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Non fu solo una stretta di mano....

di Michele Dodde

Nella complessa storia dell’arte inerente la fotografia, già a partire dai dagherrotipi, molte sono le foto che hanno condiviso aspetti negativi e positivi della storia ma ce ne è solo una che compie, nel suo eccellente valore ontologico, la segnatura di una simbolica quanto ricercata configurazione di ricercati principi, ovvero che va a delineare contemporaneamente la fine di un’epoca contrassegnata da idee  oscurantiste, vessatorie e razziali andando poi ad aprire ad ampio respiro le moderne considerazioni di eguaglianza, dignità e libertà. Questa foto fu catturata con grande tempestività e bravura da un fotografo dell’Associated Press e ritrae un sorridente Jackie Robinson che sta giungendo a casa base dopo aver realizzato il suo primo fuoricampo nel baseball dei bianchi e che va a stringere la mano che gli sta stendendo il suo compagno di squadra George Thomas “Shotgun” Shuba

Una foto apparentemente di una normale banalità se non si conoscessero le ombre lunghe della stessa. Si era nel 1946 ed il 18 aprile nel Roosevelt Stadium  i Montreal Royals, una squadra di triplo A affiliata ai Dodgers di Brooklyn e militante nella International League, stavano giocando la gara di apertura della stagione agonistica contro i Jersey City Giants ma l’evento, che aveva sollecitato l’interesse della stampa nazionale e la curiosità di molti spettatori che avevano riempito lo stadio in ogni posto, era il debutto di un giocatore di colore nel proprio roster per dare seguito all’idea evolutiva del presidente e general manager dei Brooklyn Dodgers, Branch Rickey, che già da tempo stava valutando la possibilità di inserire nella rosa della sua squadra giocatori neri e aveva avviato una seria attività di scout nella Negro League.  

Da quella Lega gli scout segnalarono un giovane talentuoso, Jackie Robinson, come il più promettente dei giocatori visionati e dunque quel giocatore di colore fu contattato per verificare se fosse stato disponibile a firmare un contratto ma anche se fosse stato consapevole che l’andare a giocare in una squadra di soli bianchi lo avrebbe esposto ad offensivi  insulti e quant’altro durante ogni gara.

 

Con orgoglio e spinto da una ferrea questione di principio, Robinson firmò accettando di andare a far parte dei Montreal Royals ed in quel 18 aprile  si stava verificando il suo debutto atteso con curiosità da molti scettici con grande scherno.

 

Ed infatti accadde che quando al suo primo turno in battuta fu giudicato out, su di lui piovvero battute di derisione, vari dileggi e beffe non solo da parte degli spettatori bianchi ma anche da parte dei giocatori della squadra avversaria con il contorno purtroppo anche di un imbarazzante silenzio ammiccante dei propri compagni di squadra.

 

Poi al terzo inning, con due compagni sulle basi e sull’ultimo lancio che andava a terminare il conteggio pieno, il suo studiato giro di mazza andò ad incocciare la pallina che venne spedita oltre il recinto del campo. Un fuoricampo inatteso che ammutolì e spolverò come un turbine tante  idee retrogradi ed i molti preconcetti sino ad allora duri ad essere stemperati.

 

Infatti quel fuoricampo a sorpresa più che inorgoglire sembrò aver dato fastidio poiché  i due corridori sulle basi, che erano stati gratificati da quel gesto, anziché aspettare presso il piatto di casa base Robinson per complimentarsi con lui, come consuetudine di prassi, si diressero subito nel dugout.

 

Era evidente una plateale dimostrazione della loro insofferenza. Quando Shuba si accorse di questa scortesia, balzò subito in piedi e di corsa si diresse verso il piatto di casa base  arrivando appena in tempo per tendere la propria mano e stringere quella del raggiante Robinson mentre con il piede atterrava sul piatto.  

