
Fu vera gloria quella di Jackie Robinson?
Segue dalla 2^ parte
A chiudere le pagine del 19esimo secolo con i tanti eventi conclusi quando il baseball era ancora considerato quello giocato dai “Bare Handed”, ovvero dai ricercati giocatori che giocavano con le mani nude nonostante il veloce incremento a ideare una più che soddisfacente produzione di attrezzature protettive, ed a sorvolare sui miasmi delle Leggi Jim Crow, ecco constatare come ad inizio del nuovo secolo già nel 1908 nel nord est degli Stati Uniti si erano costituite diverse franchigie composte da giocatori afroamericani e cubani tra cui i “Norfolk Red Stocking”, i “NewYork Cuban Giants”, i “Philadelphia Giants” ed i “Brooklyn Royal Giants”. Ma il vero precursore di Branch Rickey, il futuro proprietario dei Brooklyn Dodgers che riuscirà nell’intento di affrancare nel 1947 Jackie Robinson, fu John Joseph McGraw, buon terza base ma soprattutto eccellente manager con all’attivo ben 2763 vittorie e definito “ vero modello del classico allenatore statunitense, versione maschile della prostituta dal cuore d’oro, uomo inflessibile amato dai propri giocatori” dal giornalista Frank Deford nel suo libro “The Old Ball Game”.

Ebbene McGraw, che sapeva individuare i veri talenti del gioco, nel 1901 tentò di ingaggiare nel roster dei “Baltimore Orioles” affiliato alla nuova American League, l’eclettico seconda base nero Charlie Grant Jr. camuffandolo da pellerossa Cherokee e dandogli l’inventato ma orecchiabile nome di John Tokohama.
Il caso volle però che la prima gara di quell’anno fosse in calendario a Chicago dove Grant aveva già giocato con i “Columbia Giants”, una formazione di afroamericani, e pertanto fosse subito riconosciuto dal noto proprietario dei White Sox Charlie Comiskey che si accorse del travestimento e sventò categoricamente il suo ingresso sul diamante.
Tramontò così l’idea di McGraw che tuttavia, pochi anni dopo come manager dei “New York Giants”, cercò di portare sotto la sua ala protettrice Josè de la Caridad Méndez, un inimitabile lanciatore cubano che però già dal suo soprannome, “The Black Matty” si stava precludendo l’ingresso presso la National League smorzando il caldeggiato sforzo di integrazione.

Grande fu il disappunto di McGraw a non poterlo schierare nella propria formazione poiché si narra che nel 1908 l’ostica pallina lanciata da Méndez con un semplice movimento ingannevole della mano aveva ben messo alla berlina i vari bomber dei “Cincinnati Reds” che, recatisi a Cuba per una tournee, per ben 25 inning furono soggiogati durante tre gare non riuscendo a realizzare alcun punto.
Mendéz però in seguito divenne un ricercato e splendido lanciatore delle franchigie della costituenda Negro National League ed introdotto tardivamente nella Hall of Fame nel 2006.
Memorizzata la loro tournee, nel 1911 i “Cincinnati Reds” ingaggiarono ben due giocatori cubani dalla pelle chiara: Rafael Almeida ed Armando Marsans.
Entrambi debuttarono in Major League con i Reds il 4 luglio, il primo in terza base, il secondo quale esterno centro. La storiografia li indica come i primi giocatori cubani ad aver calcato i diamanti americani ma anche su questa interpretazione tra le righe però spuntano sia il nome di Charles Chick Pedroes che con i colori dei “Chicago Orphans” giocò nel 1902 nella National League sia soprattutto quello di Estevan Enrique Steve Bellàn, unanimamente riconosciuto anche come il padre del baseball caraibico, che con gli “Haymaker of Troy” dal 1871 al 1873 ricoprì il ruolo di terza base destreggiandosi nella emergente “National Association of Professional Baseball Players”.
Tutti, naturalmente, erano di pelle chiara, ma ci sono stati anche altri numerosi giocatori latini dalla pelle chiara che, quando la linea di colore fu finalmente abbattuta, non hanno disdegnato di riconoscere la loro discendenza parzialmente nera.

