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Cosa si pensa dietro la maschera

Nella foto l'Umpire Ted Barrett
Nella foto l'Umpire Ted Barrett

di Michele Dodde

Si dice che se una lingua parlata aggiunge al proprio lessico nuove parole, allora la lingua è sempre viva ed al passo dei tempi nel suo rinnovamento…di conseguenza, per atti paralleli, anche il regolamento tecnico del gioco del baseball, quando già a partire dal 1895 fu configurata la regola dell’infield fly, aggiungendo al proprio codice nuove definizioni inerenti atti leciti ed atti illeciti allora si può dire senza errori che il regolamento tecnico del baseball è sempre vivo ed al passo dei tempi nel suo rinnovamento. Certamente molti sono stati i principi discussi ed approvati da quel lontano 1916 quando gli organi di stampa salottieri o divulgatori di notizie pubblicavano dagherrotipi di alcune partite di baseball licenziandoli con il commento “On sundays the baseball park is a pleasant place to spend the afternoon”, e molti sono ancora quelli in via di applicazione per far si che il baseball da spensierato passatempo divenga sempre più una continua piacevole visione che però non si debba più dilungare nel tempo ma anzi acquisisca interessanti soluzioni di continuità.

Per ora le nuove proposte innovative saranno esaminate e vagliate durante lo svolgimento dei campionati minori e già manager e giocatori sono in fibrillazione, ma le stesse proposte, come sono state accolte da quella mente pensante che è il particolare mondo dei giudici di gara? Quale è la fase interpretativa che viene elaborata dietro la loro maschera? Interessante allora andare ad ascoltare il pensiero di Ted Barret, umpire delle majors dal 1994 con un palmares di nove presenze nelle Division Series, otto nelle Championship Series e tre nelle World Series.

 

Molto stimato e rispettato nell’ambiente sia dai colleghi quanto soprattutto dai giocatori e manager, Barret è stato coinvolto dal giornalista Jesse Rogers, dopo aver diretto una gara di primavera, in una sessione di domande e risposte su ciò che interesserà il regolamento nel futuro visto dall’ottica degli umpire.

 

Alla domanda di come funzionerà e come faranno gli umpire a memorizzare il conteggio delle visite sul monte Ted filosoficamente risponde che sicuramente sarà previsto un apposito spazio sul tabellone segnapunti in modo tale che il conteggio sia chiaro per tutti, dagli operatori e, cosa più importante, dal pubblico. Certamente gli umpire avranno un continuo contatto con i classificatori che puntualizzeranno, se del caso, le disfunzioni e/o malintesi. Ancora, l’umpire potrà recarsi anche nei dugout tra un inning e l’altro, oppure chiamare tempo per il controllo, ma soprattutto sarà lui a segnalare la visita e solo dopo potrà essere inserita sul tabellone segnapunti.

 

Per quanto riguarda invece il giudizio da seguire per individuare la differenza tra i vari tipi di visite, oltre a quelle ovvie, con molta onestà Barret ha precisato che si sta ancora lavorando per configurare in pieno tutti i vari tipi di sfumature anche perché vi sono ancora molti punti da chiarire. Ad esempio, va considerata visita quella di un interno che va sul monte o semplicemente se ci si avvicina? Dovrà quindi essere sancita una linea di demarcazione chiara per tutti. E questo aspetto d’altra parte è stato introdotto per evitare che il ricevitore, per eludere una visita, lo segnala a un interno il quale poi si reca dal lanciatore. E’ una problematica che sarà risolta prima dell’inizio della Regular Season.

 

Ma allora, viene poi garbatamente richiesto, sono stati presi in esame i casi in cui una visita non causa ritardi? Ad esempio, se un battitore realizza un fuoricampo e per sua naturale tendenza poi effettua un lento giro sulle basi, sarà permesso in questo caso al ricevitore di recarsi dal lanciatore? La semplice risposta data da Barret è quella universale di coniugare il buon senso, ovvero di permetterla e non considerarla una visita sempre che non rallenti il gioco. Infatti il ricevitore dovrà essere prontamente dietro il piatto di casa base per il successivo battitore.

 

Ancora poi è da evidenziare che se durante un gioco il lanciatore andrà a coprire la prima base e di seguito si verificherà uno scambio di parole con il giocatore in prima base nel frangente, neanche questo conterà come visita. Inoltre che si stanno valutando altri scenari che però, si spera sia ovvio per tutti, non sembra il caso di anticipare.

