
di Frankie Russo tratto da theundefeated.com
C'è un movimento crescente all'interno dell'Associazione dei giornalisti del baseball americano per rimuovere il nome di Kenesaw Mountain Landis, primo commissario della Major League Baseball, dal trofeo MVP. Un discreto numero di vincitori dell'MVP sta sostenendo questa iniziativa e tra essi figura l'ex MVP e star dei Cincinnati Reds Barry Larkin poiché il rifiuto di Landis (*) di far partecipare i giocatori di colore nella Major League fu cruciale per il loro ritardato inserimento che avvenne solo molti anni dopo e solo dopo la sua morte. Tra gli altri nomi a cui si è fatto cenno per sostituire quello di Landis, figurano gli Hall of Famers Branch Rickey, Frank Robinson e il leggendario Josh Gibson, il miglior battitore di potenza di tutti i tempi che ha realizzato quasi 800 fuoricampo nella sua carriera e di cui BOTR si è già occupato in un articolo del 22/12/15 e marginalmente anche nell’articolo “La Cattedrale dimenticata della Negro League” del 26/1/14.
E come dice il pronipote, è un onore vedere Gibson tra i nomi presi in considerazione per il trofeo insieme ad altri due degni candidati. Rickey ha osato firmare Jackie Robinson come primo giocatore nero del campionato mentre lo sport in genere, e la maggior parte del paese, lo riteneva un oltraggio.
Frank Robinson rimane l'unico giocatore a vincere l'MVP sia nell’American League che nella National League.
Entrambi i menzionati meritano una forte considerazione ma, a guardare bene, solo a Gibson fu negata la possibilità di vincere il trofeo MVP perché Landis, come accennato, rifiutò la loro integrazione nel baseball dei bianchi. Non sarebbe un atto di giustizia che il trofeo portasse il nome di Gibson? Probabilmente sarebbe stato un vincitore pluriennale di MVP nelle majors durante il mandato di Landis se il premio fosse esistito e se ai giocatori di colore fosse stata data l'opportunità di giocare nelle majors. In effetti, non solo sarebbe più che appropriato, sarebbe una giustizia poetica.

Nella storia leggendaria delle Negro Leagues, è stato Gibson a personificare la superstar del baseball e a lui sarebbe stato giusto offrire l’opportunità di esibirsi accanto ai suoi contemporanei degli anni '30 e '40: Babe Ruth, Lou Gehrig, Jimmie Foxx, Joe DiMaggio e Ted Williams.
Se non fosse stata per le barriere razziali, la MLB sarebbe stata ancora più ricca per la competizione, le trame, il dramma puro e l'apice del gioco che artisti del calibro di Gibson avrebbero portato al baseball.
Ma come gran parte della società americana nella prima metà del 20° secolo, la MLB ha scelto e approvato la divisione, la separazione, la giustizia per alcuni, ma non per tutti.
Come hanno dimostrato i recenti eventi, è un prezzo che continuiamo a pagare anche adesso. Ma questo non è un dibattito su ciò che avrebbe potuto succedere, ma sulla redenzione.
Le capacità in battuta oltre alla potenza di Gibson non erano secondi a nessuno, e insieme alle sue doti difensive, ha contribuito a portare le sue squadre a vari primi posti. Introdotto nella Hall Of Fame nel 1972, il secondo giocatore di colore dopo Satchel Paige, Gibson era una vera superstar del baseball.
A causa della sua malattia e della sua tragica morte all'età di 35 anni, è stata tolta a tutti noi quella che probabilmente sarebbe stata una delle più grandi carriere nel baseball di sempre. Ma vale anche la pena spiegare la convergenza di Landis e Gibson e del perché il trofeo MVP dovrebbe essere intitolato a Gibson anche se non hai mai partecipato a un campionato MLB.

Nel 1919, per fornire una forte leadership e affrontare i numerosi scandali che attanagliavano il baseball in quel periodo, la MLB instaurò il ruolo del commissario e Landis fu il primo a ricoprire l'incarico. Landis portò con sé il suo background legale e la sua passione per il baseball.
Tuttavia, quando è arrivato il momento di integrare il baseball, Landis fece poco per accettare i giocatori neri. Lo storico ufficiale della MLB John Horn riportò sull'Associated Press che Landis aveva una storia complicata che includeva una di "razzismo documentato".
Gli americani al di fuori della comunità afroamericana vennero a conoscenza delle stelle della Negro League quali Gibson nonostante giocassero all'ombra della MLB, giocatori che erano così bravi che l'America bianca arrivò al punto di paragonarli alle stelle bianche del baseball.
Molti furono gli accostamenti dei nomi dei giocatori neri a quelli bianchi. John Henry era “the Black Honus Wagner”, Buck Leonardi era “the Black Lou Gehrig”, e non poteva mancare appunto Josh Gibson “the Black Babe Ruth, volendo riconoscere così la loro grandezza di questi giocatori neri.
Gibson nacque il 21 dicembre 1911 a Buena Vista, nello Stato del Georgia. La famiglia si trasferì al nord quando il padre di Gibson trovò lavoro nelle acciaierie di Pittsburgh. Gibson è cresciuto giocando a baseball e attirò l'attenzione di Gus Greenlee, uomo d'affari e appassionato di sport, il quale ingaggiò Gibson nella sua squadra di semiprofessionisti, i Pittsburgh Crawfords, che sarebbero emersi negli anni '30 come una delle squadre più forti delle Negro Leagues.
Il debutto di Gibson fu uno di quelli che rimase nella storia per secoli. Il manager dei Grays Judy Johnson, anch’egli introdotto nella HOF, aveva bisogno di un ricevitore a seguito di un suo infortunio subito contro i leggendari Kansas City Monarchs. Johnson vide Gibson sugli spalti, e a conoscenza della sua reputazione lo invitò a entrare in campo.