Un gesto, quello di Shuba,  immortalato da una foto che subito incominciò a circolare come un maglio contro i fautori della barriera dei colori e subito soprannominata “A Handshake for the Century” poiché andava a rappresentare la prima stretta di mano interrazziale in una partita di baseball professionale.

 

E che poi George Thomas “Shotgun” Shuba non fosse un semplice anonimo giocatore che restasse ad impolverare i diamanti della Minor League lo dimostrerà il suo palmares da eclettico fuoriclasse della Major League acquisito durante sette stagioni giocate con i colori dei Brooklyn Dodgers e partecipando a tre World Series vincendone una nel 1955.

 

Di lui la cronaca minuta poi lo porterà come il primo giocatore della National League a segnare un fuoricampo in una partita delle World Series.  

 

Robinson e Shuba nell’anno successivo divennero compagni di squadra nei Dodgers sino al 1955 quando “Shotgun” si ritirò dall’attività sportiva andando a vivere ad Austintown dove si sposò.

 

A seguito dell’uscita del libro “The Boys of Summer”, un tributo letterario dei Dodgers di Brooklyn degli anni 50, Shuba ha ricevuto molti attestati di stima per il suo ruolo simbolico atto a promuovere l'armonia interrazziale nel baseball professionistico. Atleta integerrimo e uomo di sani principi, frutto di un’attenta educazione da parte del padre Jan che gli aveva inculcato di portare sempre rispetto per gli altri trattando tutti con dignità, non ha mai messo in mostra nella propria casa i cimeli della sua carriera, che furono consegnati in grossi scatoloni nel seminterrato, all’infuori della citata foto posta in bella mostra nel salotto buono a monito per i propri figlioli quale preziosa lezione di vita.

Quando poi nel 2007 ha licenziato il suo libro scritto a quattro mani con il giornalista Greg Gulas “My Memories as a Brooklyn Dodgers” ha ricordato quell’evento con parole concrete sul leggendario Robinson e come da egli abbia appreso “una lezione di vita che non ho mai dimenticato” come però non è ora stato dimenticato, dopo la sua dipartita nel 2014, il suo di gesto che è diventato una statua di bronzo a raffigurare  i due giocatori nell’atto di stringersi la mano.

 

Questa scultorea versione della “A Handshake for the Century” dell'artista Marc Mellon pesa circa 690 chili e la sua cerimonia inaugurativa è avvenuta il 18 aprile di quest’anno nel 75° anniversario dell’episodio.

 

Situata a Wean Park, vicino al centro di Youngstown, la statua “vuole essere – è stato detto – monito e speranza a generazioni di americani su quanto sia importante superare le differenze razziali per promuovere l'uguaglianza, la dignità, l'equità e l'unità. E noi si è convinti che  non si sta posando una statua su un piedistallo poiché essa è e sarà sempre una statua vivente."

 

Su questo episodio il noto cantautore Chuck Brodsky di Asheville, North Carolina, ha scritto una sua ballata “The Handshake” che sarà inclusa nel suo terzo album “The Baseball Ballads 3” ed ha voluto precisare che “Non scrivo canzoni come qualcosa di commerciale. Voglio che i miei testi siano apprezzati a livello emotivo ed intellettuale. Come io sono stato colpito da questo gesto”

 

Michele Dodde

 

Sotto Chuck Brodsky canta la ballata "La stretta di mano" durante un suo concerto. A fianco e a seguire la traduzione in italiano

 

Era solo una stretta di mano

Su un campo di lega minore

E non è stato fine a se stesso

È diventato poi un grosso problema

Era solo qualcosa che è successo

Non era niente che era stato pianificato

Il ragazzo ha colpito un home run

Quindi ha allungato la mano


Era solo una stretta di mano

Il giorno di apertura

Nessuno sapeva cosa sarebbe successo

Se il ragazzo avesse saputo giocare

Era solo una stretta di mano

Ma è stata la prima

Sì, certo, c'erano altri

Che si sono alzati in piedi ma hanno imprecato

 

