· 

Scelta sociale o business? -#9

 

di Michele Dodde

A dimostrare, se ce ne fosse ancora bisogno, che i dollari in modo angelicamente subdolo riescono a smuovere promesse, ideologie e montagne, ecco di seguito la singolare storia dei “Baltimore Orioles”, una ennesima franchigia concepita in quel di Baltimore. Accadde che Ban Johnson nel 1901 nel proseguire il suo non molto visionario intento di organizzare una Major League idonea a sfidare l’allora presente supremazia della National League pensò opportuno di investire risorse economiche, come già fatto in importanti città della costa orientale, anche a New York per via delle molteplici ed emergenti etnie presenti nella grande mela. 

Il suo sogno però fu sfumato all’alba dalla potente loggia politica che manovrava sapientemente gli interessi dei “New York Giants”, molto gratificati dalla National League, e dunque amaro gli sembrò il divieto di stabilirvi una squadra della nascente American League. Allora la sua attenzione valutò ottimale fondare una franchigia nella città di Baltimore, località ingenuamente lasciata vuota dalla National League quando ridusse il numero delle sue affiliate.

Poi però, come già detto, quando gli imprenditori Frank Farrel e Bill Devery, divenuti proprietari dei “Baltimore Orioles”, fecero sentire il profumo dei loro dollari investiti, ecco che nel 1903 la loro squadra, liberando dalla loro casacca la scritta che li accomunava ai simpatici e dorati passeri “Orioli” approdasse in quel di Manhattan per giocare nello stadio Hilltop Park ed ebbe poi come solo problema la ricerca di un nuovo logo e nome che potessero richiamare la rituale approvazione del pubblico. La scelta cadde su “Highlanders” ma su questa sono state tramandate due correnti di pensiero: la prima, la più accreditata, recita che la scelta fu influenzata dalla  presenza in loco del famoso reggimento di fanteria scozzese “The Gordon Highlanders” e dalla volontà del nuovo presidente della squadra Joseph Gordon la cui famiglia era di origine scozzese, la seconda che, essendosi la squadra locata a nord dell’isola di Manhattan, ironicamente si autocompiace di essere chiamata “gli abitanti delle alte terre”.  

 

Come sempre accade però, l’esigenza di far quadrare il menabò delle pagine sportive dei quotidiani indusse il giornalista newyorkese Jim Price a coniare per la squadra il soprannome “Yankees” che tanto piacque poi alla tifoseria che fu adottato ufficialmente nel 1913. Da allora, e con questo nome, la franchigia di New York sotto l’amministrazione oculata di facoltosi dirigenti e la scelta di talentuosi giocatori tra cui Babe Ruth, Lou Gehrig, Yogi Berra, Joe Di Maggio, Mickey Mantle per complessivi ben 53 di loro onorati nella Home of Fame e con un ricco palmares di ben 27 World Series vinte, 40 titoli di Lega e 19 di Division l’hanno sempre resa quale gradita ambasciatrice statunitense nel mondo dei gadgets e degli indumenti sportivi. E ne è la prova il loro originale logo che ben ricorda l’epoca d’oro dei musical con Fred Astaire e Gene Kelly.

Ma il vulcanico Ban Johnson, per completare la griglia di partenza della sua American League, con studiata capacità volle coinvolgere nel progetto anche la capitale degli Stati Uniti, Washington. Nacque così nel 1901 la locale squadra “Washington Nationals, sulle pagine di stampa conosciuta come “Nats”, ma che non poteva non essere comunemente chiamata che “Washington Senators” in onore ai rappresentanti del Congresso.

 

Tuttavia, nonostante il blasonato lignaggio, la squadra si configurò sempre una franchigia perdente a meno dell’annata del 1924 quando salì sugli scudi della notorietà vincendo la sua prima World Series.

 

Quando nel 1920 Clark Calvin Griffith, che aveva giocato come lanciatore per i Senators ed ebbe poi modo di diventare uno dei più qualificati proprietari della franchigia, e cercasse con determinazione di migliorare tecnicamente l’intero roster della squadra, trovò che le esigue sorti economiche della società erano solo legate ad alti e bassi poiché potevano contare solo sulle entrate dai botteghini e da pochi mecenati. Questo stato di cose non gli permisero mai di ingaggiare giocatori di alto profilo ma anzi di farlo passare alla storia come proverbiale avara figura capace di tenere sempre solo una cauta gestione economica poiché condotta con studiata lesineria. Alla sua morte avvenuta nel 1955 il nipote Calvin ereditando la presidenza della squadra, al fine di appianare diverse pendenze, iniziò a valutare opportuno vendere il Griffith Stadium all’Amministrazione della città di Washington e poi a prendere in esame la possibilità di trasferire la franchigia verso una località che gli permettesse di aumentare visibilità e pubblico. 

 

Dapprima contattò la città di San Francisco, che però aveva già dato il consenso al trasferimento dei “Giants” da New York, e poi indirizzò i suoi interessi verso le città di Minneapolis-St.Paul. Nonostante l’irritante diniego dei vertici dell’American League che vedevano sfumare la loro presenza nella capitale, egli trasferì nel 1960 i “Senators” in quel del Minnesota dove furono accolti con grande entusiasmo.

 

Fu buon gioco allora sbianchettare l’antica denominazione dalle loro casacche imponendovi il nome di “Minnesota Twins” in omaggio alle “Twin Cities ("città gemelle"), nome popolare della grande area urbana formatasi attorno alle due città principali dello stato: Minneapolis e Saint Paul. Pur amata dai propri tifosi, la squadra tuttavia nella sua lunga permanenza nella Major League ha vinto solo 3 World Series, 6 titoli di League e 11 di Division onorando però la Hall of Fame con il ricordo di 16 giocatori con il logo dei Senators e 8 con quello dei Twins.

 

Michele Dodde

 

Scelta sociale o business #8

Scelta sociale o business #7 

Scelta sociale o business #6

Scelta sociale o business #5

Scelta sociale o business #4

Scelta sociale o business #3

Scelta sociale o business #2

Scelta sociale o business #1

 

 

Scrivi commento

Commenti: 0