
Il 1912 verrà licenziato alla storia del baseball per due particolari eventi che coinvolsero due personaggi che hanno scritto con il loro carisma intere pagine di questa infinita storia. Il primo riguarda il lanciatore mancino Richard William “Rube” Marquard. Come noto la somma di ben undicimila dollari, considerata in quel del 1908 semplicemente astronomica, spesa dai Giants di New York per acquistarlo, allora appena sconosciuto diciottenne, da una franchigia della Minor League, suscitò non poche polemiche e critiche anche per puntualizzare una inattesa lievitazione dei costi soprattutto in relazione agli stipendi elargiti ai giocatori professionisti. Se poi si constata che le sue iniziali prestazioni non furono eclatanti sino al 1911, quando chiuse la stagione con un palmares di 24 gare vinte su 31 giocate, le dure parole di reprimenda furono più che giustificate. Invece ecco che nel 1912 l’intero investimento attuato sul suo talento improvvisamente viene ampiamente ripagato da una eccezionale annata agonistica che lo vide fautore di una striscia record di 19 vittorie consecutive a partire dalla sconfitta che procurò ai Brooklyn Dodgers per 18-3 sino all’8 luglio quando i Cubs di Chicago vinsero per 7-2 contro i Giants concedendo in tutte le gare solo la realizzazione di 42 punti agli avversari. Finì poi quella sua prestigiosa stagione agonistica con 26 vittorie a fronte di sole 12 sconfitte con un ERA pari a 2.57 nei suoi complessivi 294 innings in cui aveva lanciato.
Ancora con la sua curva maligna unitamente ad una bruciante fast ball andrà a ripetersi nell’anno successivo con ulteriori 23 vittorie implementando un record di 73 partite vinte durante le tre stagioni agonistiche evidenziate. Poi però la sua configurazione sul monte di lancio inizierà una parabola discendente pur realizzando dei picchi nel 1917 con i Robins di Brooklyn, 19 gare vinte, e nel 1921 con i Reds di Cincinnati, 17 vittorie. Lasciò i colori dei diamanti con la casacca dei Braves di Boston nel 1925 con una placca di 201 vittorie e 1593 strikeout realizzati in carriera che gli valsero l’induzione nella Hall of Fame nel 1971.

Il secondo evento invece investe direttamente quel noto carattere duro ed aristocratico, ammantato da una spessa ombra di permalosità, di Tyrus Raymond Cobb, meglio noto come Ty e mitizzato dai fan come “The Georgia Peach”.
Indiscutibilmente ad iniziare dal giorno del suo debutto in Major League, il 30 agosto del 1905 ad appena 18 anni indossando la casacca dei Detroit Tigers, Ty la sua idolatrata icona nel mondo del baseball se l’è scolpita grazie alla sua eccellente visione del gioco ed al suo singolare e personale modo di praticarlo: armonioso in difesa, scalpitante ed imprevedibile nelle fasi di attacco.
Fortemente orgoglioso della propria personalità ed ombroso verso i prevaricatori, fossero essi anche i compagni di squadra che erano dediti ai noiosi atti di nonnismo, Cobb durante la sua carriera fu coinvolto in numerose baruffe sia nell’ambiente del baseball sia in quello civile.
La cronaca minuta lo vide protagonista nel 1909 in un albergo di Cleveland dove ebbe un alterco, alle due di notte, con un addetto all’ascensore con il successivo intervento di una guardia notturna che pose fine al confronto fisico estraendo la pistola con la quale colpì l’irascibile giocatore diverse volte mandandolo al tappeto.

Ma se quella volta fu lui a toccare terra così non fu nel 1921 quando ebbe un'animata discussione con l'umpire Billy Evans. Entrambi sanguigni, decisero di sfidarsi alla fine della gara e battersi per chiarirsi meglio le idee. Quindi dopo la partita si incontrarono dentro gli spogliatoi e, attorniati dai giocatori di entrambe le squadre, presero a darsele.
Qui la leggenda cavalca due versioni: la prima più accreditata è quella che narrante la fine della scazzottatura quando Cobb mandò al tappeto Evans iniziando a strozzarlo, la seconda forse più veritiera indica invece che fu l’umpire ad avere inaspettatamente la possibilità di sfoderare un paio di ganci sinistri che fecero cadere a terra l'intontito Ty e che subito dopo Billy gli si mise sopra a cavalcioni e con enfasi lo dichiarò: "out". Poi divennero sinceri amici.

