
Sicuramente nella cinquantasettesima ed ultima inchiesta, mai scritta in verità, inerente la sagacia investigativa del famoso e popolare Sherlock Holmes, il garbato detective, dopo attenta analisi delle prove raccolte, senza alcun dubbio residuo, con profonda intuizione, si sarebbe rivolto al suo candido amico e biografo scrupoloso John Watson con la frase ormai resa celebre sul grande schermo: “Elementare mio caro Watson, elementare”. Ed avrebbe poi continuato: “Vedi, Watson, Sir Arthur Conan Doyle, mio padre putativo, dalle prove che ti esporrò, risulta evidente che egli è stato un grande estimatore e sostenitore del gioco del baseball e di questa disciplina sportiva, lui che aveva praticato molte altre discipline sportive tra cui con buoni esiti sia il cricket sia il golf ma soprattutto il biliardo amatoriale con il quale partecipò anche al campionato nazionale inglese nel 1913, ne ha parlato spesso ed in pubblico evidenziandone le eccellenti qualità fisiche e mentali.
Potrebbe sembrare strano solo all’incauto che lui, pur nato nella lontana Scozia nel 1859 e divenuto poi un illustre medico ed apprezzato scrittore, a prima vista sia rimasto affascinato da questo gioco, che poi gioco in definitiva non è. Egli constatò e studiò con molto interesse il perché della popolarità che il baseball aveva incominciato a lievitare verso la fine del 18esimo secolo tanto che nella sua espressione indicativa lo sintetizzò come “un gioco nobile”. Tale testimonianza raccolta è nella stesura di un articolo apparso il 30 luglio del 1922 sul quotidiano “Louisville Courier Journal”.

Devi sapere allora che egli per sua cultura fece una serie di viaggi negli Stati Uniti tra il 1894 ed il 1924 al fine di conoscere dal vivo gli aspetti più significativi del nuovo mondo e quando nel 1914 ebbe modo di assistere per la prima volta ad una partita di Major League tra gli Yankees di New York e gli Athletics di Philadelphia nell’affollatissimo Polo Ground, al termine della gara, vinta dai primi per 10 a 5, emotivamente volle scrivere alcuni appunti sull’evento non disdegnando infine anche a delineare un veloce paragone che poi riportò nella sua sincera autobiografia:
“I giocatori di baseball sembrano più in forma dei giocatori di cricket e questo sicuramente perché si allenano continuamente praticando l'astinenza, che produce acutezza mentale. Ho visto che la presa della palla è straordinariamente buona specialmente quella effettuata sulle lunghe battute da parte dei 'bleachers' che qui sono chiamati ‘outfields’. Poi i lanciatori lanciano la palla più veloce e con studiata meticolosità di quanto non facciano quelli nel cricket. E sono i lanciatori che guadagnano uno stipendio più alto perché sono loro a sobbarcarsi la parte più difficile del gioco. Il baseball, come ho constatato, dona salute e forza ma soprattutto configura un certo equilibrio mentale senza il quale un uomo non è completo. Dare e prendere, accettare il successo con modestia e sconfiggere coraggiosamente, combattere contro ogni probabilità, restare fedeli al proprio punto, dare credito al proprio nemico e stimare il proprio amico sono alcune delle lezioni che ho appreso da questa gara e che ogni vero sport dovrebbe impartire”
Seguimi nel ragionamento mio caro Watson, poiché in questo suo dire il nostro Conan Doyle larvatamente quasi esprime una forte gelosia ed invidia nel precisare che la sua Inghilterra si sia fatto sfuggire, dopo una non benedetta ma decantata poi nascita tra gli slum londinesi, lo sviluppo di questo gioco che ora a suo dire stava invece formando la società e le sorti degli Stati Uniti. Ed è a denti stretti che bofonchia come “Il baseball è il gioco di cui l’Inghilterra avrebbe avuto bisogno. Per anni c’è stata la ricerca di un gioco completo da far praticare ai giovani. Bene, il gioco del baseball potrebbe soddisfare in pieno questo bisogno”.

Bastano queste testimonianze? Allora caro Watson c’è qualcosa in più poiché Sir Conan Doyle, come sai sempre preciso nei suoi intendimenti, si è anche tolto qualche sassolino dalla scarpa in specie quando, pur confermando che il baseball è superiore al cricket, sperava anche che se avesse preso piede in Inghilterra, i bordi più ruvidi del gioco, come i colpi segreti e i trucchi sporchi, sarebbero stati appianati dalla sensibilità, dallo stile e dai modi inglesi.
E volle precisarlo con una lettera al quotidiano “The Times” in data 28 ottobre 1924: “Il gioco sporco che un tempo era comune ora è stato debellato, e ciò che una volta era applaudito, o comunque tollerato, ora viene punito. Pertanto, questo rozzo modo di fare può scomparire del tutto e non è un elemento sostanziale del gioco. L'essenziale è che qui c'è uno splendido gioco che richiede un occhio fine, attività, forma fisica e giudizio al massimo grado. Questo gioco non ha bisogno di un costoso livellamento di un campo, il suo abbigliamento è alla portata di qualsiasi club di qualsiasi cittadina e per praticarlo ci vogliono solo due o tre ore di gioco. Se fosse adottato dalle nostre diverse squadre come passatempo estivo, credo che coinvolgerebbe del tutto questo paese come ha fatto con l'America”.
Dunque, elementare mio caro amico Watson, elementare che il nostro Sir Conan Doyle abbia amato il baseball e per esso, in chiusura di questa disamina, è bene tu sappia che si è anche speso se vogliamo dare credito ad una storia che lo ha visto all’età di 52 anni giocare nel ruolo di interbase in una squadra di amici inglesi che in Svizzera andò a cimentarsi con una squadra di giovani americani. Gli inglesi quella volta vinsero ma sfortunatamente di quella gara non c'è nessun resoconto sopravvissuto né è passato alla storia il suo comportamento in campo o alla battuta.
Ma il tutto, elementare caro Watson, elementare, sta a significare quanto anche Sir Conan Doyle abbia amato da par suo il gioco del baseball.
Michele Dodde
Le foto sono tratte dal sito arthurconandoyle
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