
1948 – ULICA ZAKAZANA
In polacco vuole dire “non si passa” ed era scritto unitamente alle frasi inglesi ”off limits” e “out of bound” sui cartelli che impedivano alle truppe di liberazione di entrare nelle zone di Bologna dove c’erano i bordelli. Questa espressione viene assunta dalla Libertas 48 come il proprio hip hip hurrà!
E viene così scandita: Ulicà zakà, ulicà zakà, ulicà zakà zakà zakà - zanà! Non si passa!

TUTTO DA CAPO
Nelle prime partite poteva accadere di tutto:
Così successe che su una lunga battuta che però poteva essere presa al volo i corridori sulle basi corressero a vanvera sorpassando corridori che li precedevano, ritornando a basi già conquistate in precedenza, sulla spinta fisica ed emotiva dei compagni che suggerivano tutto e il contrario di tutto.
In questa confusione le difese eseguivano le giocate più strane andando a toccare anche corridori già seduti in panchina e facendo girare la palla da una base all’altra con errori di tiro e di presa che complicavano ancora di più le cose.
A questo punto attacco e difesa facevano all’arbitro le richieste più stravaganti.
In una di queste situazioni Zaniboni – uno dei pionieri del gioco che fungeva in quel frangente da arbitro – fu sommerso da tante richieste che pensò bene di far rifare l’azione da capo, rimise i corridori sulle basi di partenza e disse al battitore di ribattere:
“tutto da capo, non ho visto niente”.
L’esito della nuova azione non lo ricordo.

LE TRASFERTE
Nei primi anni del baseball la trasferta aveva un sapore speciale:
occorreva innanzitutto essere convocati dall’allenatore e confermati dalla Società perché i posti a disposizione erano pochi stante le ristrettezze economiche in cui versava il mondo di allora.
Ricordo la delusione o la gioia quando veniva comunicata la lista dei partenti, comunicazione che in genere veniva data all’”Angolo del baseball” e tu eri escluso o compreso.
Spesso era il prescelto che ti informava dell’esclusione, come a ribadire la sua maggiore importanza in seno alla squadra: in quei tempi un comportamento siffatto era la norma.
La trasferta avveniva rigorosamente in treno, terza classe, vale a dire vagoni con sedili in legno molto impegnativi per trasferte lunghe e retina porta-bagagli attraversata a metà da un ferro di sostegno che al ritorno si trasformava in scomoda amaca per i più stanchi, sempre che il controllore te lo permettesse.
Franco Ludovisi
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