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L'irresistibile orgoglio di Yogi Berra

di Michele Dodde

Ci si chiede spesso se Yogi Berra sia stato l’inventore degli aforismi hard boiled o se gli aforismi hard  boiled abbiano inventato lo Yogi Berra quale impeccabile icona da enciclopedia. Già dal proprio nikname Yogi, il personaggio Lawrence Peter Berra con un buon cinquanta per cento di sangue lombardo, in particolare cuggionese, donatogli dai genitori Pietro e Paolina e per il resto acquisito tra i limiti della parrocchia di St. Ambrose in quel di Saint Louis lato quartiere “The Hill” più noto come “Dago Hill” per via di quella mai sopita irriverenza verso gli altri in special modo gli immigrati, e Dago era sinonimo di rinnegato, per sua forte determinazione personale, farcita da un’autentica irresistibile autoironia, è riuscito a primeggiare abbattendo muri di incredibilità e di considerazioni. Certamente non era un adone come l’alter ego del tempo Joe Di Maggio ma la sua tracagnotta figura l’ha reso amabile perché sinonimo di uomo comune e laborioso.

Da giovane era spesso posizionato seduto con le braccia conserte in attesa del suo turno di battuta quando un amico d’infanzia, tale Marco Pe, incominciò a prenderlo in giro volendolo paragonare per postura alla divinità indù Yogi ma mai più fortunato fu tale soprannome tanto che lo stesso Berra non solo se lo sentì appropriato ma lo fece diventare parte integrante della propria firma come si evince dal volume “Few and Chosen”, che comprende la biografia degli eletti degli Yankees omaggiati dall’autore Edward Charles Whitey Ford già lanciatore degli stessi Yankees per 16 stagioni a partire dal 1950 ed eletto nella Hall of Fame nel 1974. 

Conosciuto meglio dagli appassionati come “The Chairman of the Board” per via della sua proverbiale calma durante i momenti topici di una gara, Whitey Ford nel suo volume delinea, ruolo per ruolo, i grandi del roster degli Yankees attraverso le diverse epoche di vita della franchigia precisando altresì di aver avuto anche il privilegio di aver giocato con Joe Di Maggio, Phil Rizzuto, Mickey Mantle, Johnny Mize, Enos Slaughter e soprattutto con Yogi Berra cui ha chiesto ed ottenuto di scrivere la prefazione al libro, questa volta redatta priva di aforismi, ma apponendo in calce la firma: Yogi Berra – Aprile 2001.

 

Dunque il personaggio Berra, poliedrico e simpatico a tutto tondo e divenuto il più grande ed insostituibile ricevitore degli Yankees dal 1946 al 1965, deve la nascita del suo arcobaleno di vita grazie all’intuito del manager della squadra di baseball della Marina Statunitense, con la quale Yogi era stato impegnato durante gli eventi della seconda guerra mondiale. E come ricevitore, con quella sua apparente sgraziata postura, ebbe il giusto senso a ritagliarsi nella franchigia degli Yankees il ruolo di primo della classe dinnanzi a personaggi come Bill Dickey, Thurman Munson, Elston Howard e Jorge Posada. 

La sua proverbiale capacità di rendere facili gli argomenti difficili lo resero molto popolare ed amato soprattutto dai giovanissimi tanto che si dice abbia ispirato i due cartoonist William Hanna e Joseph Barbera a ideare nel 1958 le avventure di un giocoso orso chiamandolo, per simpatia al giocatore, Yoghi.

 

Simpatico nel rispondere alle interviste e professionalmente motivato durante le gare accadde così che non poteva che capitare a Yogi Berra, unitamente all’altro carismatico protagonista nel mondo del baseball che è stato Jackie Robinson, a rispolverare i temi e le considerazioni emerse a seguito di quella che viene considerata la foto più famosa del gioco realizzata il 23 luglio del 1909 da Charles Conlon ritraente la scivolata di Ty Cobb in terza base. Quindi a Ty Cobb l’onore della foto, vero dagherrotipo realizzato da una camera su treppiedi, a Yogi Berra quella della sequenza fotografica più controversa destinata a passare alla storia quale prima serie di immagini di cui una ripresa dalla nascente tecnologia inerente i teleobiettivi.   

