
Già il titolo di questo mio ricordo dice tutto. Sembra una cosa normale quando viene a mancare una persona, ma per Giaguaro Miani non è una cosa normale. Giaguaro era "il baseball" forse non nella totalità del territorio italiano, ma sicuramente dove lui era passato. Giaguaro lasciava il segno. Arrivava con il suo camper. Non voleva appartamenti nei suoi contratti. Parcheggiava il camper vicino al campo e li rimaneva per mesi. A fine anni ottanta e fino al 1990 fui un suo giocatore e il suo vice allenatore nel Verona. Nel 1988 per il rifacimento dello stadio Gavagnin in occasione dei mondiali ci trasferimmo a Padova. Tre volte alla settimana più la partita, 160 km tra andata e ritorno e sempre con la BMW di Laerte Panarotto parlando di baseball.
Non ho conosciuto nessuno con le sue certezze. Si dice che nel baseball ci siano varie teorie e modi di allenare, ma il bravo allenatore deve seguire la sua strada. Ebbene Giaguaro il suo metodo ce l'aveva eccome. Quante volte non ho capito il suo modo di interfacciarsi con i giocatori? Quante volte ho dovuto ammettere che aveva ragione lui. Sapeva essere gentile e sapeva essere rude e questo in base a chi aveva davanti. La sua grande ironia attirava i suoi giocatori come le mosche anche se l'argomento fosse stato "il tempo".
Non ho conosciuto persona più sincera nel dirti ciò che per lui valevi o ciò che non eri in grado di fare. Non c'erano doppi sensi o giri di parole. La verità te la spiaccicava in modo disarmante. Nello stesso modo la sua umiltà era fuori dal comune. Mai l'ho sentito vantarsi per una sua scelta o una sua strategia dopo una vittoria. La vittoria era merito della squadra, dei giocatori, sempre. Era talmente sincero ed esperto che anche prima dell'inizio del campionato prevedeva dove si sarebbe arrivati. E non sbagliava. Allo stesso modo a lui il tuo impegno anche se ti sembrava il 100% non bastava mai. Voleva di più, sempre di più. A volte lo scontro, ma poi non rimaneva nulla dello scontro. Mai uno strascico, mai un rancore, mai nemmeno uno sguardo. La pietra lui la metteva e quella pietra pesava quintali. Fine della discussione si va avanti!
Ricordi che affiorano. "Avanti con le mani! Colpisci la palla avanti!". Altro che "batti in campo opposto", per lui antibaseball. Le sue urla in campo che gli hanno significato il soprannome di "Giaguaro" che poi tanto soprannome non era. Urla di incitamento, anche di rimprovero, ma sempre con quell'ironia che gli permetteva di ottenere il rispetto di tutti.
Ricordo quella volta nel dugout di Verona dopo l'ennesimo sputo da tabacco dell'ennesimo giocatore si alzò un urlo "basta con questa merda! altrimenti io mi tolgo i pantaloni e va la faccio qui in mezzo!" e fece il gesto di slacciarsi la cintura.
Per la prima volta non l'ho rivisto alla Coach Convention 2020. Forse non ci siamo incontrati o forse non c'era, ma se non c'era significa che le sue forze non gli hanno permesso di esserci.
Non lo definirei un grande allenatore, ma forse più un grande gestore di uomini. Una persona che lascia il segno. Lo ricorderò sempre con grande affetto.
Grazie Giaguaro!
Paolo Castagnini
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Roberto Cabalisti (domenica, 29 marzo 2020 22:45)
Mi associo alle tue parole che ci uniscono alle condoglianze più sentite a un amico, uno stratega, un allenatore ma quanto più un maestro di vita. Grazie Giaguaro per esser esistito. Un "Lancio" speciale da parte mia. Buon viaggio MAESTRO
Michele (lunedì, 30 marzo 2020 10:00)
Come umpire io lo ricordo sempre con stima e simpatia. L'ho conosciuto a Ronchi dei Legionari e parlare di baseball con lui erano momenti di cultura. Mancherà tra gli uomini saggi.
eziocardea@hotmail.it (martedì, 31 marzo 2020 10:55)
Non lo conoscevo come Paolo, ma la descrizione che ne ha fatto coincide esattamente con l'immagine che di lui ho sempre avuto: un personaggio di grandissima passione, di totale dedizione al baseball, dai modi a volte bruschi e aggressivi ... ma chi ha mai subito da lui una scorrettezza? Proprio per questo suo modo sincero di essere, come dice Paolo, il "giaguaro" era entrato nel cuore di tutti. Compresi i suoi avversari, che lo temevano per la carica che sapeva infondere ai suoi giocatori, ma che riconoscevano ed ammiravano in lui la purezza della sua passione per il baseball.