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Yakyudou - La via al baseball giapponese

di Michele Dodde

Quando nel 1992 in Italia sul grande schermo fu proiettato il film “Mr. Baseball”, in versione italiana “Campione…per forza”, lo sprovveduto spettatore si trovò ad assistere ad una commedia sportiva sufficientemente diretta da Fred Schepisi con un Tom Selleck in forte volontà a svestirsi dei panni di Magnum P.I. per indossare la casacca di un giocatore professionista di baseball nella Major League, pur se al tramonto. La vicenda percorreva la tumultuosa stagione del prima base Jack Elliot (Tom Selleck), veterano dei New York Yankees, che durante lo spring training viene tagliato a favore dei Nagoya Chunichi Dreagons della Nippon Professional Baseball. Allora lo spettatore non si trovò a vedere il giocatore muoversi sui diamanti statunitensi ma su quelli meno paludati del Giappone affrontando schiaccianti aspettative e differenze culturali tra il gioco a lui consequenziale, derivante dalla mentalità del baseball americano, e quello nipponico fortemente legato ai concetti d’onore tradizionali.  

Per Elliot quel nuovo modo di interpretare il gioco sembrò ridicolo fino a quando, abbandonando la sua prosopopea, non si integrò nella squadra in un raro spettacolo di umiltà. Ed allora saranno gli stessi compagni di gioco ad insegnarli nuovi concetti di valore della sportività ed il rispetto reciproco nella ricerca di un gioco vincente che li porterà ad inanellare una positiva serie di vittorie sino alla conquista del primato.

(sotto il trailer del film con Tom Selleck "Mr. Baseball")

Inconsapevolmente quel film fu un sublime messaggio di presentazione di due diverse concezioni ed approcci nella pratica di un baseball sempre unico e finemente poliedrico. Si era abituati infatti a conoscere, a causa degli interessati filtri della distribuzione, solo leggende ed episodi del baseball made in USA come punto di riferimento e copia disconoscendo realtà che per loro incisiva qualità invece  fronteggiano fieramente, con la continua ricerca dell’armonia e dello spirito, senza alcuna subordinazione la  speculare filosofia occidentale.

 

Ecco allora che ad ampliare quei concetti cinematografici di una commedia apparentemente banale necessita leggere il libro “Yakyudou” con il quale magistralmente Filippo Coppola prende per mano il lettore e lo conduce con “La via al baseball giapponese” alla conoscenza diretta di un mondo che, a partire da sicure origini, è stato coinvolto da un gioco che si è plasmato nella spiritualità nipponica con una evoluzione completamente permeata da una filosofia tutta incentrata sull’onore e sulle tradizioni.

 

Con una scrittura lineare e precisa nei significati, dove risulta vincente la scelta editoriale di iniziare a percorrere questa affascinante via della conoscenza attraverso le vicende caratteriali di vari personaggi, l’autore ha ricercato con la dovizia certosina dello studioso eventi storici propri di una nazione particolare che in 45 anni, applicandosi ai dettami della “Restaurazione Meiji”, da un regime feudale è riuscita a diventare un paese moderno ed efficace senza disperdere la sua identità tradizionale. 

Grande apporto a questa restaurazione fu dato dall’avvento di Horace Wilson, veterano della guerra civile americana e docente di inglese, chiamato nel 1872 a modernizzare la struttura scolastica in Giappone.

 

Questi formalizzò tra le varie attività anche la pratica del baseball durante le lezioni di educazione fisica e la predisposizione del gioco, durante il suo svolgimento, a favore sia di un miglioramento fisico sia a velocizzare il pensiero verso  scelte applicando un sintetico calcolo delle probabilità cambiò radicalmente pensiero e costumi della società pur restando consapevolmente all’ombra meditativa dello Zen.

 

E che il baseball in Giappone sia poi diventato una scelta di vita dominata da una forte tendenza educativa lo dimostra l’ambito torneo tra le scuole superiori, nato nel 1915, per accedere alla finale di quell’evento mistico e religioso che è il Japan Koshien Tournament.

La cerimonia iniziale del Japan Koshien Tournament
La cerimonia iniziale del Japan Koshien Tournament

Bene racconta Coppola l’estremo significato di questo torneo che è lo specchio ricercato di una costante ricerca dei colori, degli usi e dei costumi che forgeranno futuri dirigenti.

 

A descrivere in modo visivo il significato di questo mitico traguardo che investe una estrema dedizione da parte degli studenti è stato realizzato nel 2006 da Kenneth Eng il documentario “ Kokoyakyu High Shool Baseball” che ripercorre la completa preparazione di due squadre di liceo mentre nel 2011 è stato il regista Woo-Suk Kang a sceneggiare lo splendido “Glove” scritto da Kim Ki-Beom ove si evidenzia il duro allenamento dei giovani amalgamato sulla filosofia dell’essere un Samurai. 

Ma a supporto di questi filmati non sono mancati gli interventi illustrativi anche da parte delle varie serie dei Manga, come tra le righe l’autore richiama all’attenzione, a partire dal cult “Kyojin no Hoshi” dello scrittore Ikki Kajiwara e disegnato da Noboru Kawasaki.

Dalla sua fantasia è stata idealizzata la storia di “Tommy stella dei Giants” sviluppata in tre serie destinate a diventare poi anche cartone animato per la televisione. La prima serie che va dal 1968 al 1971 è stata realizzata in 182 episodi; la seconda “Shin Kyojin no Hoshi”, programmata sull’onda lunga del successo venne stampata dal 1977 al 1978 diluita in 52 capitoli mentre la terza “Shin Kyojin no Hoshi 2^” uscì solo nel 1979 completando il ciclo in 23 atti. 

