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Il Diario Segreto - 1^ parte

Da Redazione.

Siamo lieti di pubblicare su Baseball On The Road un secondo articolo della scrittrice Judith Testa, sempre tradotto da Michele Dodde, redatto a suo tempo per i media statunitensi nel presentare le motivazioni inerenti il suo interesse per il lanciatore Salvatore Anthony Maglie su cui poi ha scritto una monumentale biografia. E’ una testimonianza precisa e completa che delinea in modo particolare la vitalità e l’atmosfera sportiva che si respirava a New York negli anni cinquanta, il mitico periodo in cui la Grande Mela ebbe l’onore di ospitare ben tre franchigie della Major League: gli Yankees, i Giants ed i Dodgers. 

Il Diario Segreto di una Fan

di  Judith  Testa

Può sembrare strano, ma già da piccola per me c’era il baseball e solo il baseball.  Se poi per caso ci sia stato un periodo in cui il baseball non abbia significato niente per me, ebbene non me lo ricordo più.  Di certo, come ho sempre detto, ho imparato il gioco insieme alla conoscenza delle parole poiché già prima di iniziare a frequentare le scuole nel lontano 1948 io mi trovavo spesso a sedere sul pavimento accanto al nostro grande mobile di radica, dov’era posta la radio, ed ascoltavo le cronache delle partite di baseball vicino al mio nonno materno. 

Indubbiamente mio nonno doveva aver trovato un modo particolare per spiegarmi lo svolgimento del gioco poiché nell’ascolto io capivo cosa stava succedendo. In effetti quel tipo di cronaca infarcito dal gergo del baseball, che è incomprensibile per chi non conosce le fasi del gioco, a me risultava piacevole ed entusiasmante poiché in caso contrario, come poteva accadere ai bambini che si annoino facilmente, non sarei mai rimasta accanto alla radio ad ascoltare nei pomeriggi estivi Red Barber, speaker dei Brooklyn Dodger, o Russ Hodges che era la voce dei Giants di New York. Ed ancora oggi, a volte, ad occhi chiusi, riesco a riascoltare l’enfasi ed il tono del loro accento.

 

Cresciuta a Rockville Centre, una città prospera e solida a Long Island, a circa quaranta minuti di treno da New York  City o Brooklyn. Quando verso la metà degli anni ’40 e ’50 molte famiglie si trasferirono a “The Island” occupando i quartieri urbani di Brooklyn, di Manhattan e del Bronx, ogni casato generò una lealtà fanatica verso una delle tre squadre di baseball locali. I nativi del Bronx  erano radicati agli Yankees, la maggior parte dei Manhattiani erano fan dei Giants, e se abitavi a Brooklyn vivevi e morivi con i Dodgers.

 

I miei genitori erano residenti a Brooklyn e pertanto in teoria dovevo essere una tifosa dei Dodgers ed infatti una delle mie prime lezioni di vita è stata quella di imparare a detestare i New York Giants e tra i giocatori di questa squadra a coltivare un intenso odio nei confronti dell'avversario più devastante per i Dodgers, ovvero il lanciatore Sal Maglie. Come figlia inoltre di due irriducibili tifosi dei Dodgers, non solo avevo l'obbligo di odiare Maglie e i Giants per principio ma avevo anche il compito di individuare nel roster dei Dodgers il giocatore preferito com’era costume tra tutti i bambini che conoscevo e come era in atto anche tra i miei parenti. 

Carl Erskine
Carl Erskine

Mio padre italiano Emanuele Testa infatti era un fan di Roy Campanella e forse perché l’allegro roly-poly catcher dei Dodgers era metà italiano o anche perché gli assomigliava fisicamente mentre mia madre Helene aveva una predilezione per il lanciatore Carl Erskine perché con i suoi lineamenti cesellati e gli occhi scuri luminosi era, come la mamma ha sempre detto, "bellissimo come una divinità greca".

 

Mia nonna americana Sarah Dutcher aveva invece solo un lieve interesse per il baseball, ma anche lei aveva il suo Dodger preferito: l’esterno destro Carl Furillo. Come mia madre, anche lei lo aveva scelto in base all’aspetto.

 

Ogni volta che vedeva una foto di Furillo, che in verità sembrava  davvero avere i lineamenti del volto da postare mitologicamente su un’antica moneta romana o su una medaglia commemorativa, era solita mormorare “Per amor della Terra, questo è bello come un Dio!"

Carl Furillo
Carl Furillo

Questo sviscerato sentimento però non era molto gradito al marito Reuben Dutcher, mio nonno materno, che per motivi non mai precisati, pur avendo vissuto per la maggior parte della sua vita a Brooklyn, era un tenace supporter per i Cardinals di St. Louis. 

