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Il vero amore di John Lawrence Sullivan

di Michele Dodde

L’osannata icona del mondo della boxe statunitense, John Lawrence Sullivan,  per oltre 35 anni ha tenuto segreto il suo primo e vero grande amore. Figlio di genitori irlandesi molto religiosi  nacque a Roxbury nel Massachussetts  il 15 ottobre del 1858 e la madre all’età di 18 anni lo convinse a frequentare il seminario di Boston affinchè diventasse un prete. Qui invece scoprì in sé una diversa voglia di vivere la vita e pertanto lasciò subito gli studi incominciando a giocare in modo talentuoso a baseball. Contemporaneamente però ebbe modo di essere affascinato dalla riconosciuta nobile arte del pugilato, già allora diffusissimo nella costa orientale degli Stati Uniti, ma molto di più dal profumo e dal valore dei dollari: come giocatore di baseball  avrebbe intascato dalle trenta ai quaranta dollari al mese, come boxer il suo monte premio sarebbe stato di circa cinquecento dollari ad incontro. Fu così che all’età di 21 anni diventò un professionista del ring e, grazie alla sua straordinaria abilità con i pugni, divenne subito “The Boston Strong Boy” ed il 7 febbraio del 1882 misurandosi contro l’irlandese Paddy Ryan secondo le antiche regole del “London Prize Ring Rules”, ovvero a mani nude, al nono round atterrando il suo avversario divenne di fatto il campione del mondo dei pesi massimi. 

Aveva 24 anni e da allora detenne il titolo per ben dieci anni annoverando il suo palmares con incontri memorabili come quello contro Jake Kilrain che durò ben 75 round e che segnò la fine dei combattimenti a mani nude poiché dopo la boxe incominciò a seguire le regole del marchese Queensbury, ovvero l’uso dei guantoni.

James Jim Corbett
James Jim Corbett

E Sullivan che aveva chiuso un’era, ne stava aprendo un’altra poiché la sua sfida contro il “Gentleman“ James Jim Corbett è accettata come la prima gara della Boxe moderna. Era il 7 settembre del 1892 e dopo ben 10 anni di successi Sullivan andò a conoscere per la prima volta l’amarezza del KO al 21° round.

 

Anni dopo il suo ritiro, in una lunga intervista pubblicata il 2 marzo del 1914 sul quotidiano “Buffalo Enquirer”, Sullivan dialogando con il giornalista anziché evidenziare aneddoti dei suoi incontri volle invece delineare il tema del baseball dimostrando non solo di essere aggiornato sulle iniziative portate nel mondo da parte dei Giants e dei White Sox affinchè mostrassero, facendolo conoscere dal vivo, il gioco del baseball ma era sua convinzione, lodando l’operato di Charley Comiskey, suo vecchio amico, che suscitare in altri paesi l’interesse verso il gioco avrebbe fatto crescere sia l’allora condizione del passatempo nazionale in patria sia dandogli ulteriori onori ed affermazioni in campo internazionale. 

E poi svelò il suo segreto: “Devi sapere – disse al giornalista – che io stesso sono quasi diventato un giocatore di baseball invece di un pugile. Quando ero un giovane a Boston il baseball stava appena prendendo piede sul pubblico americano e mi attraeva fortemente. Ho mostrato un po' di abilità, ma alla fine ho iniziato a fare pugilato e ho lasciato andare il baseball. Non posso lamentarmi della mia scelta per quanto riguarda il successo, ma spesso mi sono chiesto se non avrei potuto fare di me un grande campione, o forse il campione. Per molti aspetti non penso che il baseball oggi sia migliore di quanto lo fosse trent'anni fa. Ovviamente è migliorato in finezza, ma non credo che possa vantare stelle individuali più abili di quelle che esistevano a quei tempi. Penso ancora che Charles Radbourn sia il più grande dei lanciatori, e mi piacerebbe vedere un ricevitore migliore, se sopravvive, di Buck Ewing, Charley Bennett o del famoso King Kelly. Jimmy Galvin e tutti i Buffaloniani hanno buoni motivi per ricordare che Galvin, Jim McCormick, Pop Anson e altri giocatori di anni fa non sono superati in brillantezza dai giocatori di baseball di oggi. Ed io sarei potuto essere uno di loro “.

Una chiusura amara quell’intervista per Sullivan  poiché andava a dimostrare come nonostante i suoi successi nel pugilato, quello che veramente gli stava mancando, osservando con nostalgia il passaggio della sua vita, era il pensare a cosa sarebbe potuto diventare là nel box di battuta o sul diamante con il guantone invece di essere relegato a parte come un semplice appassionato. Il baseball dunque era stato il suo primo amore e i suoi rimpianti per non aver continuato a giocare a livello professionale in lui erano sempre vivi e palpitanti. 

 

Poi c’era stata quella strana diramazione della vita quando la materia aveva vinto i sogni…i suoi sogni che in tarda età continuavano ad affascinarlo.

 

Michele Dodde

 

 

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