Copiosa dunque la produzione Manga sul baseball tra cui poi diventerà ammirevole la sceneggiatura e matita di Shinji Mizushima che realizza dapprima la celebre “Yakyu-kyo no Uta”, letteralmente “la poesia degli appassionati di baseball” giunta in Italia come “Pat la Ragazza del Baseball” dal 1972 al 1976 e successivamente “Dokaben” (Mr. Baseball) dal 1976 al 1979 in 48 volumi.

 

Ancora il grottesco “Ippatsu Kanta-Kun” tradotto in Italia come “Il fichissimo del baseball” realizzato nel 1977 da Mamoru Oshii per finire in gloria con la maestria di Adachi Mitsura che accresce la sua notorietà proponendo vive e sofisticate storie su baseball a partire dal corto “Nine” nel 1978 in 5 volumi, poi con “ Touch” dal 1981 al 1986, di seguito con “Slow Step” dal 1986 al 1991, ancora con il calibrato ed effervescente “H2” dal 1992 al 1999 ed infine con l’eccezionale ed amabile “Cross Game” in produzione dal 2005 al 2010 raggiungendo, se gli atti della cronaca sono veritieri, la tiratura di 200 milioni di copie. 

Da questo forte impatto educativo il baseball nipponico, snobbato dalla Major League come pratica da Minor League, è riuscito invece a calamitare appassionati, stimatori, scrittori, interessi ed anche un certo business che come tale ha poi marcato i punti oscuri come il “Black Week End”, vertiginose fusioni di franchigie a favore di capitali e soprattutto ad una serie di combine, “Black Mist”, da parte di alcuni giocatori a favore degli allibratori quasi in falsa copia di ciò che era avvenuto nel baseball americano nel 1919. 

Chunichi Sports, Dec. 27, 2013/Reprinted from Kokumin Shinbun
Chunichi Sports, Dec. 27, 2013/Reprinted from Kokumin Shinbun

Ma tra le pagine di questo libro, per arricchire sempre più una storia palpitante e veritiera, ecco emergere allora le appassionanti vicissitudini di autentiche icone Gai-Jin quali Victor Starffin, l’enigmatico giapponese dagli occhi azzurri, l’afroamericano James E. “Jimmy Bona” Bonner che dalla Negro League statunitense sbarca in Giappone e va a giocare con ben undici anni d’anticipo rispetto al debutto di Jakie Robinson in una squadra di bianchi, il mito in assoluto Sadaharu Oh, il più grande, che la cronaca minuta registrerà come il grande cuore verso il baseball da fargli giocare la finale nel Koshien Tournament, e vincerla, lanciando con le dita lacerate applicandovi sopra un unguento tratto dalle radici del Ginseng, il carisma lasciato in ricordo dall’italiano Alessandro Maestri.

 

Ma si evince altresì come sia sempre stato il rispetto dell’anziano, il senpai che comunque sarà sempre in grado di dare consigli, com’era tradizione presso la Nagoya Electric High School dove le matricole erano chiamate a lavare le divise dei giocatori più grandi, l’importanza della meditazione Zen di cui Tetsuharu Kawakami, il dio della battuta, è stato mentore ed educatore, il dovuto rispetto per gli avversari, la sequenza fibrillante di “un giorno da non dimenticare”.

Poi a delineare la perfezione del lancio da parte di Daisuke Yamai e la sua umiltà nel commentare la scelta del suo manager che lo rilevò dal monte di lancio nella sua partita perfetta, l’infinita storia di Shohei Ohtani, il babe ruth giapponese, il perentorio e sintetico “veni, vidi, vici” che racchiude la splendida figura dell’imperatore Masaichi Kaneda per finire alla meravigliosa ascesa di Ichiro Suzuki, che con il suo nikname “The Throw” partì da questa “Minor League” per andare ad incantare sui palcoscenici della Major League: un viaggio esaltante dai brutti anatroccoli agli splendidi cigni come perfetto eroe dei due mondi con mazza e guantone in mano.

E struggenti infine i versi di Stefano Duranti Poccetti che accompagnano il libro: sono note di poesia intinte nel sangue da ultimo dei samurai. 

 

Un libro che coinvolge per la sua ampia visione del baseball giapponese che si completa con le sintetiche storie delle attuali 12 squadre della Japan Baseball League (Central e Pacific League) e con l’autore a chiedervi perché capire il Giappone e di fatto il suo baseball così infarcito di pure tradizioni, sistemi di pensiero, pratica spirituale mista tra Scintoismo e Buddismo?

 

Il Giappone – va a precisare -  non lo si può capire, non con i nostri occhi. Il Giappone non è un mondo troppo diverso dal nostro, non ha cultura e tradizioni diverse dalle nostre. Il Giappone è parte di un'altra dimensione

 

Michele Dodde

 

Il libro "Yakyudou - La via al baseball giapponese" è in vendita su Amazon

 

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Commenti: 2
  • #1

    eziocardea@hotmail.it (martedì, 07 aprile 2020 18:05)

    Complimenti, Michele! Il bravissimo Filippo Coppola dovrebbe offrirti come minimo un pranzo, e gli va bene perché coi tempi che ... coronavirus ... se la può cavare "virtualmente"!

  • #2

    Filippo (mercoledì, 08 aprile 2020 12:52)

    Grazie per i complimenti. È stato un piacere collaborare con Michele Dodde!