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Cosa insegna il baseball

La squadra Seattle Asahi baseball team posa davanti alla Mizuno Bros  Sporting Goods Store
La squadra Seattle Asahi baseball team posa davanti alla Mizuno Bros Sporting Goods Store

di Michele Dodde

Nel 1870, dopo aver assorbito le tristi esperienze della guerra civile statunitense, il reduce Horace Wilson, insegnante di lingua inglese, accettò di buon grado la cattedra che gli offrì una scuola giapponese e si recò con entusiasmo nella terra del Sol Levante a scoprire nuove mentalità e tradizioni. La sua attività di insegnante però, per meglio introdurre la difficile qualità parlata della lingua, andò oltre e per meglio evidenziarne lo slang incominciò a parlare del gioco del baseball delineandone i primi principi. Con sua piacevole sorpresa trovò tra la gioventù nipponica un fertile terreno per insegnare la lingua inglese ma ancor più quando si accorse che i principi etici e la pregnante filosofia del baseball, nonostante fosse un gioco occidentale e quindi barbaro per i nipponici, riuscivano però ad ammaliarli perchè così vicini alle sfumature delle loro tradizioni. 

Da quella data nel Giappone, di fatto la prima nazione asiatica a praticare questa disciplina, il baseball incominciò ad essere praticato come momento di formazione educativo e disciplinare perlopiù nelle scuole superiori e tale è rimasto se ci si sofferma a considerare che il massimo traguardo giovanile tra le scuole viene considerata la partecipazione alla finale da svolgersi sempre nel mitico stadio Japan Koshien.

E due recenti film giapponesi, il “Kokoyakyu High Shool” (2006) diretto da Kenneth Eng e “Glove” scritto da Kim Ki-Boem e diretto da Woo-Suk Kang, per non parlare poi di “Cross Game” (“005 – 2010) realizzato dalle magiche matite di Adachi Mitsura, ne sono la prova più evidente per illustrare quanta determinazione ci vuole per plasmare la formazione dell’atleta in perfetta simbiosi con la filosofia del Samurai.

 

Tuttavia, al di fuori del contesto scolastico, la prima squadra in assoluto ad essere formata fu la Shimbashi Athletic Club nel 1878 quale primo anello di quello che diventerà lo sport più seguito ed amato nel Giappone. A coordinare le varie iniziative nel 1934, a seguito della visita tour di Babe Ruth nella terra del Sol Levante, nacque la Japanese Baseball League per trasformarsi poi nella Nippon Professional Baseball o Puro Yakyu nel 1950 quando la lega riunì di fatto le squadre composte via via da professionisti.

 

Il travaso dei migliori talenti o potenziali prospetti dalla Puro Yakyu nipponica alla Major League statunitense, nonostante le rigide regole di tesseramento da parte della federazione giapponese, non mancò ad arrivare presto e già a partire dal 1964 il ventenne Masanori Murakami andò ad indossare la divisa dei San Francisco Giants. Dopo questi, che fu il primo, seguirono molti altri tra cui Hideo Nomo nel 1995 che salì sul monte per i Los Angeles Dodgers conquistando il nomignolo di “Tornado” per via delle sue palline veloci.

 

Poi nel 2000 Kasuhiro Sasaki nella franchigia dei Mariners ed infine, dal 2001, Ichiro Suzuki che conquistò con il suo stile e la sua religiosa concentrazione (si dice che avesse un maniacale controllo delle proprie mazze personalmente portate in una sacca a prova di umidità) i fan di ben tre franchigie: Mariners, Yankee e Marlins ricevendo alla fine della sua carriera l’ambitissimo Guanto d’Oro.

Nella foto Shohei Ohtani (Getty Images)
Nella foto Shohei Ohtani (Getty Images)

Ora in questo periodo la singolare notizia inerente il ventitreenne Shohei Ohtani, talentuoso giocatore giapponese, sta aggiungendo un ulteriore tassello al baseball praticato in queste due “gemellate” nazioni. Infatti Ohtani, che si presenta con l’invidiabile altezza di un metro e novantatrè ed un peso di novantasette chili, ha in tasca un palmares in carriera, come lanciatore, di 42 partite vinte e 15 perse e con 2.52 media PGL e soprattutto, ed è quel che più conta, con la velocità della sua pallina che viene scagliata a 102,5 miglia/ora mentre come battitore designato è sul top di ben 22 fuoricampo. Ai mas media non è sembrato vero paragonarlo a Babe Ruth giostrando poi con i commenti relativi alle franchigie della Major League Baseball che, chiamate a svolgere una ipotetica asta per accaparrarsi le sue future prestazioni, sono state allineate dai Los Angeles.

Nella foto Babe Ruth in Giappone
Nella foto Babe Ruth in Giappone

Babe Ruth dunque ancora una volta viene rispolverato ed in Giappone, dall’allora 1934, non solo vengono ricordate le sue qualità di giocatore quanto anche i suoi principi etici-morali e sociali.

 

Infatti Daisaku Ikeda, attuale Presidente della Soka Gakkai, organizzazione laica fondata nel 1930 nella terra del Sol Levante dagli educatori Tsunesaburo Makiguchi e Josei Toda e che diffonde il Buddismo di Nichiren Daishonin, sulla rivista “Boys and Girls” del 1 settembre 2015 si rivolge ai bambini ed alle bambine delle scuole elementari con una serie di incoraggiamenti delineati dalla vita e dalle parole di Babe, non ultima la celebre lettera.

 

Nella foto il filosofo Daisaku Ikeda
Nella foto il filosofo Daisaku Ikeda

Tuttavia nel suo scritto Ikeda traccia anche i lineamenti della filosofia del baseball (cfr. articolo del 29.11.2014 su BOTR) che per molte sfumature è vicino alla filosofia orientale permeata di disciplina e ricerca costante della perfezione. “E’ difficile sconfiggere una persona che non si arrende mai” o “Non lasciare mai che ti assalga la paura di essere eliminato” ripeteva Ruth ai suoi giovani fan cui non mancava mai di offrire parole di incoraggiamento. E delineando per sommi capi la vita di questa grande leggenda statunitense si chiede Ikeda: “Qual’è stata la vittoria più grande per Babe Ruth che ha dominato in così tante partite di baseball? Vincere sulle proprie debolezze”. E conclude l’autore, rivolgendosi ai tanti giovanissimi, che “La cosa importante è tenere a mente i propri obiettivi, sforzarsi in una maniera che sia consona alla propria natura e continuare ad andare avanti poiché non bisogna avere paura di fallire. Provare e non riuscire non è fallire. Fallire è non provare perché si ha paura di non farcela”.

 

Questi incoraggiamenti, apparsi ora in Italia sulla rivista “Buddismo e Società” (nr. 185 Novembre-dicembre 2017) con traduzione di Audrey Quinto, mirano di fatto alla saggezza per creare la pace e la felicità ed il baseball, così bene individuato da Ikeda, diventa un occulto mezzo che, per dirla come Philip Roth, “con le sue procedure, regolamenti ed applicazione è una specie di chiesa secolare capace di raggiungere ogni parte delle nazioni e tenerle legate insieme”.

 

Michele Dodde

 

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