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La Negro National League: entità a se stante

Nella foto Martin Luther King gioca con il figlio
Nella foto Martin Luther King gioca con il figlio

di Michele Dodde

Oggi 18 gennaio negli Stati Uniti si svolgeranno iniziative e partecipazioni inerenti la 35esima festività in ricordo di Martin Luther King. L’istituzione di questa particolare giornata fu sancita nel 1983 con la firma dell’allora Presidente Ronald Reagan e dal 20 gennaio del 1986 hanno avuto inizio le celebrazioni che non sono mai state fine a se stesse ma hanno voluto sempre risvegliare gli animi e tenere in vita il ricordo, l’educazione ed il tributo testamentale lasciato da Martin. 

Non si è mai sottratto a questa celebrazione anche l’apporto della Baseball Hall of Fame di Cooperstown con l’organizzazione di tour museali nel far conoscere gli Hall of Famers Roberto Clemente, Jackie Robinson ed i tanti altri che con la loro attività nel gioco del baseball hanno emulato il servizio e l’umanitarismo di Luther King. Da questi principi dunque è necessario partire per stigmatizzare come alcune correnti di pensiero, di cervelli in vacanza, stiano formulando l’idea di accorpare i fasti, le vicissitudini, le statistiche ed i personaggi che hanno reso vitale la Negro League in un tutt’uno nella infinita storia del baseball innalzando la stessa o portando la stessa sul piano della Major League patrocinata dall’American League e dalla National League. Sarebbe un colossale errore perché cancellerebbero sfumando i pregiudizi che sino al 1947 hanno indiscutibilmente delineato un mal sopito razzismo insito proprio in certi DNA di origine anglosassone e giù di li.   

Infatti, poiché i giovani di colore non venivano accettati nei roster delle squadre partecipanti ai campionati di baseball questi, già a partire dal 1880, avevano assemblato squadre “professionistiche” come onda lunga iniziata il 15 novembre del 1859 a New York City dove l’Henson Club di Jamaica sconfisse gli Unknowns di Brooklyn per 54 a 43.

Nella foto i Kansas City Monarchs
Nella foto i Kansas City Monarchs

Dopo un lungo periodo amatoriale riferito a diverse Leghe come la “Southern  of Coloured Base Ballist” (1886), la  “National Coloured Base Ball” (1887)  e la “Eastern Coloured” (1923) , a partire dal 1920 hanno inizio veri campionati di relativo successo che la stampa incominciò ad evidenziare come “Negro Major Leagues”.

 

Tuttavia molte squadre come i “Monarchs” di Kansas City, meglio noti come i “Campioni colorati del Mondo”, preferivano  giocare più partite sul toccante principio del “Barnstorming” (fare campagna politica) che misurarsi in gare della Negro League.

 

Era un modo sbrigativo anche di migliorare il loro assetto economico derivante dallo spettacolo che riuscivano ad organizzare come ad esempio giocare gare in notturna servendosi di un proprio sistema di illuminazione portatile com’erano soliti fare i “Cuban Giants” a partire dal 1930 ben cinque anni prima del pari evento nell’ambito delle principali leghe bianche. 

 

Sotto una bella immagine delle Coloured World Series della Negro league baseball del 1924 

Comunque solo dopo il mese di marzo del 1945 quando l’American e la National League, sull’emotività della fine della Seconda Guerra Mondiale, decisero di costituire il “Comitato della Major League per l’Integrazione del baseball” formato da Joseph P. Rainey, Larry MacPhail e Branch Rickey, ebbe inizio un effervescente scoutismo tra i campionati “neri” in atto in Messico, Cuba, Porto Rico, Georgia e Pennsylvania dove Filadelfia era ancora considerata la mecca del baseball “nero” per via di una popolazione afroamericana che superava oltre quarantamila abitanti.

 

Jackie Robinson
Jackie Robinson

Con il debutto di Jackie Robinson nel 1947, ed il particolare contratto che stabiliva che da quel momento egli non avrebbe avuto alcun “obbligo scritto e morale” nei confronti di altri club, si aprì, pur se gradualmente, l’integrazione degli afroamericani nelle squadre della Major League e di pari passo la qualità delle franchigie composte da negri ancora in vita andò lentamente peggiorando sino a che la “Negro American League” nel 1951 decise di chiudere.

L’ultimo club professionistico, i “Clowns” di Indianapolis restò in attività dagli anni 60 agli anni 80 prodigandosi a presentare il baseball come uno spettacolo umoristico piuttosto che competitivo. 

Nella foto  Satchel Paige alla Negro League
Nella foto Satchel Paige alla Negro League

E’ tuttavia da rimarcare che il tardivo avvento di  Jackie Robinson lasciò dietro di sé molte stelle della Negro League, troppo vecchie ormai per esibirsi al massimo livello davanti a un nuovo pubblico. 

 

Solo Satchel Paige fu una gloriosa eccezione divenendo nel 1948 il più vecchio "novellino" delle Major all'età di quarantadue anni.

 

Però personaggi come  Rube Foster o Judy Johnson o Martin Dihigo o Oscar Charleston rimasero impolverati nei cassetti della memoria. 

 

Fu  grazie a Ted Williams comunque che nel 1966, dopo un suo appassionato discorso verso le capacità di questi Negro Leaguers, la Commissione per l’induzione nella Baseball Hall of Fame incominciò a correggere quelle dimenticanze come fossero errori storici.

 

Certamente le targhe nella Galleria della Hall of Fame vanno sempre a puntualizzare di un giocatore anche la sua vittoria sui pregiudizi, il superamento delle privazioni, la sua lotta per il riconoscimento, la sua tenacia e la sua adattabilità  come è avvenuto poi per Willie Mays, Ernie Banks e Hank Aaron ma solo l’eterno Satchel Paige, lui dal controllo impeccabile e dalla sorprendente be-ball, è l’unico ad essere stato una stella di prima grandezza sia nella Negro League sia nella Major League poiché lui è sempre stato la spettacolare "attrazione", come ebbe a scrivere ironicamente nella sua autobiografia.

 

Sotto un raro filmato a colori del 1949 con Satchel Paige sul monte

Tuttavia si è del parere che nonostante tutti i buoni propositi non si possono confrontare con i dati statistici le qualità di Buck Leonard, noto come "The Black Lou Gehrig", o quelle del suo compagno di squadra Josh Gibson, lui invece noto come "The Black Babe Ruth" poiché essi sono stati raccolti in campionati dalle diverse sfumature e da non precisi ed omogenei indirizzi.

 

Dunque inutili i lavori di classificazione di circa quattrocento giocatori che hanno giocato nella Negro League dal 1920 al 1948 poiché essi sono personaggi di un altro segmento da evidenziare invece a parte come testimonianza di una storia, quella della Negro National League, che ha saputo realizzare e movimentare eccellenti opportunità imprenditoriali, personalità orgogliose ed inarrivabili ed una vincolante cultura che non possono e non devono essere confuse.

 

Michele Dodde

 

Nella foto sotto Josh Gibson, (SX) e Buck Leonard (DX)

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