Testardi o saggi?

Nella foto Victor Martinez (Jason Miller/Getty Images)
Nella foto Victor Martinez (Jason Miller/Getty Images)

di Frankie Russo

libera traduzione da totallytigers.com

Oggi tratteremo un argomento scomodo, un argomento che gli americani definiscono nel baseball “armchair manager” e nel football “Monday morning quarterback”.  Con queste due semplici frasi (Il manager in poltrona e Il regista del lunedì mattina), si vuole definire il mestiere più amato da chi non è in campo, bensì in tribuna, o davanti al televisore o addirittura da chi si accontenta di leggere il box score del giorno dopo. In poche parole, si crede di  poter valutare le decisioni dell’allenatore stando comodamente in una postazione di non commando. Spesso riteniamo che il tecnico sia testardo, che non abbia il coraggio o l’istinto di prendere una decisione che a noi tutti sembra ovvia. Non è tutto così semplice come sembra. Quindi, è una questione di testardaggine o di saggezza? 

Prima di entrare nel vivo della questione, è d’obbligo una premessa. Nello sport professionistico sono gli atleti ad essere abbondantemente remunerati; nello sport giovanile sono i ragazzi che generalmente pagano una quota.  Comunque sia, con le dovute e necessarie proporzioni e differenziazioni, c’è di mezzo il denaro, e per quanto lo si voglia ignorare, o far finta di ignorarlo, è un fattore che a volte determina le scelte tecniche spesso  incomprensibili a noi comuni mortali. Dopo questo preliminare, ora possiamo entrare nel vivo della discussione.

 

È indubbio che le dinamiche nello sport moderno hanno subìto un significativo cambiamento a seguito delle grosse somme che guadagnano i giocatori, e questo fattore influisce immancabilmente di come essi siano gestiti. Lontani ormai sono i giorni in cui il tecnico guadagnava di più e aveva le redini in mano. Egli aveva il bastone del commando e diceva ai giocatori cosa fare, e i giocatori obbedivano per paura di perdere il posto in squadra o essere messi da parte. Il manager aveva il potere e l’autorità di riferire ai suoi capi chi doveva rimanere e chi doveva andare.

 

Ma insieme al sostanzioso aumento dei salari registrato nell’ultima decade, per i giocatori sono arrivati altri benefici: potere e influenza. Conseguentemente è diventata consuetudine per questi giocatori essere consultati su importanti decisioni al loro riguardo, o di chi potrebbero essere i nuovi acquisti, o se sono disposti a cambiare posizione nel loro utilizzo, a volte entrare nel merito della formazione e ultimo, ma non meno importante, influenzare la scelta del manager.

 

Quante volte ci siamo chiesti il motivo per cui un giocatore beniamino della tifoseria locale è stato ceduto? Rimarreste sorpresi nell’apprendere che non era a causa del suo talento o del contratto. Rimarreste altrettanto sorpresi nell’apprendere che alcuni dei super pagati campioni hanno utilizzato la loro influenza finanziaria e popolarità per determinare specifiche decisioni. 

Nella foto Matt Williams (USATODAY)
Nella foto Matt Williams (USATODAY)

A fine stagione 2015, Matt Williams, l’allora manager dei Washington Nationals, fu licenziato principalmente perché aveva perso la fiducia da parte dei suoi giocatori. Un gruppo di essi, i più popolari, espresse il loro disappunto al proprietario il quale dovette cedere al loro volere.  Williams è solo uno dei tanti manager vittime della preferenza dei giocatori e non del Proprietario o del Direttore Sportivo.

 

Nello stesso anno, Victor Martinez dei Detroit Tigers era in una profonda crisi di battuta, per non menzionare la lentezza sulle basi. Era chiaro a tutti che era sofferente, ciononostante continuava a rimanere nel lineup e tutti, media e tifosi si chiedevano il motivo per cui Brad Ausmus lo tenesse ancora in formazione.

 

Ci volle un bliz di mezzanotte quando il GM Dave Dombrowsky e il proprietario Mike Ilitch piombarono nell’ufficio del manager  per discutere il da farsi. Dopo poche ore Martinez fu posto sulla lista degli infortunati. Evidentemente Ausmus da solo non poteva prendere la decisione per non inimicarsi un certo gruppo di giocatori e lo stesso Martinez.

 

A questi episodi si potrebbe aggiungerne tanti altri come per esempio alcuni lanciatori (qui parliamo sempre di superstar ovviamente) che  guardano in cagnesco al solo vedere il manager incamminarsi verso il monte, o quando qualcuno di essi soffre un infortunio e rifiuta la sostituzione, o quando addirittura il manager viene platealmente contestato nel dugout in disaccordo su una strategia. Immaginate cosa succede quando a gestire questi giocatori si trova un manager meno esperto. Quando un atleta guadagna una somma di denaro tanto superiore  al suo manager, quando si è una superstella e un beniamino dei tifosi,  per il tecnico le probabilità di uscire vincente da queste contese sono pressoché zero.

 

Se foste voi a capo di una società, chi preferireste accontentare? Il giocatore che ha firmato un mega contratto a lungo termine,  che non sta rendendo perché non contento e condivide la sua mancata serenità con i compagni,  o colui che ha firmato per un paio di anni un contratto pressoché insignificante (per loro!).    La risposta non dovrebbe essere difficile.

 

Sempre in materia di negoziazione, subentra un altro fattore determinante per il manager: Il rinnovo del suo contratto.  Questo rappresenta una ghigliottina per il manager, senza il rinnovo del contratto a metà campionato, storicamente i giocatori tendono a non seguire più il tecnico ben sapendo che non sarà lui a determinare le scelte a fine stagione. Questo ci aiuta a comprendere perché spesso le decisioni, a noi inizialmente incomprensibili, hanno un loro background. Perché quel giocatore continua a giocare nonostante sembra soffrire di un infortunio? Perché quel tale giocatore è ancora nel lineup nonostante sia in crisi di battuta? Perché quel giocatore non viene sostituito nel suo ruolo nonostante le sue deludenti prestazioni? Nessuna di queste decisioni può essere presa superficialmente e nessuna alla luce del sole. Dipende solo dal fatto che il manager è testardo? Assolutamente no.

 

Molto verosimilmente queste decisioni non sono prese perché si tende a mantenere l’armonia dello spogliatoio. Forse sono rimandate il più a lungo possibile per mantenere un buon rapporto con i giocatori. Oppure perché capita anche che questi tipi di giocatori antepongono il loro ego all’interesse della squadra. Infine, quasi certamente, il manager è cosciente che una prova di forza sarebbe una battaglia persa in partenza.

 

Riuscire a gestire queste situazioni non è cosa facile, ed è il motivo per cui, in un campionato lungo come quello della MLB, dove il tecnico condivide con i giocatori 24x7 per otto lunghi mesi, l’allenatore viene definito MANAGER, gestore/dirigente. Il suo compito è di gestire non solo ciò che avviene in campo, ma il gruppo in toto,  le diverse personalità dei suoi giocatori e le loro sofferenze, fisiche, familiari e morali.

 

Questa forma tenera di gestione sicuramente farà guadagnare simpatia al manager nei confronti dei suoi giocatori, ma come la mettiamo con il rispetto? Entrare nelle simpatie ed essere  rispettati sono due concetti diversi. Rispetto richiede una maggiore responsabilità e comporta il dover prendere decisioni difficili che spesso non sono ben accette dai giocatori, ma che dopo una più approfondita valutazione ci aiuta a far intendere perché sono state prese. 

 

Frankie Russo

 

 

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