 

Una particolare eccezione comunque potrebbe verificarsi se si evidenzierà una incomprensione con i segnali tra il ricevitore ed il lanciatore: come ci si comporterà? è stato successivamente chiesto all’umpire che ha chiarito come in questo caso non ci sarà alcun malinteso poiché se il ricevitore mancherà di prendere la pallina e questa colpirà il giudice di gara senza esitazione alcuna sarà quest’ultimo ad invitare il ricevitore a recarsi dal lanciatore. Diverso invece il caso in cui sarà il ricevitore a chiedere di variare i segnali e questo non sarà permesso. Ci dovrà essere una chiara ed evidente incomprensione. E d’altra parte, per una correttezza ontologica non si può immaginare che il ricevitore lasci che la pallina colpisca l’umpire solo per fare una visita.

Nella foto ancora Ted Barrett
Nella foto ancora Ted Barrett

La sessione poi, esaurito l’argomento delle visite, è ritornata sul concetto madre di individuare le varie pieghe da eliminare per risparmiare tempo spolverando di fatto il comportamento del battitore ma anche qui Barret non fa altro che precisare come il battitore ad inizio inning deve stare nel box di battuta già nel momento in cui il ricevitore effettua il tiro verso la seconda base. Si è rilevato infatti che in questo frangente c’è una grande perdita di tempo perché a volte il battitore aspetta che il suo nome sia annunciato dallo speaker o altre cose del genere. Questo costume va eliminato e poi è sempre in vigore la regola che il battitore non può uscire dal box dopo ogni lancio.

 

Sull’introduzione dell’orologio al fine di controllare la tempistica dei lanciatori, Barret rilascia una personale confessione che un po’ lo rammarica. Infatti egli precisa che quando iniziò la carriera nel 1994, i lanciatori perdevano meno tempo tra un lancio e l’altro. Ultimamente però essi hanno rallentato il ritmo. Poiché è consapevole che le persone che gestiscono il baseball stanno pensando al futuro, ovvero ai giovani, egli pur se personalmente è sempre stato un purista e quindi non in armonia con i cambiamenti, ora deve ammettere che nelle Majors tutti questi cambiamenti alla fine hanno apportato solo benefici.

 

Su come giudicare l’Instant Replay Ted Barret è stato categorico. Nella consapevolezza che già in altre discipline la tecnologia ha aiutato a commettere meno errori di valutazione ha precisato come fosse stato sempre contento che il suo nome non fosse mai stato associato a una chiamata sbagliata. Spesso si ricordano due casi eclatanti che imbarazzano non poco: il “ Jim Joyce play” e il “Don Denkinger play” ed a nessun umpire piace, specialmente nelle World Series, entrare in modo negativo nella storia. Con l’Instant Replay, difficilmente ora questo potrà accadere. (L’enciclopedia di Frankie Russo recita: “Jim Joyce Play”: il 21 giugno 2010 Joyce fa un madornale errore chiamando salvo un corridore in prima che avrebbe rappresentato il 27° out rovinando un perfect game ad Armando Gallaraga; “ Don Denkinger”: ancora una vistosa errata chiamata in prima durante il nono inning di gara 6 delle World Series del 1985 tra i StL Cardinals e Kansas Royals. A seguire KC vinse segnando due punti e il giorno dopo si aggiudicò il titolo).

 

Qui sotto i due episodi menzionati

 

E’ comprensibile che all’inizio l’uso dell’Instant Replay non è stato piacevole. Dopo una chiamata dubbia si deve stare lì a guardare l’azione proiettata sul maxi schermo e si pensa ancora di avere ragione, e poi l’imbarazzo di vedere che si è sbagliato. Egli è stato tra gli ultimi ad essere destinato nella stanza delle revisioni. Una volta lì si vede tutta questa nuova tecnologia che permette di selezionare un’azione millisecondo per millisecondo. Questo ha reso le cose più facili, ma ogni volta che si sbaglia è dura, ma uno se ne deve fare una ragione di esperienza e continuare. Ed il sentirti così non succede solo con una chiamata sbagliata, poiché ci si sente male anche se si toglie una battuta valida a un battitore.

 

Immaginare allora una chiamata stretta a casa base. Lì ci sono molte cose che si verificano durante un’azione: chi corre, chi cerca di prendere la palla e focalizzare sulla toccata e scivolata contemporaneamente è già un compito abbastanza complicato. Ciò che prima era sempre oggetto di discussione adesso non lo sarà più perché a decidere sarà l’Instant Replay. E così sarà anche per un pop-up slide poiché è innegabile che ci sono cose che si verificano e che non è possibile vedere a occhio nudo, è troppo difficile. Questo è anche un motivo per cui sono aumentati i tentativi di pickoff in prima. Forse è arrivato anche il momento di cambiare la definizione di toccata. Una volta gli umpire erano abituati a chiamare ascoltando la palla impattare nel guanto. Adesso questo non sarà più possibile.