Ma in quell’anno fatidico del 1912 l’evento che lo caratterizzò, e di riflesso anche la stagione agonistica dei Tigers, accadde il 15 maggio. Durante la gara contro gli Highlanders di New York Cobb divenne il ricercato bersaglio da parte di un esagitato tifoso della squadra newyorkese, tale Claude Lucker, che dalle tribune del Hilltop Park già dal primo inning aveva incominciato ad inveire contro di lui con frasi irriguardose e blasfeme ed insulti razziali.
Mal sopportando quelle ingiurie, in specie quando fu apostrofato come “mezzo nero”, che andava a riflettere il colore e la morale della madre, Ty richiamò l’attenzione del manager Harry Wolverton, lo skipper degli Highlanders, affinché fossero presi provvedimenti nei confronti di quello spettatore. Il serafico Wolverton, ligio al detto che lo spettatore pagante ha il diritto di dire ciò che vuole, alzò semplicemente le spalle e fu così che alla fine del sesto inning, l’iracondo Cobb scavalcò le tribune e si scagliò contro l’arrogante supporter passando a vie di fatto nonostante gli altri spettatori lo invitassero a calmarsi in quanto Lucker era un portatore di handicap avendo perso una intera mano e tre dita dell’altra in un incidente di lavoro.
L’avvenuto increscioso episodio giunse quale inaspettata notizia a ciel sereno anche ai piani alti della American League il cui presidente Ban Johnson, al fine di fugare qualsiasi negativa crociata da parte dei mas media, subito lo sospese per tutto l resto della stagione agonistica.
Appresa la notizia, tra i suoi compagni di squadra, che pure non erano molto affezionati a Cobb, emerse vincente il concetto di squadra e così tutti scioperarono in segno di protesta evidenziando come non fosse mai stato attutato alcun limite nei confronti di esagitati tifosi al fine di salvaguardare la protezione morale dei giocatori.
Si dice poi che questo episodio abbia fatto nascere la “Ballplayers’ Fraternity”, ovvero una specie di sindacato che in seguito diventerà la nota “Major League Baseball Players Association”, ma si dice solo…

Il proclamato sciopero colse alla sprovvista la dirigenza dei Tigers che, per non essere costretti a pagare la prevista multa inerente alla non presentazione della squadra alla gara prevista in atto tre giorni dopo, il 18 maggio, contro gli Athletics di Filadelfia costrinse giocoforza il manager, Hugh Jennings, ad inventarsi un line up raschiando il barile selezionando giocatori di squadre dei vari college e posizionando sul monte di lancio un seminarista, Aloysius Joseph “Allan” Travers, che poi diventerà il Reverendo Aloysius Stanislaus Travers, o meglio il primo ed unico prete cattolico ad essere ricordato come giocatore, pur in una sola esibizione, della Major League.
Quell’incontro allo Shibe Park di Filadelfia, dinnanzi a ben 15.000 spettatori, verrà alla fine memorizzato come la più sconfortante prestazione dei colori dei Tigers: solo record negativi. Quei giocatori reclutati ricevettero un compenso dii 25 dollari a testa mentre 50 furono destinati a Travers che, pur non conoscendo bene il gioco ma accettando quel ruolo, durante tutta la gara ebbe ad affrontare ben 50 battitori, concesse 26 battute valide, realizzò un solo strike out e subì l’onta di 24 punti.
Sul diamante infine, a completare la risibile gara, scesero anche due allenatori dei Tigers, il 41enne Joe Sugden ed il 48enne Deacon McGuire e negli ultimi due inning anche lo stesso manager Jennings.
La gara terminò con il punteggio di 24 – 2 per gli Athletics. Dinnanzi a questa situazione si narra che fu lo stesso Ty Cobb ad invitare i suoi compagni a terminare lo sciopero al fine di completare in modo dignitoso il campionato. I Tigers di Detroit quell’anno arrivarono sesti in classifica.
Poiché comunque le esperienze altrui insegnano poco, è pur vero che in seguito ulteriori contrasti e baruffe hanno coinvolto altri irrequieti e scalmanati spettatori con affermati giocatori quali Babe Ruth, Cy Young, Rube Waddell, Kid Gleason, Sherry Magee e Fred Clarke, ma questo fa parte di un aspetto tutto statunitense dove il principio della difesa personale è nel DNA dei personaggi.
E la storia infinita continua…
Michele Dodde
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Maria Luisa Vighi (venerdì, 06 novembre 2020 11:02)
E perfortuna... la storia continua!
Aldo Bucelli (venerdì, 06 novembre 2020 21:46)
Due storie molto "spassose", che in fin dei conti dimostrano come la storia si ripeta sempre.
I Giants che spendono una cifra esorbitante per un giocatore che all'inizio non dimostra il suo valore, ma poi si rivela un oculato acquisto. Dobbiamo apprezzare la loro lungimiranza oppure rattristarci per il fatto che già a quei tempi lo sport finisce per essere solo una questione di soldi? Mi ricorda tanto alcune squadre di calcio dei nostri giorni ...
Quanto all'altro personaggio, di cui emerge il carattere irascibile, che tanto mi ricorda un moderno Mike Tyson (ma è solo un esempio)… cosa ne è dello sport che dovrebbe insegnare la disciplina e l'autocontrollo?