 

L’unico componente della famiglia che non amava il baseball era mia nonna Anna Testa e non comprendendo il nostro entusiasmo, quando irradiavano le cronache delle partite lei si impegnava a confezionare il cibo stando in cucina.

 

Dunque, essendo l’unica bambina in una casa piena di adulti che parlavano di baseball per ore ed ore ed a volte, se discordavano su qualche commento, erano capaci di non parlarsi per giorni interi, il mio coinvolgimento era totale.

 

Certo, quando mi chiedevano quale giocatore dei Dodgers preferissi, non ero capace di individuarne uno visto che stavo crescendo con Pee Wee Reese, Gil Hodges, Jackie Robinson, Carl Furillo, Duke Snider, Roy Campanella, Don Newcombe, Clem Labine e Carl Erskine ed a malapena potevo pensare che esistesse un mondo a parte senza di loro.

 

Tutti erano da me stimati eppure nessuno di loro era da me amato come invece fu quando fui rapita dal fascino tenebroso di Salvatore Anthony Maglie, il lanciatore dei Giants, l’assoluto ultimo arcinemico dei Dodgers, comunemente soprannominato “Sal the Barber”, che ho silenziosamente colmato di colpe anche quando batteva i miei amati Bums. E questo mio segreto non ebbi nemmeno il coraggio di svelarlo a mio nonno Reuben, a lui che stravedeva solo per i Cardinals. 

Leo "The Lip" Durocher
Leo "The Lip" Durocher

Per capire quale sovversivo sentimento familiare io ospitassi nella mia mente e nel cuore è opportuno precisare che in quel periodo il mio mondo d’infanzia era diviso in modo categorico e nominalistico nel bene e nel male: i Brooklyn Dodgers erano i buoni e i New York Giants erano i cattivi. Era dunque normale scagliarsi contro quei “bravi” che giocavano al Polo Grounds: giusto detestarli e disprezzarli fino all'ultimo di loro a partire da quel loro arrogante manager Leo "The Lip" Durocher, che era stato un  ex dei Dodgers e quindi un vero traditore, per finire allo sconosciuto ed incolpevole bat boy. Come poteva uno sano di mente, pensavo, essere un tifoso di quella squadra?.  

 

La passione che si aveva verso il baseball dei Dodgers  era sempre viva ed intrisa di lealtà assoluta…o almeno così avrebbe dovuta essere, perché poi c'eravamo io e Maglie. 

Forse mi piaceva perché era italiano e mi sono sempre identificata con il lato italiano della mia famiglia. Invece mio padre, snaturando il significato del cognome  “Maglie”, amava prenderlo in giro chiamandolo "Sally Sweaters" o "Sal Undershirts", poiché la parola "maglie" in italiano significava uno di quei capi. Io all’udirlo mi sentivo imbarazzata e dispiaciuta che un personaggio potesse vivere sottoposto ai lazzi  per via di un cognome imbarazzante come "magliette" e dunque questa acquisita pietà confluiva in quel mix di benevole ed appassionata considerazione in cui Sal era considerato da me.  Ma c'era di più.

 

Senza saperlo, ancora bambina, stavo provando una classica risposta femminile a un uomo che unisce simpatia all'amore. Questo è un mix vincente e di grande caratura. Infatti come  Shakespeare fa dire ad Otello della sua adorata moglie Desdemona: "Mi amava per i dolori che avevo affrontato, e io l'ho amata perché essa ha avuto pietà per essi", anch’io, pur se allora non ero in grado di identificarlo, qualcosa di doloroso che aveva interessato Maglie suscitò le mie simpatie e i miei affetti.

 

Sembrava triste in un modo che io, troppo giovane, non riuscivo a capire. Tuttavia istintivamente mi sono sempre rifiutata di accettare il suo atteggiamento agghiacciante e folle come mera meschinità e solo più tardi apprenderò le diverse vicende negative che lo avevano contrariato.

 

Judith Testa

 

Segue

 

Judith Testa, stimata ed eclettica professoressa di “Storia dell’Arte” presso la Northern Illinois University (molto letto e studiato negli Stati Uniti il suo libro sulle bellezze architettoniche di Roma), si è cimentata in questa storia vera risvegliando in sé senza alcuna remora il periodo degli anni 50 quando, nella dolce età dei sogni, era diventata a tredici anni una grande tifosa di baseball, ed in particolare dei Brooklyn Dodgers, con un’amorevole attenzione verso i miti di allora tra cui l’enigmatico Sal Maglie. 

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