 

Al termine di questo interessante incontro all’umpire Barret è stato chiesto un qualcosa che lo umanizzasse come Giudice di Gara, ovvero con quale capacità valutasse gli strike ed i ball, la sua difficoltà nel delineare i lanci, il suo rapporto con i tifosi e l’aneddoto che maggiormente lo avesse divertito. Umpire di rara esperienza, Barret si è mostrato fortemente ed intimamente inserito nel suo ruolo e con grande consapevolezza ha dichiarato che, insieme agli altri Giudici di Gara, è ora pienamente cosciente che ci sono websites che lo esaminano e lo classificano. La valutazione degli strike ed i ball diventa sempre più complicata nella considerazione che vi sono diverse tecnologie applicate al controllo. Non è facile fare il proprio dovere sapendo già che in partenza che non si sarà mai perfetti. Per questo pensa anche che gli umpire ormai siano una specie di rara e particolare configurazione. Con gli altri colleghi si cerca di fare sempre il proprio meglio e si è molto uniti. E se per caso un giorno dovesse trovarsi nella stanza dei bottoni e invertire la chiamata di un collega, questo non gli vieterà di complimentarsi con lui a fine gara.

 

Tuttavia c’è anche da dire che la tecnologia ora aiuta anche a migliorarsi. Il giorno dopo essere stato a casa base infatti ci si mette davanti al computer per rivedere quelle chiamate personalmente ritenute dubbie. Pertanto verificherà che se commette l’errore sempre sulla stessa locazione, allora sarà opportuno correggerla così come la posizione dietro il ricevitore ovvero se troppo bassa o troppo alta o troppo spostata da una parte all’altra. E questo mi aiuta nel delineare i lanci poiché può capitare di non seguire la palla fino in fondo ed è facile che questo succeda quando c’è molto movimento sul diamante e si anticipa la chiamata. Non si finisce mai di imparare e di migliorarsi ed è bene che lo sappiano tutti, specie coloro che affermano che gli arbitri non hanno responsabilità. Ogni azione e chiamata viene analizzata, tutto viene rivisto. Non tutto è reso pubblico, esistono argomenti che discutiamo internamente con giocatori e squadre che non sono rese pubbliche. Cerchiamo sempre di fare il nostro meglio.

 

L’argomento del rapporto con i tifosi in verità si presenta sempre molto complicato e pertanto Barret sorridendo va a precisare che cerca sempre di ignorarli alzando volutamente tra lui e loro un muro e facendo finta che non ci siano altrimenti verrebbe voglia di prenderli a pugni. Racconta poi un episodio increscioso che lo ha toccato. Una volta, insieme al suo collega Bill Millar, a fine partita furono insultati da un tifoso che buttò loro addosso gli occhiali gridando che erano ciò che ci serviva. Li presero deridendolo e si allontanarono. Dopo alcuni passi si girarono ancora per vedere il tifoso ma l’imbarazzo fu totale quando videro che era su una sedia a rotelle e cercava disperatamente i suoi occhiali.

 

In chiusura finemente ha citato l’episodio inerente l’espulsione di Jim Tracy, allora manager dei LA Dodgers. Il ricevitore era Paul Lo Duca e ci furono due chiamate strette a casa base. Lo Duca non era d’accordo e continuava a contestare finché Tracy non uscì dal dugout sussurrandomi che aveva visto entrambe le azioni e che io ero nel giusto, ma per salvaguardare il morale del proprio giocatore mentre avrebbe alzato la voce dovevo espellerlo. Così cominciò a contestare gridando e inveendo finché non lo buttai fuori e così cominciò a tirare calci da tutte le parti. Il giorno dopo, allo scambio dei lineup, mi si avvicinò e disse “Vedi cosa mi è successo per difendere il mio giocatore?. Mi son rotto l’alluce del piede destro”.

 

E chiudendo la sessione Ted Barret non cita né commenta la regola dei Tie Break: questa sicuramente è destinata ad accorciare i tempi e movimenterà la giusta adrenalina dei tifosi.

Come dire, in cauda venenum.

 

Michele Dodde

 

L'intervista è tratta da ESPN

 

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