
In un nostro articolo del 25 gennaio scorso, abbiamo parlato di come i manager si stanno adattando al nuovo metodo delle sabermetriche. Oggi riprenderemo il discorso evidenziando che l’adattamento alle statistiche non è il solo motivo che influisce sulla scelta del manager, ma subentrano altri fattori quali il denaro, il rapporto con i giocatori e la comunicazione.
La stagione 2017 è terminata in maniera veramente strana ed è stata la prima volta che abbiamo visto chiaramente in che direzione si stanno muovendo le società nell’assunzione del proprio manager.
Un manager è stato finalmente licenziato dopo 4 anni (B. Ausmus) e che forse non doveva nemmeno essere stato assunto. Ad altri 5 è stato dato il ben servito appena dopo ottobre, due dei quali (Phillies e Mets) per scarsi risultati. Ma gli altri tre hanno portato la propria squadra ai playoff ed era difficile prevedere il loro allontanamento.
Il mancato rinnovo del contratto di J. Farrell da parte dei Red Sox è stato quello meno sorprendente. Ma il licenziamento da parte dei Nationals di D. Baker dopo che quest’ultimo ha ottenuto il maggior numero di vittorie nelle majors nelle ultime due stagioni certamente è stata una sorpresa. E poi c’è lo strano caso di J. Girardi che ha portato una franchigia (Yankees) in fase di ricostruzione ad un passo dalla partecipazione alle World Series. Ma che sta succedendo?

La risposta più semplice è che l’ammontare di denaro che ormai gira nel mondo del baseball e le analisi/ sabermetriche hanno cambiato il ruolo e l’importanza del manager. Ciò è confermato dalla rapida diminuzione dei salari che ora sono offerti ai manager, una fase iniziata già da 5 anni. Prima di quel periodo ai manager venivano corrisposti salari di diversi milioni, ma oggi sono pochi che ne beneficiano: Bochy, Maddon e Scioscia. Un altro paio forse raggiungono i 2/3 milioni di dollari e il resto non supera le sei cifre. La media nelle majors oggi si aggira sui 700.000$.
Prima di tutto i manager non hanno più il potere di una volta, non si gestisce più lo spogliatoio con il polso di ferro. In passato, ciò che il manager diceva era legge e i giocatori dovevano obbedire. Poi si è verificato una inversione di tendenza. Si cominciò ad offrire ai giocatori mega salari dai 20 ai 30 milioni di $ e l’ago della bilancia cominciò a pendere dalla loro parte. Più alto era il salario e più il giocatore aveva voce in capitolo.
Proprietari e manager, per tenere alto il morale delle loro superstar, timorosi che la loro insoddisfazione potesse influire negativamente sul loro rendimento e conseguentemente sul resto della squadra, cominciarono a dare maggiore ascolto e maggiore importanza a questi giocatori. Sempre più frequentemente si è assistito al licenziamento del manager per il semplice fatto che le superstar non erano d’accordo con le strategie dello skipper.

Contemporaneamente l’analitica prendeva sempre più piede nelle organizzazioni che cominciarono a capire l’importanza che questo elemento aveva nel gioco.
E’ cominciata così l’espansione del settore delle analisi e statistiche con il risultato che a questi signori si aumentava il salario e quindi nessuna sorpresa se, per bilanciare i conti, sono stati proprio i manager a pagarne il conto.
Non solo, gli addetti delle statistiche assumevano sempre più potere. Non erano più destinati in poltrona mentre il manager era in prima fila, ma stavano prendendo il sopravvento sui manager e salendo sempre più alla ribalta. Il dipartimento degli analisti è divenuto sempre più invasivo nei confronti dei manager e del suo staff mettendo a disposizione tutte le informazioni che poi devono essere trasmesse ai giocatori.
Il baseball oggi tende verso un minor utilizzo dei manager per impostare la gara, impiegandoli maggiormente come comunicatori tra il dipartimento analitico e i giocatori. I manager hanno assunto un ruolo di funzionari con il ruolo principale di informare i giocatori delle tendenze avversarie e per aiutare i propri giocatori a produrre meglio. Sempre meno strategie sono dettate dalla panchina, è un compito ormai delegato ai colletti bianchi.
Voci ufficiose riportano che uno dei motivi del licenziamento di Ausmus è stato perché aveva perso il rispetto dei giocatori e non veniva ascoltato. D. Baker è rimasto troppo attaccato alla sua vecchia scuola non dando sufficiente importanza alle sabermetriche e anche per i suoi contrasti con Bryce Harper. Joe Girardi pare che non avesse un buon rapporto con i tanti giovani talenti che si affacciavano sul palcoscenico.
Questo spiega il motivo per cui molte società hanno provveduto ad assumere nuovi giovani manager con nessuna esperienza a livello di major league, che si ritiene non sia più una necessità primaria. Le società vogliono un manager che sia in grado di trasmettere le statistiche dettate dall’apposito dipartimento ed in grado di meglio comunicare con la nuova generazione di giocatori. Il tutto conduce al fatto che i manager sono più controllabili e a più buon mercato.
Tutto ciò considerato, nessuna sorpresa se 3 dei nuovi sei manager assunti per la stagione 2018 non superano i 42 anni, uno ne ha 44, uno 53 e uno solo, Ron Gardenhire, ne ha 59. Sarà interessante vedere le diverse generazioni a confronto nella prossima stagione.
Frankie Russo
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