
La catena dei Monti Appalachi è situata nella parte orientale del Nord America ed attraversa ben dieci stati a partire da quello di New York per proseguire poi in Pennsylvania, Ohio, Virginia Occidentale, Maryland, Kentucky, Virginia, Tennessee, Georgia e finire sino in Alabama estendendosi per una lunghezza di 1730 km. da nordest a sudovest. Nello stato della Virginia nell’anno 1890, perché è da quell’anno che inizia questa storia, una comunità di circa 1800 persone si era riversata nella località di Clifton Forge, contea di Allenghany, attratta dalle numerose possibilità che stava offrendo in quel periodo sia il settore minerario sia soprattutto quello ferroviario. Di quasi totale etnia britannica, gli abitanti di Clifton erano per la maggioranza operai analfabeti ma rigidi nel rispetto delle tradizioni anglosassoni rimaste ancora vive nonostante ormai fossero tutti nativi americani discendendo dai primi emigranti che approdarono in quel territorio nel 1606 chiamandolo Virginia in onore alla sovrana Elisabetta I che, non essendosi mai sposata, dalla plebe era conosciuta come la Regina Vergine.
La sanguinosa Guerra di Secessione durata dal 12 aprile del 1861 al 23 giugno del 1865 aveva lasciato la Virginia, schierata con i Confederati, in condizioni disastrose ed in grave crisi economica per cui la scoperta di giacimenti di carbone, ferro, calce sale e zinco e qualche venatura d’oro aveva attirato in quella contea personaggi dalla più svariate risme ma tutti però decisi e consapevoli di voler realizzare una cittadina con un’appagante urbanizzazione tale da diventare un’ambita meta degli Appalachi meridionali e che potesse competere in benessere e civiltà morale con le più grandi città intorno come Roanoke, Knoxville e la vicina Covington.
A tal fine fu costruito in breve tempo il dipartimento di Polizia locale, un’efficiente compagnia di Vigili del Fuoco, un ospedale di eccellenza ed un hotel di lusso. Poi, su iniziativa dell’editore William H. Frenger, nacque anche un periodico locale, il “Clifton Forge Review”, che movimentò una continua elevazione culturale precisando come fosse importante per la città poter assemblare una buona squadra di baseball portatrice di una sicura e splendida pubblicità. E per tale iniziativa andava sempre a richiamava l’attenzione e l’approvazione di tutte le classi sociali ma in particolare quella degli emergenti uomini d’affari.

Fu così che i fratelli Mahaney, John, James e George, sotto l’egida della YIMCA (Young Men’s Christian Association) diedero vita ad una frenetica attività sportiva tra i giovani ma soprattutto ad organizzare le strutture portanti di una squadra di baseball che fosse competitiva.
Questo Club nasceva con determinati pregiudizi che lo resero di un particolare interesse: in primo luogo gli abitanti di Clifton, come il resto del Sud a partire dal 1876, nonostante la fine della guerra civile, avevano abbracciato la segregazione razziale per gli afroamericani e per i membri di altri gruppi etnici diversi dai bianchi dettata dalle leggi definite “Jim Crow” (abolite successivamente di fatto solo nel 1954), e pertanto i membri della squadra dovevano essere solo bianchi, in secondo luogo questi dovevano essere nati esclusivamente a Clifton e per ultima sintesi essi, pur perseguendo nel gioco la voglia di vincere, dovevano presentare il loro club come un insieme di “gentiluomini” ed in questo proprio a rafforzare il loro DNA di provata antica fede britannica.
Ovvero la squadra doveva rappresentare il meglio della città poiché l’essere gentiluomini generalmente avrebbe descritto il loro aspetto virile acquisito attraverso la raffinatezza, la dignità, l’ordine, l’equità, il coraggio e la rispettabilità del pubblico e di certo il campo di baseball era da considerare il luogo migliore in cui un uomo della classe operaia potesse acquisire tale reputazione.
Per l’epoca dunque la squadra della cittadina di Clifton veniva concepita in forte controtendenza rispetto al baseball giocato in quel periodo poiché il gioco, se è pur vero che dalla sua nascita era praticato come passatempo aristocratico dei club esclusivi di New York, già verso la fine del 1880 era diventato un’attività agonistica popolare e come tale si era diffuso con pregi e difetti lì sui diamanti dove tra i “bare handed” più di qualche volta si erano verificate zuffe e messo in atto i sotterfugi più innominabili con un pubblico partecipativo misto anche con la complicità delle scommesse clandestine.
Le cronache locali misero bene in evidenza questo aspetto di una squadra che giocava con spirito fortemente olimpico mentre invitava il pubblico a non essere turbolento ed anzi a mantenere un decoroso comportamento ed a favorire la partecipazione delle donne ad assistere alle gare. Infine ad essere fortemente rispettosi dei giudizi degli umpire considerati saggi e al di sopra di ogni sospetto.

Tuttavia però, forse tutto questo buonismo serviva alla città come cartina di tornasole per nascondere il triste primato che la città aveva acquisito quale paradiso dei razzisti pronti a lasciare il lavoro per attuare un linciaggio.
Significativo qui l’episodio del 1894 quando il governatore della Virginia Charles O’Ferrall nel denunciare un linciaggio non si preoccupò di stigmatizzare l’episodio contro un afroamericano quanto l’aver causato un disordine sociale che avrebbe potuto respingere eventuali imprenditori del Nord ad investire risorse su quella Città.
La squadra di baseball dunque era e doveva essere il lato buono cittadino, ovvero il “club gentiluomo” che elevava la dignità sociale cittadina offrendo alla stessa un concreto motivo per sentirsi orgogliosi.
In verità il club, favorito anche dalla sorte, incominciò a vincere anche molti tornei regionali dando inizio ad una ulteriore campagna morale contro le squadre che per il loro roster erano pronte a reclutare giocatori non nati nella città che rappresentavano.
Tuttavia questa politica settoriale divenne il punto debole della squadra poiché col passare degli anni, senza l’innesto di giocatori esterni, la sua rosa divenne non più competitiva ed alla fine si disciolse quando tutti e tre i fratelli Mahaney, anima e mente della franchigia, superarono di molto la trentina. Inoltre lo sperato successo finanziario più volte auspicato dal quotidiano locale non era mai giunto favorendo invece altre piccole cittadine come Staunton e Lynchburg dove intorno al 1900 erano in attività con successo molti club professionisti.
Sulle ceneri dei Clifton nacquero squadre giovanili e club amatoriali nell’ambito delle industrie come il “Chesapeake and Ohio Railway” ma solo nel 1914, rivisitando mentalità ed intendimenti, la città sperimentò con i “Clifton Forge Railroaders” (foto in home page) il primo club di professionisti che però chiuse l’attività con l’avvento della prima guerra mondiale.
Una visione del baseball tutta particolare dunque quella della città di Clifton che per circa un decennio lo ha utilizzato come strumento di marketing per gli affari, una presenza per valori culturali da gentiluomini e divenuto poi, nonostante errori interpretativi, anche e soprattutto un popolare modo di intrattenimento in quella piccola città di montagna che ora annovera solo circa quattromila abitanti.
Michele Dodde
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