Comunque, tecnicamente, il primo giocatore di colore ad aver giocato a baseball in una lega bianca debitamente organizzata ad inizio del 20esimo secolo è stato il lanciatore canadese-americano James Edgar Claxton con la casacca degli “Oakland Oaks” della Pacific Coast League.
Claxton era stato presentato al proprietario degli Oaks come un pellerossa di una tribù dell’Oklahoma e come tale ingaggiato e fatto debuttare sul monte di lancio il 28 maggio 1916.
L’azienda di caramelle Zee-Nut, com’era allora costume, subito produsse una figurina con la sua effige che divenne storica appena dopo quando, scartabellando gli atti di matrimonio dei genitori di Claxton si evidenziò che “lo sposo è un uomo di colore, la sposa una donna bianca” per cui fu subito licenziato a mente delle Leggi Jim Crow, diventò la prima card da baseball di un afroamericano.
Nato a Wellington in Canada e successivamente da quando aveva tre mesi, vissuto a Tacoma, Washington, Claxton continuò a giocare con i Shasta Limited affiliata alla Negro National League, organizzata organicamente da Andrew “Rube” Foster, il riconosciuto Padre del Baseball Nero, ed attiva dal 1920 al 1931.

Questi i fatti. E comunque dopo Jackie Robinson, che debuttò nella National League il 15 aprile del 1947 con i Brooklyn Dodgers, fu Lawrence Eugene “Larry” Doby a debuttare il 5 giugno dello stesso anno con la casacca degli “Indians” di Cleveland, prelevato dal manager Bill Veeck direttamente dalla Negro League, divenendo il primo afroamericano ad abbattere la barriera razziale in ambito dell’American League.
Introdotto nella Hall of Fame nel 1998 ha vinto nel 1948 le World Series ed ampliato il suo palmares con un record di 111 vittorie. Prima di ritirarsi come giocatore e divenire allenatore ha indossato i colori dei Chicago White Sox, Tigers di Detroit ed in Giappone dei Dragons di Chunichi.
A seguire la via maestra aperta da questi due giocatori furono Daniel Robert Bankhead e Leroy Satchel Paige. Il primo fu scelto anche lui da Branch Rickey all’età di 24 anni ed andò a calcare il diamante dell’Ebbets Field il 26 agosto del 1947 presentandosi con un fuori campo e divenendo il primo lanciatore negro della National League essendo salito sul monte di lancio come rilievo in quattro gare dei Dodgers mentre il secondo fu il primo lanciatore afroamericano nell’American League, sempre ingaggiato da Bill Veek, che esordì il 9 luglio del 1948 con gli Indians Cleveland alla non più giovane età di 42 anni.
Nonostante in quell’anno egli fosse stato il primo lanciatore di colore a vincere una gara, realizzare una “shutout” e partecipare ad una World Series giocando come rilievo nella gara del 10 ottobre contro i Braves di Boston, al termine della stagione agonistica non gli fu prolungato il contratto. Paige aveva nel suo carnet esperienze accumulate, al di fuori delle franchigie della Negro League, anche a Cuba, Repubblica Dominicana, Porto Rico e Messico, dunque un atleta di forte carattere e di diverse caratterizzazioni del gioco.
Ma l’età aveva il suo peso e tuttavia di lui successivamente si ricorderanno gli Athletics di Kansas City che lo ingaggiarono all’età di 59 anni come lanciatore partente nella gara del 25 ottobre 1965 contro i Red Sox di Boston. Paige da par suo restò egregiamente sul monte di lancio per tre inning lasciandolo poi tra gli applausi del pubblico. L’autorevole periodico “The Sporting News” lo ha inserito al 19° posto nella virtuale classifica dei migliori cento giocatori di tutti i tempi.

In chiusura c’è anche da rimarcare che è stato Joseph Joe Black il primo lanciatore di colore, sempre con la casacca dei Brooklyn Dodgers, a vincere una partita delle World Series del 1952 contro il line up dei New York Yankees e che il nero Sam Jones con i Chicago Cubs il 12 Maggio 1955 contro i Pirati di Pittsburgh è stato il primo a lanciare una gara “No Hitter”.
Ed a completare però questo elenco dei numeri primi, per un principio di personale casta, voglio evidenziare anche la figura dell’umpire Emmet Ashford che nel 1965 esordì tra i Blu dell’American League.
Fu dunque vera gloria quella di Jackie Robinson?
Michele Dodde
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