
tratto da totallytigers.com
Ogni anno la storia si ripete, una squadra vince e viene proclamata campione del mondo. Nel 2017 furono gli Houston Astros che arrivarono a coronare il loro successo con un lavoro certosino selezionando giovani talenti anno dopo anno, e quando poi avevano formato il nucleo della squadra, la società è andato sul mercato acquistando i giocatori giusti per completare il capolavoro. Gli Astros hanno costruito con intelligenza e il loro esempio viene ora copiato da molte altre società. Ma cosa dire dei campioni di quest’anno? Possono i Red Sox essere da esempio per le altre società? Hanno adottato un percorso giusto da imitare per raggiungere il successo. Quando si parla dei Red Sox o dei Dodgers, si parla di grosse società che affrontano il mercato a ruota libera con tanto denaro da spendere. E seppure esse avevano giovani talenti nel sistema, la maggior parte del nucleo è formato da costosissimi free agent dietro cessioni di molti promettenti prospetti.
Vi sono squadre che sono lontane dalle World Series da decadi ormai e sono sempre alla ricerca della squadra da cui copiare per verificare cosa hanno fatto, come hanno fatto e qual è stato il motivo centrale del loro successo nella costruzione della squadra.
Un elemento però da cui non si può prescindere è la corretta applicazione dei fondamentali e che il tutto si costruisce intorno a un buon monte di lancio, velocità e buona difesa, e delle tante innovative sabermetriche, la Media Arrivo in Base è una di quelle che ormai staziona al centro dell’attenzione di tutti gli analisti. Ma vi è ancora un elemento di cui tutti i campioni hanno bisogno, ed è il duro lavoro, che da solo non basta, ma senza dubbio rappresenta un buon punto di partenza. Al duro lavoro va affiancato il talento che salterà sempre fuori nei momenti più difficili. Le squadre campioni sanno come trarre vantaggio dalle debolezze degli avversari, sono opportuniste e sempre alla ricerca di una possibilità per vincere le piccole battaglie.

Ma ciò che principalmente si è potuto notare nei Red Sox è stato abbastanza evidente sin dall’inizio del campionato, i Red Sox erano una vera squadra, un gruppo di persone che si divertiva a giocare insieme, felici di condividere tra di loro il successo.
I Red Sox avevano creato un’atmosfera familiare. A chi dar merito per questa condizione?
Sono forse i General Manager che hanno in mente se un determinato giocatore si adeguerà al resto della squadra al momento dell’acquisto? Certamente no.
E’ una regola che tutti i giocatori debbano andare d’accordo con i compagni? Certamente no.
Resta difficile per qualsiasi organizzazione requisire queste doti in ogni giocatore nonostante le innumerevoli informazioni oggi a disposizione. Ed è qui che subentra il manager e far scoprire ai propri giocatori di avere un leader. Egli non solo può costruire un legame con i suoi giocatori, ma può favorire quel legame tra di loro, e gli sport di squadra sono esattamente questo.
Stiamo vivendo in un’era in cui il baseball si sta evolvendo più rapidamente che mai. A cominciare da tutte le innovative statistiche che accuratamente descrivono il valore di ogni giocatore e le sue abitudini, tutti elementi che vengono raccolti dal dipartimento analitico per poi decidere le strategie da applicare. Ed è quest'ultimo gruppo che ha influenzato il ruolo del manager per cui anch’essi stanno cambiando sotto i nostri occhi.
I manager veterani “Old School” sono in via di estinzione sostituiti da quelli più giovani che magari hanno smesso da poco di giocare e diventa più facile per loro comunicare e interagire con i giocatori. Nella MLB è diventato un dato di fatto, basta vedere cosa ha fatto Alex Cora con i Red Sox con un solo anno di esperienza da bench coach con gli Astros, o Aaron Boone con gli Yankees senza alcuna esperienza precedente, o Gabe Kapler con il passaggio diretto dalla dirigenza al dugout.

Non molto tempo fa il manager aveva la responsabilità di tutto quanto succedesse dentro e fuori il campo. E per questo era molto ben pagato. Circa 5 anni fa la paga media per un manager si aggirava sui 3 milioni di dollari, oggi solo 4 su 30 guadagnano più di 1,5 milioni – Bruce Bochy, Joe Maddon, Terry Francona e Don Mattingly, mentre altri due, Mike Scioscia e Buck Showalter solo di recente sono usciti da questo gruppo ristretto. Escludendo questi privilegiati, la paga media di un manager delle majors non supera il milione di dollari. Tutto questo dove ci porta?
Ciò che oggi si chiede al manager è di comunicare, saper trasferire ai giocatori tutte le informazioni e adeguarsi a quanto suggerito dal dipartimento analitico divenendo più un guidato che un guidatore. Il ruolo principale del manager moderno è di essere un bravo comunicatore in grado di persuadere i giocatori ad adattarsi all’evoluzione del baseball. Un esempio lampante lo si è avuto lo scorso anno quando gli Yankees non hanno confermato Joe Girardi nonostante avesse portato la squadra a un passo dalle World Series, sostituendolo con uno che non aveva mai gestito una squadra prima.
Ora, è naturale che molto di quanto sopra resta difficile da applicare nel nostro campionato, ma ogni società dovrà cercare il proprio Alex Cora (ved, BOTR del 19 ott). Magari non avrà un dipartimento analitico a disposizione, ma dovrà essere un buon comunicare e in grado da sé di interpretare quelle statistiche che oggi sono a disposizione, evitando di limitarsi alla solita ed obsoleta Media Battuta. Queste caratteristiche, accompagnate dal duro lavoro, dal talento e il saper costruire un gruppo “Uno per Tutti e Tutti per Uno” sono i requisiti che faranno compiere i primi passi verso il successo.
Frankie Russo
Scrivi commento