
A Milano c’era un campo con la pista d’atletica in polvere di carbone che aveva invaso anche le zone d’erba, per cui non vi dico come eravamo conciati a fine partita: anche i denti erano neri! Sembravamo Rambo prima che entrasse in azione. Ma per quanto fossimo neri noi tutti, il più nero ero io, perché la mia ragazza mi aveva detto che non poteva uscire con me, perché sua nonna non stava bene e voleva farle compagnia. Così andai al cinema Medica e (udite, udite) qualche fila davanti a me vidi la premurosa nipote che si sbaciucchiava appassionatamente con un tizio non meglio identificato. Per natura rifuggo da scenate alla “Viva Napoli”, così mi tenni il magone e me lo portai dietro fino al treno per Milano.
Abituati a vedermi parte della conversazione, i miei amici prima cercarono di tirarmi fuori dal mio immusonito silenzio, poi, visto che era tutto inutile mi lasciarono in pace: nemmeno il mio amico Bruno Linciano riuscì ad intaccare il mio sofferente silenzio e, a quel punto lasciarono perdere tutti.
Il primo raggio di sole si scavò un pertugio là, nel mio personale nuvolone quando arrivai al campo.
Sistemati dietro la rete c’erano i componenti del mio “fan club”, vale a dire due ragazzi che avevo conosciuto a Rimini e che si erano presi la briga di informarsi dov’era la partita e a che ora fosse, ma a Rimini era stato tutto facile mentre qui eravamo a Milano e dovevo far vedere quello che sapevo fare.
Finì che feci un quattro su cinque e i miei amici se ne tornarono a casa con la certezza che fossi Mickey Mantle!?
Il fatto è che sugli strikes bassi interni ero devastante e il lanciatore me ne tirò uno al primo turno in battuta e, non soddisfatto me ne tirò uno anche al secondo e, fedele a me stesso feci due doppi a sinistra.
In un attacco di strategia “lanciatoria” il lanciatore pensò bene di darmi uno strike alto esterno. Doppio a destra!
La volta dopo arrivò una palla abbastanza pericolosa per la mia salute (alta e interna) e la depositai sopra il seconda base.
Non mi fermava nessuno, e al quinto turno, feci una bella volata di sacrificio al centro che portò il mio bottino personale a sette punti battuti a casa.
Alla fine ero notevolmente su di morale e salutai i miei fans con tutta la modestia di cui ero capace.
Alle docce c’era un gruppo di individui di terrificante aspetto con vaste zone di epidermide ricoperte di polvere di carbone, come i minatori del Galles, quando entrò un giovanotto che si qualificò come giornalista di un quotidiano milanese
Per prima cosa chiese chi era stato l’uomo partita e tutte le dita si puntarono su di me.
Ora dovete sapere che quando parlo di baseball, per farmi smettere bisogna abbattermi a schioppettate e questa volta poi, parlavo di baseball e di me stesso quindi “Apriti sesamo!”.
Descrissi gli accadimenti della partita, non tralasciando di elogiare il lanciatore, forte del principio secondo il quale il nemico è fortissimo, specie quando vinci.
Impegnato con l’intervista andai sotto la doccia in ritardo rispetto al gruppone, continuamente spronato dai compagni al grido di “Il treno non aspetta” che trovai originale come un comico di Zelig alla quarta esibizione.
Però il treno lo prendemmo, anche se per un pelo e i miei amici trovarono molto spiritoso intervistarmi sulla partita appena finita. Non avevano tenuto conto del fatto che ero inesauribile e che, finito con il baseball milanese, attaccavo con il baseball Americano del quale SAPEVO TUTTO.
Ma, questa è un’altra storia.
Marcello Perich
Scrivi commento
giovanni delneri (lunedì, 05 novembre 2018 09:59)
BELLISSIMO RACCONTO E MOLTO UMANA,BRAVO chi ti scrive è TERZABASE, 88 ANNI di cu i60 DEDICATI AL BASEBALL Io devo al Baseball la mia vita e in separata sede ti farò sapere,ciao jhp