
di Frankie Russo tratto da ESPN
Il giorno della sua morte avvenuta nel 2014, Don Zimmer era forse la persona più amata e rispettata nel mondo del baseball. Nessuno, ma nessuno, amava il gioco più di Don Zimmer. Il suo matrimonio fu celebrato a casa base dell’Elmira Field, New York. Ha indossato l'uniforme per 66 anni come giocatore, coach e manager. La sua aggressività in campo poteva essere paragonata solo a quella di Ty Cobb. Ha superato momenti terribili, due volte è stato colpito alla testa da una palla da baseball. Ha giocato per i campioni del mondo LA Dodgers nel 1955. Per 13 anni è stato manager di quattro squadre nelle majors con una percentuale di vittorie 508. Nel 1989, quando era manager dei Cubs condusse la squadra a un imprevedibile titolo di divisione. Per molti anni con gli Yankees è stato il bench coach di Joe Torre divenendo il nonno di tutti. Negli ultimi anni di carriera, è stato il consulente del GM dei TB Rays dove fu rispettato e venerato. Negli ultimi anni, il suo grande amico Jim Leyland, ex manager dei Tigers, lo chiamava al telefono ogni giorno, anche due o tre volte solo per sapere se stava bene o se avesse bisogno di qualcosa.
Zimmer era anche di carattere molto allegro. Prima di essere licenziato dai Red Sox, Zimmer aveva preso in affitto la casa di Bucky Dent, giocatore degli Yankees. Come si può immaginare, Dent realizzò un fuoricampo da tre punti che decretò la sconfitta di Boston nei playoff. In testa al letto, bene incorniciata, Zimmer aveva appeso la prima pagina di un giornale dell’epoca dal titolo: SOX DENTED (schiacciati).

Era nel maggio 1982 quando ancora manager dei Texas Rangers, e con la squadra in una striscia negativa di 13 sconfitte consecutive, piombò nel suo ufficio un giovane reporter lamentandosi che non era affatto divertente seguire una squadra così deludente.
"Smettila di lamentarti”, gli disse Zimmer, “Guardati allo specchio, sei giovane e hai tutta la vita davanti a te. Guarda me. Sono vecchio, sono grasso, sono calvo, sono brutto e ho una placca in testa. A tutto questo aggiungi che devo cercare di fare vincere qualche partita a questa squadra. Sono io quello che si deve lamentare”.
E così dicendo scoppiò in una sonora risata, quella inconfondibile risata uscita da quella faccia di luna che poteva illuminare una stanza, specialmente se si parlava di baseball.
Frankie Russo
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