
Nel leggere alcune relazioni inerenti le diverse caratteristiche psicologiche attinenti le svariate attività sportive, ed in particolare al comportamento dei vari personaggi durante la loro applicazione nello svolgere lo specifico ruolo ricoperto, sono stato molto sorpreso dalle considerazioni riportate dal prof. Bob Sutton, emerito psicologo, autore di cinque libri di psicologia applicata e professore presso l’Università di Stanford. Egli a suo tempo ha pubblicato un saggio inerente il tema: “ Southerners, Civility e Cultures of Honor”, nel quale, dopo svariate ricerche, ha evidenziato che era sicuro di poter confermare che, sebbene gli uomini cresciuti negli Stati Uniti meridionali fossero generalmente più educati di quelli cresciuti al Nord, di fatto però questi sono più irascibili e pronti a rispondere aggressivamente quando constatano che si sono usati atti o parole che abbiano potuto ledere il loro onore, come ad esempio, anche essere apostrofati con la parola “stronzo”.
Questo ripetuto assioma mi consta essere per copia conforme identico a quanto generalmente viene evidenziato tra il Nord ed il Sud di ogni paese e la sfumata linea sottile di demarcazione è solita entrare in ogni contesto e non da ultimo anche in quello politico.

Tuttavia è interessante allora precisare che partendo da questo assioma e della ricerca sperimentale condotta da Bob Sutton, il professore Thomas Timmerman, restringendo al baseball il suo campo di osservazione, ha poi intrapreso uno studio inerente il cruento atto dell’ “hit by pitch” verificatosi durante svariate gare di baseball nella Major League.
Lo studio, poi apparso su il “ Journal of Applied Psychology “ nel 1992, ha configurato affascinanti risultati poiché protratto su numeri che da soli rasentano coerentemente la normalità evidenziata dalla cosiddetta “Cultura dell’Onore” citata da Bob Sutton.
Infatti il professore Timmerman ha preso in esame i casi riguardanti quasi 5 milioni di battitori coinvolti nei periodi tra il 1960 ed il 1992 e poi tra il 2000 e il 2004. A tal fine è significativo riportare il pensiero espresso dal professore Timmerman:
"In verità i lanciatori del Sud, in generale, non sono mentalmente orientati a lanciare la pallina con una traiettoria ingannevole atta a colpire il battitore nel box di battuta tuttavia, nella dinamica del gioco, rispetto ai lanciatori del Nord, essi sono più facilmente ed emotivamente indotti a lanciare una insidiosa pallina verso quel battitore che nel line up segue il bomber che ha realizzato un fuori campo o usi lo stesso lancio a mo’ di rappresaglia o vendetta a favore di un proprio compagno di squadra precedentemente colpito. E’ intrigante comunque, e poi fa pensare, aver dovuto constatare come i lanciatori meridionali abbiano cercato di colpire con la pallina solo giocatori bianchi ma non gli afroamericani ".