Erano circa 65.000 gli spettatori ad occupare le gradinate dello Yankee Stadium nel Bronx quel pomeriggio del 28 settembre del 1955 per assistere alla prima gara delle World Series tra gli Yankees ed i Dodgers di Brooklyn. Per gli ospiti era salito sul monte di lancio Don Newcombe accreditato vincitore di 20 partite quell’anno nella regular season. Di contro proprio il già citato Whitey Ford con l’eccellente palmares di 18 gare vinte su 25 disputate. La gara ebbe alti e bassi sino al fatidico settimo inning con il risultato di 6 a 4 per i padroni di casa, poi all’inizio dell’ottavo inning il line up dei Dodgers si presentò come primo battitore con Carl Furillo che riuscì ad incocciare la pallina realizzando una valida inviandola al centro del campo esterno. A seguire Gil Hodges che però fu il primo eliminato.

La volta di Jakie Robinson fu molto fortunata poiché la sua pallina battuta rimbalzante a terra causò un errore difensivo che spinse Furillo ad acquisire la terza base ed allo stesso Robinson di raggiungere la seconda base.

 

Con l’adrenalina a mille da parte dei tifosi, si posizionò nel box di battuta Don Zimmer che magistralmente confezionò una battuta di sacrificio che permise a Furillo di segnare il punto ed a Robinson di andare avanti sino in terza base. Con la situazione di due out il seguito è da racconto mozzafiato: con Frank Kellert prossimo battitore a posizionarsi nel box di battuta, Robinson improvvisamente per dare lustro alla sua fama di veloce cursore e ladro di basi incomincia a caracollare verso casa base.

 

Yogi si accorge dell’azione e ricevuto il lancio da parte di Ford con il suo inimitabile stile si appresta a toccare Robinson già in scivolata teso a raggiungere il piatto di casa base. Un’azione veloce e di difficile giudizio per il suo avvicendarsi molto contemporaneo che però lascia al plate umpire Bill Summers la dritta per dichiarare “salvo” il corridore e sancire il punto del pareggio. 

Yogi scattò come una molla verso l’umpire a contrastare la sua decisione e veemente fu il suo purtroppo inutile comportamento immortalato da varie foto.

 

La cronaca fredda comunque ci racconta che quella gara fu poi vinta dagli Yankees grazie ai due successivi punti realizzati da Joe Collins e dal rookie Elston Howard, che il lanciatore Ford fu accreditato come vincente, che le World Series del 1955 furono appannaggio dei Dodgers nel loro ultimo anno di casa a Brooklyn per aver vinto 4 gare su 3 elevando nella storia Johnny Podres quale MVP per aver lanciato e vinto gara 3 e gara 7 ma anche che suscitò un’onda lunga di verbose e cavillose polemiche per via della grande rubata a casa base da parte di Robinson nello stretto groviglio con Yogi. 

Tra le diverse foto che hanno catturato la sequenza di quell’arrivo note sono quelle di Gray Villet e soprattutto quelle di Mark Kauffman, fotografo principe della rivista “Sports Illustrated” che per la prima volta stava usando il teleobiettivo, un optional che permetterà in futuro riprese di alto prestigio.

 

A commento di questa prima volta è interessante riportare il pensiero di Brad Mangin, un fotografo sportivo freelance di San Francisco, che nel visionare i fotogrammi considerò la foto di Kauffman  come una delle migliori foto di sempre delle World Series. Ed aggiunse sulla controversia Robinson-Berra che “... dopo aver visto le foto ripetutamente per me è ancora difficile giudicare se Jackie fosse salvo o out. L'unica cosa da rimarcare è che sicuramente su  questo episodio  è stata realizzata una bellissima foto catturata in modo magistrale da Mark per il periodico “Sports Illustrated” . Il particolare che rende questa immagine così speciale per me è che è una delle prime fantastiche immagini con teleobiettivo realizzate con un obiettivo lungo a livello del campo di gioco. Fino a quel momento infatti la maggior parte delle foto di baseball erano scattate durante la stagione regolare e le World Series sempre con lenti lunghe con camere Big Bertha. E poi, come non restare affascinati dalla grande azione ed espressione virale  sul viso di Jackie, combinata con l'esclusivo angolo da terra a terra, che rendono questa immagine speciale ?". 

 

Si, tutto vero, ma intanto c’è sempre lì, il brutto anatroccolo Yogi Berra, meraviglioso cigno del gioco, che nel frattempo continuerà a sostenere che Jackie Robinson era out.

 

Michele Dodde

 

 

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Commenti: 1
  • #1

    eziocardea@hotmail. (venerdì, 14 agosto 2020 09:09)

    Storia, aneddotica, passione, mondo incantato ma più vero del reale ... Tutto si fonde in modo fantastico nella tua narrazione, caro Michele!