“Ecco qua” racconta Johnson. “Il Forbes Field è pieno e in tribuna, seduto tra un gruppo di ragazzi che generalmente giocavano per strada, vedo Gibson e gli chiedo se vuole fare il ricevitore. “Sissignore, signor Johnson”. Fu chiesto di sospendere la partita il tempo necessario a Gibson per indossare la divisa”.
Nel corso della sua carriera durata 17 anni, giocando per i Crawford e per i Grays oltre a un periodo nei Caraibi, le sue prestazioni furono caratterizzate da mastodontici fuoricampo, una media battuta altissima e un impareggiabile OPS.
Secondo Seamheads, la fonte statistica riconosciuta per la Negro League, le sue statistiche sarebbero state di 365 MB, 690 SLG e un OPS di 1.139. Gibson ha giocato per due delle più forti squadre, i Grays nel 1931 e Crawfords nel 1935 per poi stabilirsi con i Grays dal 1937 al 1945 vincendo due delle quattro World Series a cui ha partecipato.
In un articolo del 12 febbraio 1938 sul Pittsburgh Courier, uno dei principali giornali afroamericani dell'epoca, il proprietario dei Pittsburgh Pirates William E. Benswanger ebbe a dire:
"Se la questione dell'ammissione di giocatori di colore nel baseball organizzato diventa un problema, io sarei caldamente favorevole. Penso che le persone di colore dovrebbero avere un'opportunità nel baseball proprio come hanno un'opportunità nella musica o in qualsiasi altra cosa." In risposta a una richiesta per la sua valutazione su Gibson, che giocava non lontano da Pittsburgh, Benswanger rispose: "Beh, ho visto Gibson circa due anni fa e sicuramente mi sembrava che avesse una mazza degna della lega maggiore".
La domanda era: Cosa ci sarebbe voluto per ammettere che i giocatori di baseball neri avevano lo stesso diritto dei bianchi.

La scadente squadra dei Pirates di quel periodo avrebbe potuto beneficiare dell'ingaggio di alcuni giocatori di quei Grays del 1938 quali Gibson, Leonard e Ray Brown per nominare alcuni, ma Benswanger non ebbe il coraggio di abbattere la barriera un decennio prima che lo facessero Rickey Branch e i Brooklyn Dodgers, non a caso, dopo la morte di Landis.
Provate ad immaginare cosa sarebbe stata la major league se fosse stata integrata quando Gibson iniziò la sua carriera nei primi anni '30. Vale la pena chiedersi che differenza avrebbe potuto fare e come sarebbero state le prestazioni dei giocatori di colore giocando al fianco di quelli bianchi.
Una risposta potrebbe essere che, dal 1948 al 1962, i primi 15 anni dopo il debutto in Major League di Jackie Robinson, la National League assegnò 11 dei 15 MVP a giocatori di colore mentre metà delle squadre della American League non iniziò a integrare le loro squadre fino al settembre 1954 inseguendo la NL con l’infusione di giocatori di talento.
Non era una questione solo di abilità, era una questione delle pari opportunità che aveva eliminato i giocatori neri dalla concorrenza. Gli anni '30 furono un periodo speciale per le Negro Leagues e giocatori come Leonard, Johnson, Charleston, Jud Wilson, Willie Wells, Ray Dandridge, Mules Suttles, Leon Day, Hilton Smith - oltre a Paige e Gibson - avrebbero rafforzato e non di poco tanti lineup oltre a contribuire all’espansione del baseball tra gli appassionati, specie tra coloro di colore che si sentivano emarginati.
Rinominare il premio MVP in memoria di Josh Gibson farebbe molto di più che onorare un grande giocatore di baseball. Ricorderebbe alla gente alcune delle tante vittime del razzismo: i giocatori ai quali è stato negato il sogno della loro vita di giocare a baseball ai massimi livelli. Per tutti coloro che sono venuti prima di Robinson, il "Josh Gibson MVP Award" sarebbe un atto di redenzione.
E giustizia poetica.
Frankie Russo
(*) Nel 1920, il giudice Landis fu il candidato principale dei proprietari dell'American League e della National League, imbarazzati dallo Scandalo dei Black Sox e da altri scandali di scommesse, alla ricerca di qualcuno che governasse il mondo del baseball. A Landis furono dati pieni poteri ad agire nell'interesse dello sport, poteri che usò ampiamente nel successivo quarto di secolo. Landis fu acclamato per avere ripulito il gioco, anche se alcune sue decisioni nello Scandalo dei Black Sox rimangono controverse: i sostenitori di "Shoeless Joe" Jackson e Buck Weaver affermano che esagerò nelle pene comminate a questi giocatori. Altri incolpano Landis per avere ritardato l'integrazione razziale nel baseball (da Wikipedia).
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