In sintesi, lo studio ha evidenziato che i lanciatori bianchi nati nel Sud (circa il 30% di quelli esaminati nel campione) sono sembrati più propensi a colpire intenzionalmente i battitori al fine di difendere sia il personale “onore” sia quello della squadra a seguito di quelle azioni che oggettivamente sono da considerare alla stregua di offensivi “affronti”.
Queste possono essere state o il velato dileggio a seguito di un fuoricampo o la constatazione inerente un compagno di squadra colpito da una pallina scagliata volontariamente in tal guisa dal lanciatore avversario.
Precisa ancora Timmerman che tutti sanno che una pallina lanciata intenzionalmente contro il battitore, mediamente sulle 90 miglia all’ora, debba essere chiaramente considerata il velenoso frutto di un “lancio di uno stronzo” e che oltre a far male ha il visibile scopo di intimidire l’avversario.
A tal fine inizia il suo dire ricordando il triste episodio accaduto il 16 agosto del 1920, al quinto inning della gara tra gli “Indians” di Cleveland e gli “Yankees” di New York quando il battitore Raymond Chapman fu colpito alla testa, in quell’evento in modo mortale, da una pallina veloce scagliata dal lanciatore newyorkese Carl Mays. Tuttavia quel lancio intenzionale, se non si vuole considerare il danno derivante, di fatto era una normale intimidazione che i lanciatori in quel periodo erano soliti usare ed in quel pomeriggio in quella partita di quasi finale fu usato nei confronti di Chapman poiché era temuto per le sue qualità di ottimo battitore.
Il professore Timmerman, sollecitato da Bob Sutton sulla coerenza scaturita dal suo personale saggio sulla “Cultura dell’Onore” e dal certosino studio portato avanti sugli eventi accaduti durante le gare della Major League esaminate ed anche alla luce di alcune argomentazioni su particolari situazioni in cui agire “come uno stronzo” può aiutare le persone a vincere attraverso le intimidazioni, ha detto:
"Ecco, dal mio studio ho qualificato ed interpretato tre diverse situazioni:
- Quando un lanciatore subisce da un giocatore un fuoricampo, questa battuta potrebbe mettere in crisi il suo operato di lanciatore di qualità e pertanto quando quello stesso giocatore, autore del fuoricampo, si ripresenterà nel box di battuta egli sarà propenso a lanciargli una pallina atta ad intimidirlo. Ecco, i meridionali sono maggiormente portati a formalizzare questo punto di vista ed in modo particolare se il battitore è bianco. Personalmente a me sembra coerente con le idee della cultura dell'onore secondo cui i meridionali cercano di proteggere il loro onore e le loro identità sociali più che i non meridionali,
- Nell’analoga situazione, ovvero quando un lanciatore ha subito un fuoricampo, il successivo battitore inserito nel lineup è da considerarsi maggiormente a rischio di incorrere in una pallina minacciosa che lo possa colpire. Ed anche qui perché il lanciatore teme una ulteriore minaccia al suo operato. Ancora una volta ho constatato che i meridionali sono stati intenzionati ad usare questo metodo.
- Se un compagno di squadra viene colpito dalla pallina scagliata dal lanciatore avversario e l’atto viene valutato nel dugout intenzionale, quando quel lanciatore andrà a posizionarsi nel box di battuta se il lanciatore non usasse la sua potenzialità nell’effettuare quel tipo offensivo di lancio l’effervescente mugugno tra tifosi ed addetti (significativo qui annotare che l’inossidabile Ty Cobb fu quello che maggiormente andava suggerendo che qualche lanciatore avrebbe dovuto lanciare una pallina nei confronti di Mays per colpirlo allo stesso modo con il quale lui aveva colpito Chapman) potrebbero pensare che il lanciatore non abbia la dovuta fermezza e capacità di proteggere i suoi compagni di squadra. Ebbene in tali circostanze, i meridionali sono stati i più propensi a farlo, ma soprattutto se il battitore era bianco ".
E poi aggiunse anche alcune sue interessanti valutazioni sulle differenze razziali chiarendo che se avesse dovuto esprimersi sul perché i meridionali non siano stati disposti ad usare le stesse modalità nei confronti degli afroamericani in queste situazioni non poteva che rimarcare due ipotesi:
- Crescere nel Sud certamente ha reso i meridionali ipersensibili al fatto di "apparire" razzisti e pertanto colpire un battitore afroamericano in queste situazioni li porterebbe ad essere considerati tali.
- Alcune prime ricerche sull'aggressività hanno mostrato che i giocatori bianchi (in generale) non attuano questo tipo di camuffata vendetta contro gli afroamericani per paura, ovvero erano certi che gli afroamericani a loro volta avrebbero portato avanti un loro senso vendicativo anche al di fuori del campo di gioco. Questa mentalità sarebbe scemata se i meridionali fossero stati più propensi ad imparare gli stereotipi sugli afroamericani ovvero assimilare meglio qualsiasi opinione rigidamente precostituita e generalizzata, cioè non acquisita sulla base di un'esperienza diretta e che prescinde dalla valutazione dei singoli casi, su persone o gruppi sociali.

A chiusura del suo studio il professore Timmerman posta una nota in calce significativa ed imbarazzante.
Afferma che si era interessato allo studio dell'aggressività nel baseball dopo aver letto lo specifico saggio "Temper and Temperature on the Diamond", da dove si evinceva che i lanciatori della Major League sembrano più propensi a colpire intenzionalmente i battitori quando si gioca con alte temperature.
Questo concetto sulla temperatura fa parte della vasta letteratura che traccia le ipotesi di quanto il caldo possa influire sull’aggressività, ovvero come in tali circostanze gli esseri umani siano più inclini a diventare cattivi quando fa caldo.
Il baseball dunque, dopo aver affascinato la statistica, la letteratura, il grande schermo con struggenti film, la cronaca rosa, la cronaca nera, approda da misterioso soggetto anche nel mondo della psicologia e sociologia dei costumi lasciando ad ogni singolo la valutazione delle conclusioni.
Di certo universalmente allora sembra giusto andare ad ipotizzare facilmente che se una giornata calda può trasformare le persone in “stronzi”, meglio delineare e ricordare come sia importante consigliare ai giocatori e non che se uno è di cattivo umore, è opportuno andare ad inserire la propria testa nel congelatore perché il baseball alla fine è solo un gioco.
Michele Dodde
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