
Le malattie mentali, da alcuni anni, non sono più un tabù da nascondere, ma sono sempre e comunque degli stati molto difficili e complicati da vivere, sia per chi ne soffre che per chi assiste; alle volte sono delle vere e proprie “croci” davvero ingiuste da sopportare e che dovrebbero ricevere miglior supporto dal servizio sanitario nazionale, che a sua volta dovrebbe avere più mezzi per svolgere il suo ruolo. E lo sport non è indenne da questa piaga, perché è di poco tempo fa la notizia che Delonte West (1983) “guardia” nelle migliori squadre di basket statunitensi tra il 2004 e il 2015, è stato recuperato sul ciglio di una strada, mentre in preda ad una crisi nervosa, si contorceva rabbiosamente, sporco, seminudo e probabilmente anche reduce da una rissa. Insomma uno spettacolo davvero pietoso e compassionevole che deve però far riflettere su una simile sofferenza e che anche nel baseball ha avuto un esempio clamoroso con Jimmy Piersall (1929 – 2017).
James Anthony Piersall è stato infatti vittima di un disturbo bipolare, che per anni lo ha tormentato ed ha tormentato chi gli stava vicino, sia nella vita personale che in quella professionale, sportiva.
Piersall ha giocato nel ruolo prevalente di esterno centro dal 1950 al 1967 con i Boston Red Sox che poi lo introdurranno nella propria Hall of Fame, i California Angels a Los Angeles, i Clevelands Indians, i Washington Senators e i New York Mets e vanta dei bei numeri con una Batting avarage di .272 e 104 HR.
Il suo “star male” lo ha portato spesso a crisi di rabbia talmente potenti, sia in campo, che fuori, da farlo anche sospendere, per risse continue sia con i compagni di squadra che con gli avversari e poi ricoverare e pur curare per un imprecisato esaurimento nervoso, che alla fine si rivelerà essere una sindrome bipolare.
Dalla sua storia, dalla storia di Piersall fu anche tratto il libro ed il film “Fear Strikes out”, con l’inquietante Anthony Perkins e Karl Malden (poi più famoso per il telefilm “Sulle strade della California”) tradotto in italiano col titolo di “Prigioniero della paura”, dove si racconta la storia di un ragazzo costretto dalle aspettative paterne a diventare un giocatore di baseball e che alla fine si riprende dopo un crollo nervoso da cui lo aiuta ad uscire uno psicologo.
Lo stesso Piersall poi disconobbe la trama del film che, tra l’altro, enfatizzava drammaticamente ed eccessivamente il ruolo paterno e che successivamente lo stesso Piersall rimetterà nella giusta luce nel libro “The Truth Hurts”.
Piersall ha avuto comunque una vita personale piena con tre matrimoni e nove figli e anche professionalmente il baseball non lo ha mai dimenticato, anzi. E’ stato infatti commentatore sia per i Texas Rangers che per i White Sox.
Ed è questo l’insegnamento che dobbiamo trarre dalla sua vicenda, perché la malattia mentale si può e si deve superare nell’unico modo possibile: coabitandoci senza sotterfugi e finte verità, col sostegno e la solidarietà di tutti, con le cure costanti che ci vogliono e senza paura. E’ una battaglia, ma la si può vincere, vincendo l’indifferenza.
Allegra Giuffredi
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