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La cultura vincente

Nella foto AJ Hinch (nypost.com)
Nella foto AJ Hinch (nypost.com)

di Frankie Russo

tratto da totallytigers.com

I molti lettori che ci seguono conoscono la mia passione per i Detroit Tigers che seguo quotidianamente e leggendo vari blog e giornali locali, spesso mi capita di attingere delle idee per un articolo sperando che possa interessare i nostri follower. L’articolo di oggi mi ha particolarmente colpito poiché ancora una volta ha messo in evidenza l’importanza della figura del manager, della comunicazione e come interagire con i propri giocatori. Non sono pochi gli articoli già pubblicati nel merito (…..), ma questo ha un qualcosa di diverso e tutto nasce da una frase di AJ Hinch, attuale manager dei Tigers, in risposta alla domande di cosa farà l’organizzazione per accaparrarsi i servigi di qualche free agent di grosso calibro:  “Se l'organizzazione dei Tigers fa davvero un buon lavoro, ci riaffermeremo come una squadra vincente e svilupperemo una cultura vincente. E se vuoi farne parte, allora verrai. E se non lo fai, ti batteremo”.

E’ un’affermazione in forte contrasto rispetto ai primi anni 2000 quando la società doveva strapagare i FA per farli venire a giocare per i Tigers. Basti ricordare che a Ivan “Pudge” Rodriguez fu offerto un contratto di 10 milioni, somma al di fuori dei canoni per quell’epoca. La strategia funzionò nel breve periodo ma finanziariamente ostacolò lo sviluppo per oltre un decennio.

Analizzando attentamente la frase di Hinch si nota una sottigliezza di non poco conto. Egli parla di riaffermare una squadra vincente e sviluppare una cultura vincente. E chi pensa che le due cose siano stessa cosa, commette un grosso errore. I Tigers sono stati tra le migliori squadre nell’American League dal 2006 al 2013, avevano nel roster fior fior di campioni, ciò però che mancava era una cultura vincente.

 

Un manager che ristabilisce ordine nello spogliatoio non significa che ha creato una cultura vincente. Un manager che si guadagna il rispetto dei suoi giocatori non significa che ha creato una cultura vincente. Jim Leyland aveva queste qualità, ma mancava la cosa più importante.

 

Un manager che è ben voluto dai suoi giocatori non significa che abbia creato una cultura vincente. E qui ci riferiamo a Ron Gardenhire. 

 

Un proprietario e un GM che spendono grosse somme per portare grandi nomi alla squadra non ha nulla a che vedere con una cultura vincente. 

 

E allora cosa significa cultura vincente? 

Significa avere un gruppo di giocatori che hanno tutti lo stesso obiettivo. 

Significa creare un gruppo con una mentalità “uno per tutti e tutti per uno” per formare una squadra solida.

Significa far pensare tutti i giocatori allo stesso modo.

Il tutto nel tentativo di massimizzare il successo.

 

Oggi i giocatori di Detroit sono questi. Non si va più nel box di battuta pensando alle proprie statistiche bensì al bene della squadra. Si vedono veterani che hanno fatto un passo in avanti stando più vicino ai giovani condividendo con loro le proprie esperienze. Sono tutti attenti a ciò che succede in campo, si consultano, gioiscono e soffrono insieme. Non si vedono più giocatori seduti in disparte o che si assentono e vanno negli spogliatoi. Oggi si divertono a voler imparare.

Quando un manager è costretto a rimproverare i propri giocatori che non s’impegnano, che non si integrano con il resto gruppo, probabilmente li ha motivati, probabilmente li ha portati a giocare meglio, ma non ha instaurato una cultura vincente.

 

Questi erano i veri problemi che attanagliavano quella squadra vincente con tanti talenti dal 2006 al 2014. C’erano problemi tra Verlander, Scherzer e Fister. C’era la storia che Victor Martinez era l’unico che riusciva a controllare la vita sregolata di Miguel Cabrera. Ci fu una scazzottata nello spogliatoio tra Prince Fielder e Avisail Garcia in cui s’infortunò anche Cabrera. E poi la famosa frase di Fielder quando mostrò nessun rammarico dopo l’eliminazione dei playoff. Si giustificò semplicemente “Io ho famiglia”. 

 

Era una squadra molto talentuosa che aveva vinto molti titoli a livello personale: Verlander 2006 Rookie Of the Year; 2011 Cy Young Award, MVP e Triple Crown; 2 no-hitter. Cabrera: 2010 Silver Slugger Award; 2012 Hitter of the year, MVP, Silver Slugger, Triple Crown; 2013 Hitter of the year, MVP, Silver Slugger. Max Scherzer: 2013 Cy Young Award. Victor Martinez: 2014 Silver Slugger Award e sicuramente ce ne sono altri. Ma come squadra nella post season veramente fece ben poco, due presenze alle WS, 8 sconfitte 1 vittoria. mancava appunto una cultura vincente.   

Oggi i giocatori si divertono e stanno godendo della nuova esperienza. Giocatori che prima deludevano adesso hanno ottime prestazioni. Free agent in squadra che vogliono prolungare il contratto e Cabrera che è tornato ad essere gioioso e divertente come era ai bei tempi e sta addirittura facendo da mentore ai più giovani.  

 

Insieme nel dugout i giocatori guardano i tablet per studiare gli avversari e trovare le contromosse. Non era mai successo negli anni passati. Si entra in campo convinti dei propri mezzi, non si danno mai per vinti, in diverse occasioni hanno ribaltato risultati fino a qualche tempo fa una cosa impensabile. 

 

Prima che cominciasse il campionato gli esperti davano i Tigers perdenti dalle 92 alle 105 gare. Oggi sono molto più vicini ad una media vittoria di 500. I Tigers sono passati dalla peggiore squadra delle majors del mese di aprile alla più sorprendente e a cui molti cominciano a guardare per il futuro. Ben tre giovani sono in corsa per il titolo di Rookie Of the Year.  Hinch è anch’egli tra i palpabili per Manager Of the Year. 

 

Ecco, questa si chiama cultura vincente. 

 

Frankie Russo

 

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