Era solo una stretta di mano

Beh, forse non proprio

È stata ripresa da una foto

In bianco e nero

I due sorridono

Mentre tocca il piatto

Mentre attraversa il confine

Quando sa che è al sicuro

 

Sia l'umpire che il ricevitore

avevano le mani sui fianchi

Era solo una stretta di mano

Era una presa di forza

Il sole gettava lunghe ombre

Mentre toccava ogni base

Quando girò intorno alla terza

Il sole gli illuminò il viso

 

Era solo una stretta di mano

Un legame tra  uomini

Un compagno di squadra con un compagno di squadra

Questo è tutto quello che è stato allora

Stava lì a salutarlo

Aveva voluto aspettarlo

Era solo una stretta di mano

Ma gli ha mostrato rispetto

 

 

Il 1 ° aprile si è tenuta una cerimonia a Youngstown, Ohio, per preparare il sito per la statua di Jackie Robinson e George Shuba
Il 1 ° aprile si è tenuta una cerimonia a Youngstown, Ohio, per preparare il sito per la statua di Jackie Robinson e George Shuba

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Commenti: 3
  • #1

    PAOLO CASTAGNINI (martedì, 27 aprile 2021 08:56)

    Questa storia è incredibile e non la conoscevo nei dettagli. Questa foto l'avevo vista decine di volte e aveva si un significato, ma ora molto, molto di più.
    Siamo in un'epoca dove il razzismo nello sport come nella società è vivo e vegeto.
    Una partita di minor league, la porta d'ingresso alla major. Spalti pieni di gente. Il giovane Jackie Robinson all'esordio, pieno di speranze. Ancora non conosceva ciò che avrebbe dovuto affrontare. Ma il protagonista della storia non è lui, ma quel George “Shotgun” Shuba.
    Ho provato a immedesimarmi in questo giocatore.
    Si trova nel dogout e vede Robinson sparare la palla fuori dal campo. I due compagni che erano sulle basi sono quasi infastiditi a dover correre al punto sul fuoricampo di un "negro" così come infastidito è il pubblico e tutti i presenti.
    I corridori arrivano a punto e contrariamente alla prassi non aspettano colui che li ha portati a casa, ma proseguono verso la panchina.
    Robinson nel frattempo sta girando le basi, forse è arrivato in seconda, ma più probabilmente in terza.
    Quanto tempo rimane per passare dalla terza a casa? Forse 15" con l'andatura lenta del fuoricampo?
    In questo tempo George Shuba. vede lo sgarbo dei compagni, salta fuori dalla buca del dogout, corre al piatto, raccatta la mazza da terra e sorridente porge la mano a Jackie Robinson, il quale probabilmente nemmeno si è accorto di quanto successo, lui sta vivendo la sua favola.
    Nel meraviglioso racconto Michele Dodde scrive: Atleta integerrimo e uomo di sani principi, frutto di un’attenta educazione da parte del padre Jan che gli aveva inculcato di portare sempre rispetto per gli altri trattando tutti con dignità,

    Ecco! Questo è lo sport che amo. Sono contrario a chi dice che lo sport non dovrebbe interessarsi d'altro. Non è vero. Lo sport è stato un mezzo dirompente per affrontare le ingiustizie sociali. Tramite lo sport sono state abbattute barriere invalicabili.
    Ma quella frase "Atleta integerrimo e uomo di sani principi, frutto di un’attenta educazione" è la chiave di tutto.

  • #2

    Maria Luisa Vighi (martedì, 27 aprile 2021 10:42)

    Straordinaria fotografia : un uomo che corre, direi che vola, verso un destino che sarà un mondo nuovo!! Bel racconto emozionante e dettagliato nel mitico ricordo!

  • #3

    Marcella (martedì, 27 aprile 2021 16:05)

    Una stretta di mano,
    un sorriso,
    un complice ammiccare dello sguardo
    e cade ogni barriera di lingua, di razza e di opinione
    Così si può vincere la grande partita della vita