essere raccontate in “stile Monogatari”?

“Rettitudine, cortesia, lealtà, rispetto delle regole e per gli avversari, coraggio nelle decisioni, senso dell’onore. Ma poi anche precisione, puntualità, amore per l’arte nel suo complesso e per le tradizioni. Penso di poter dire che il mio amico Akitada Tsukuda possedeva queste virtù”.

 

E noi riteniamo che abbia ampi meriti anche il nostro amico giapponese “Hiro”: diventato in Italia… Paese quasi su un altro Oceano, autorevole designer in campo industriale e nell’ambito dell’architettura, persino insegnante al Politecnico di Torino e artista con creazioni di pregio. Sarà un caso ma il nome “Hiromitsu”, impostogli dal padre, significa “arte oceanica”! Egli poi aggiunge una innata simpatia, l’amore per l’Italia e per la sua cucina (non solo sushi, dunque, ma anche - tiene a rimarcare - paniscia e gorgonzola) ed ha persino moglie (Anna) novarese! Insomma coniuga il meglio di due Paesi così lontani e diversi. 

 

Resta un dubbio e chiedo a Kawai: come mai il promettente lanciatore “Hiro” si fermò, in Giappone, al dilettantismo e non proseguì sulla strada delle leghe maggiori? 

“Quando io giocavo a baseball a scuola, con buoni risultati, mi infortunai abbastanza seriamente alla spalla destra e al gomito... tanto che ho il braccio destro più corto del sinistro! In quel periodo, ci fu una gara di “mezza maratona”, partecipai (a piedi nudi) e con mia grande sorpresa arrivai primo! Dopo la vittoria, la squadra di atletica leggera si interessò a me ed ebbi così una seconda occasione sportiva, dopo la delusione di aver dovuto rinunciare al baseball d’alto rango. Disputai con onore molte gare di maratona a livello nazionale e sino a 30 anni di età. Fui persino ammesso alle selezioni finali per partecipare alle Olimpiadi di Tokyo del 1964”.

 Cosa? Questa poi non la sapevo. Correvi i famosi 42,195 km con grandi risultati, hai “rischiato” addirittura di andare alle Olimpiadi e non me lo avevi mai detto…

“Non te l’ho mai detto perché non mi sembrava necessario, parlando noi solitamente di baseball. Non amo particolarmente citare me stesso”

 

La modestia: altra dote giapponese. Hiromitsu “Arte oceanica” Kawai la possiede!      

Ciò nonostante, nell’ennesima e conclusiva telefonata, propongo a Kawai di mettersi per questa volta in “primo piano” e disegnare, firmando, qualcosa che simboleggi i 55 anni del movimento del baseball novarese. Lasciandogli campo libero e senza fornirgli alcuna immagine di supporto, ma suggerendo solo il “concetto”, come chiesto da lui stesso. Non gli mostro la foto della prima partita ufficiale in assoluto, peraltro della primavera 1968. Il primo atto del baseball novarese invece risale a fine ottobre 1967. Da qui partono i 55 anni.

 

Il procedere del nostro amico designer verso il risultato esecutivo è meticoloso e non lascia nulla al caso. A un certo punto ricevo una serie di bozzetti da valutare.

Con quelli stessi aveva “foderato” il tavolo da lavoro e la libreria retrostante del suo studio. Dopo attento esame si converge (ascoltato anche Beppe) su tre soluzioni e, alla fine, esce quella ritenuta migliore per la chiarezza del “concetto”. Si vede la figura di un anonimo battitore che “pennella” con precisione il suo giro-mazza, in modo armonioso ma potente. Così da sospingere tra terra e cielo la pallina dalle rosse cuciture (in campo bianco) e che si porta dietro una scia d’azzurro con il numero fatidico.

 

Si legge, nell’atto costitutivo del B.C. Novara, che i colori sociali sono l’azzurro e quelli dello stemma comunale: rosso e bianco. Il testo in nero “BASEBALL A NOVARA” sottolinea una valenza comunicativa generale, riferendosi a un movimento diffuso.

 

Osservo, commentando con Hiromitsu: “un lavoro del genere, come già ti avevo anticipato, deve essere firmato o siglato dall’autore, o no?”.

Niente da fare. “Teamplay!”, esclama Hiro. “Secondo me - precisa Hiromitsu Kawai - questo progetto è TEAMPLAY, proprio come il BASEBALL gioco di squadra. Quindi NO firma, perché non è solo mio ma è di tutti noi!”.

 

Paolo Bossi

 

Tutte le foto ritraggono Hiromitsu Kawai

 

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Commenti: 3
  • #1

    Giuseppe Guilizzoni (venerdì, 22 luglio 2022 12:49)

    Hiromitsu e' certamente uno dei titoli di testa della storia del Baseball Novarese , ed in particolare di quella della crescita del 'batti e corri' a Novara .
    L'amico Dodde e' sempre molto attento a questi particolari e glie ne sono riconoscente .
    Sono i Dodde , i Bossi , i Marcoccio , i Pagnoni ed altri che permettono alla storia del nostro gioco di rimanere viva e di attualita' , facilitando il progresso .
    Per avere futuro e' opportuno basarsi su una piattaforma storica , almeno dove c'e' . Chi , volontariamente o no , se ne dimentica andra' incontro a mille difficolta' , talvolta insormontabili .

  • #2

    Beppe Guilizzoni (venerdì, 22 luglio 2022 14:56)

    Nel citare i nomi ho imperdonabilmente dimenticato Franco Ludovisi e quindi lo faccio ora !

  • #3

    franco ludovisi (domenica, 24 luglio 2022 20:59)

    Beppe, è vero, ho sempre cercato di fare la mia parte, ma considerarmi come Dodde o Pagnoni è troppo.