
Naturalmente, appena presi in mano la pallina da baseball, avrei voluto diventare un lanciatore, ma appena alzai la mano per lanciare da sopra, fui trafitto da un dolore lancinante alla spalla. Non ne sapevo niente di anatomia in generale e specifica per il baseball, altrimenti mi sarei fatto una diagnosi immediata: lesione della cuffia del rotatore. Addio sogni di gloria, ma visto che tirare “sidearm” non mi faceva male, mi nominai seconda base. Alcuni anni dopo, superata una lussazione della rotula, con strappo del tendine laterale (un mese prima del mio esordio in serie A con le Calze Verdi) entrò in squadra un simpatico ragazzo che sapeva giocare solo in seconda, ma che batteva più di me. Così il manager Gianni Spada mi battè 35 palle al volo (le ho contate davvero) e, visto che le prendevo tutte, mi spostò in mezzo agli esterni. Ed è così che si diventa esterno centro. Timidamente obiettavo che non avevo il braccio, al che Spada mi liquidò con un “Invece di tirarla, portala tu all’interbase. Hai presente quelli che consegnano le pizze?”.
A posto così. Quando andavo a Casalecchio a vedere le Calze Verdi, dopo due autobus dovevo fare una bella camminata per via Garibaldi e, arrivato a metà, cominciavo a sentire il rumore delle mazze contro la pallina, nel tradizionale batting practice, poi scalato il piccolo terrapieno, arrivavo alle gradinate, dove mi sedevo dietro casa-base. Ricordo bene come fosse un suono netto, definitivo che echeggiava nell’enorme catino che era il campo della Gioventù Italiana di fronte alle 50/60 persone che erano il pubblico di allora.
In campo, intanto gli avversari stavano finendo il loro allenamento alla battuta e le loro divise mi sembravano un po’ minacciose. Quelli che erano in campo, nel frattempo si esibivano in prese al volo improbabili, chè tanto la partita non era ancora cominciata. Battute raccolte a guanto rovesciato, guanti lanciati contro le palle battute in aria. Spettacolo di bellezza unica, una danza improvvisata e leggera, poesia in movimento.
Come potevo non innamorarmi?
E, siccome sul gradino dietro di me dei ragazzi parlavano della squadra che stavano mettendo insieme, trovai, animoso quindicenne, il coraggio di offrirmi volontario. Reclutato sul posto, primo allenamento il mattino seguente al campo di polo dei Giardini Margherita.
Era cominciato il mio viaggio che mi avrebbe portato a conoscere l’Italia (isole comprese). E tutte quelle specie di “campi” dove qualche riga di gesso delimitava il territorio buono. Avevo fatto diversi tentativi in parecchi sport, una partita di rugby, qualche apparizione a calcio, come portiere perché si potevano usare le mani, e 6 incontri di pugilato perché Marlon Brando era l’attore più famoso e aveva il naso da pugile in “Fronte del porto” e, siccome a 15 anni si è giovanilmente cretini, volevo rompermi il naso. Niente da fare, all’ultimo momento schivavo il colpo e così mi portai a casa 6 vittorie.
Ma in nessuno sport qualcosa mi aveva emozionato come colpire una pallina con la mazza da baseball.
Così cominciai il mio girovagare per l’Italia, con il mio bel nasino intatto e un formidabile male al braccio, quando tiravo da sopra.
Marcello Perich
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