
Il fascino di una storia destinata suo malgrado a divenire una rocambolesca leggenda, tanto da promuovere l’interesse e la conoscenza da parte del pubblico, inconsapevolmente diventa una generosa madre pronta a testimoniare quanto di vero si concretizza dietro il falso o, viceversa, quanto di falso si delinea dietro il vero. A questo principio si è certamente ispirato Nocholas Dawidoff, attento e puntiglioso biografo di Morris “Moe” Berg, quando ha deciso di narrare “una delle storie più incredibili dello spionaggio di tutti i tempi” come precisa il New York Times Books Review.
Successivamente dalle avvincenti pagine del libro il premier cinematografico Aviva Kempner ha preteso prima una scenografia coinvolgente e senza sbavature poi ha dato il via alle riprese del primo lungometraggio sulla vita di questo particolare personaggio e che attualmente è in produzione e che verrà distribuito nelle sale durante la stagione di baseball nel 2018.
Perché Moe Berg (New York, 2 marzo 1902 – Belleville, 29 maggio 1972) sta richiamando attenzione ed interesse? Perché Moe Berg è stato non solo uno straordinario quanto ombroso giocatore di baseball (per dirla tutta Casey Stengel lo definiva come “the strangest man ever to play baseball” – l’essere più strano che abbia giocato a baseball) ma fu anche un attivo ed intraprendente agente segreto della CIA.

In Italia, grazie agli innovativi tipi della Newton Compton Editori e ad una quasi contemporanea scelta tempistica editoriale-cinematografica, il libro “La doppia vita di Moe Berg” sarà posto in vetrina dal 12 ottobre e si avrà così la possibilità di valutare in seguito se veramente dietro ad un fascinoso libro si realizzerà un grande film o se, come verificatosi in passato, dietro ad un fascinoso film ci si dimenticherà subito dello scritto e della prosa.
Molti gli esempi da “Il Dottor Zivago” tratto dal quel grandioso affresco che è il libro di Boris Pasternak a “Lawrence D’Arabia” ispirato dal libro “I sette pilastri della saggezza” scritto dello stesso Thomas Edward Lawrence, dal monumentale “Il Padrino” saga fiction di ombre e dubbi descritti in forma veritiera nell’omonimo romanzo di Mario Puzo per finire, per quanto riguarda il baseball, all’emotivo quanto spettacolare “Il Migliore” sceneggiato a più mani dall’onesto libro di Bernard Malamud
Nicholas Dawidoff attraverso aneddoti di particolare intensità delinea in modo carismatico il forte e taciturno carattere di Morris già all’inizio dei suoi sette anni quando, essendo figlio di genitori ebrei provenienti da Harlem, pur di giocare a baseball e per evitare l’ostracismo o l’emarginazione, accetta di far parte della squadra della Chiesa Episcopale Metodista con il nome di Runt Wolfe. Da allora, la sua viva intelligenza, la sua versatilità negli studi, come nel gioco del baseball, e la sua incredibile predisposizione verso l’apprendimento delle lingue gli consentiranno di conseguire nel 1923 un Bachelor of Arts magna cum laude e nello stesso anno il debutto come giocatore di baseball nella Major League con il roster dei Brooklin Robins giocando 49 partite nei ruoli di seconda o terza base.
Spirito irrequieto, per due anni privilegia viaggi a Parigi restando a giocare nelle minors per ritornare poi in Major nel 1926 con i Chicago White Sox. Qui per un caso fortuito va a ricoprire con successo il ruolo di ricevitore fino ad ottenere nel 1929 due voti quale giocatore più valido della Lega Americana.
Nell’anno successivo un infortunio al ginocchio lo rimuove da questo ruolo però resta nel giro della Major per altre undici stagioni militando nei Cleveland Indians, Washington Senatores e Boston Red Sox chiudendo la carriera con una media battuta vita di 243 con 441 valide e 206 punti battuti a casa in complessive 663 partite giocate.

Ma quando ha avuto inizio la sua seconda vita parallela in ombra tra le ombre? Di certo Morris, eccellente poliglotta tale da parlare correttamente ben 15 lingue, fu rubricato dalla CIA già a partire dal 1934 quando, partecipando ad una tournee in Giappone come membro di una squadra di All-Star, riuscì in modo impensabile a filmare interessanti luoghi strategici.
Narra Dawidoff che Berg, indossando un kimono “si recò sul tetto dell’ospedale, in quel tempo l’edificio più alto di Tokyo, e da lì, nascondendo la videocamera sotto il kimono, incominciò a riprendere l’intero porto, le sezioni industriali, forse la fabbrica di munizioni e cose simili”. Queste riprese si renderanno indispensabili per la pianificazione dei bombardamenti del 1942 da parte del generale Jimmy Doolittle sulla capitale giapponese.
Da quell’anno in poi, motivato anche dalle vicissitudini inerenti l’appartenenza alla religione ebraica, il suo impiego ed apporto nell’ambito dell’Office of Strategic Services fu di vitale importanza sia per il suo operato compiuto nello Scacchiere dei Balcani sia per la circoscritta valutazione dei progetti compiuti o meno dagli scienziati tedeschi Werner Haisenberg e Carl Friedrich von Weizsacker relativi alla fabbricazione della bomba atomica.

Dunque: grande giocatore di baseball? Un suo compagno di squadra, che mal sopportava la sua cultura così infruttuosa in panchina, disse di lui: “ Morris? Ma Morris può parlare sette lingue, ma non riesce a colpire la pallina con nessuna di loro” così come egli stesso autoironicamente si apostrofava: “Forse non riesco a colpire la pallina come Babe Ruth, di certo però parlo più lingue di lui”.
Dunque: grande agente segreto? E’ una valutazione che solo la sua attività può sottolineare; di certo la sua foto in divisa di giocatore di baseball non è inserita nella Hall of Fame di Cooperstown ma è incorniciata ed inserita tra le glorie lì sui muri della sede principale della CIA e l’onorificenza della Medaglia della Libertà a lui assegnata stanno a significare il tutto.
Il regista Kempner ha detto che il film, per la cronaca il movie “Moe Berg” sarà il 323esimo film di e su il baseball, sarà caratterizzato da rari filmati storici con interviste di celebrità provenienti dai mondi dello sport, dello spionaggio, della storia ed altro ancora e si proporrà come un attento studio della complessa personalità di Moe.
A noi Morris Berg piace ricordarlo come uomo che ha affrontato delle scelte di vita sia sui diamanti sia nei teatri operativi con precisa consapevolezza e forte caparbietà mai allontanandosi però dalla sua grande umanità come quando all’ospedale di Newark, rivolgendosi all’infermiera, chiese con le sue ultime parole : “ Come sono andati oggi i Mets?”.
Michele Dodde
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