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Il baseball sul grande schermo - n° 16

 

di Michele Dodde

16^ parte

Le altre puntate: 

15^ 14^ 13^ 12^ 11^  10^  9^ 8^ - 7^  - 6^-  5^ -  4^ -  3^  2^ -  1^

 

E via via l’elenco si snocciola sempre più in modo interessante. Ma soffermiamoci ancora su “The Rookie” (2002) un ulteriore dramma diretto da John Lee Hancock. Trattasi della storia di Jim Morris, talentuoso giocatore che ha dovuto interrompere la sua brevissima carriera in Major League (1999-2000) a causa di un incidente. 

Ancora con il narrativo “Chasing 3000” (2008): un padre che racconta ai figli il momento magico vissuto nel 1972 insieme al fratello per aver potuto assistere alla 3000^ battuta valida del portoricano Roberto Clemente, grande esterno destro dei Pittsburgh Pirates, ma soprattutto grande benefattore coinvolto in più opere di beneficienza. 

 

Morì il 31 dicembre di quell’anno mentre portava aiuto ai terremotati in Nicaragua. La storia completa sulla vita di Clemente tuttavia è stata portata poi sullo schermo nel 2013 da Richard Rossi con il suo avvincente e scrupoloso “The Last Hero”

 

Poi da ricordare i film drammatici “Hustle” (2004) e  “I See the Crowd Roar” (2008). Il primo tratteggia con la matita blu la disordinata vita di Pete Rose, stellare icona dei Cincinnati Reds che, a causa di scommesse clandestine, da siderale leggenda si disintegra irreversibilmente nella polvere senza alcun appello. Film biografico dunque e ben diretto da Peter Bogdanovich con Tom Sizemore ad interpretare Rose sempre sopra le righe. E si rivedrà comunque la personalità di questo amato quanto irritante icona nel 2010 con il documentario “4192: the Crowing of the Hit King”. 

 

Il secondo è la storia vera di William Dummy Hoy, il primo giocatore sordo che, nonostante la sua menomazione, ha giocato in Major League dal 1888 al 1902. E’ il film ora una storia-leggenda con molti risvolti e distinguo da cui grandi e giovani possono trarre molti insegnamenti. Si dice anche che grazie a lui furono inventati i segnali che ancora oggi vengono usati in diamante. Un’altra corrente di pensiero sancisce invece che furono gli umpire Cy Rigler e Bill Klem ad aver ideato gli stessi per notificare al pubblico le proprie chiamate. Di certo comunque le fonti non cambiano di molto la sostanza della gestualità stessa. 

In chiusura di questo copioso periodo da evidenziare infine la partecipazione di molti noti scrittori nel dare il loro contributo e spessore alla settima arte. E dunque vengono visionati in questo periodo anche il rigoroso documentario “Jews and Baseball: An American Love Story” (2010) scritto dal premio Pulitzer 2001 Ira Berkow, diretto magistralmente da Peter Miller e voce narrante di Dustin Hoffmann: è una storia interessante per l’incisivo collegamento tra gli ebrei americani ed il baseball. 

 

Poi l’avvincente “Hardball” ( 2001) tratto dall’omonimo libro di Danile Coyle e ben diretto da Brian Robbins. In questo film vengono visionate le particolari ed intime vicende interessate alla formazione giovanile, in particolare di colore, e tutte tese a ricercare la concretezza della futura personalità. Film da vedere per la disarmante naturalezza mentale e fisica dei ragazzi. 

Ancora da prendere in considerazione l’interessante “Mickey” (2004) particolarmente atteso per via del produttore e sceneggiatore del film, ovvero quel best seller writer che è John Grisham. 

Lasciata la toga e le sue arringhe da avvocato ed i suoi gialli giudiziari, Grisham in questa sua opera prima sul baseball, la seconda sarà il quotato libro Calico Joe del 2012, tratta la tumultuosa vita in cui viene coinvolto Mickey, suo malgrado, e la sua partecipazione nel mondo del baseball con una franchigia della little league da cui ne uscirà con risvolti non certo adamantini.

 

La qualità delle sfumature viene data dall’esperienza dello stesso scrittore quando, giovane, ha allenato una squadra proprio della little league. A dirigere il tutto il suo compagno di fede Hugh Wilson.

 

In chiusura  il motivato “Game 6”  (2005) scritto dal grande e geniale Don De Lillo e diretto da Michael Hoffman.

 

Sulla falsariga dallo slogan del film “Vincere è possibile se sai condurre il gioco”, Game 6 delinea magistralmente la controversa ed emotiva sensibilità di Nicky Rogan, in arte Michael Keaton, inerente l’intreccio tra la passione per il suo lavoro di commediografo e quella di tifoso per i Boston Red Sox.

 

Segue

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Commenti: 1
  • #1

    Michele (lunedì, 20 giugno 2022 21:54)

    Storie straordinarie