
Bisogna arrivare comunque al 1883 per scuotere nuovamente l’ambiente. Fino ad allora infatti a questi insostituibili giudici di gara veniva corrisposta la somma di circa 5 dollari a partita, pagati dalla squadra ospite, mentre quella di casa provvedeva a coprire tutte la altre spese relative al viaggio e soggiorno. La necessità però di avere migliori umpire per un gioco in continua evoluzione tecnica e di interesse indusse l’American League a varare un programma di ampliamento degli organici e di meritocrazia stabilendo che ai propri umpire fosse assegnato un rimborso globale mensile di circa 140 dollari più 3 dollari al giorno per le spese di viaggio. Ma nel mondo delle possibilità ed alla luce della più schietta legge di mercato fu “honest” John Gaffney, così chiamato per bravura e tecnica (fu il primo ad incominciare a dirigere le gare a ridosso del ricevitore), a strappare nel 1888 un ingaggio di ben 2500 dollari, più le spese, per l’intera stagione. Il classico tuono a ciel sereno, ma se com’era vero il “business” stava richiamando “better then twenty thousand people” a partita, allora era necessaria un’autentica professionalità e non doveva meravigliare se il compenso dovuto fosse superiore a quanto percepivano i migliori giocatori. Di fatto è certo che la storia ora lo indica come il primo arbitro professionista in senso assoluto.
Da allora però tutto il mondo dei giudici di gara cominciò ad esprimere una precisa uniformità al proprio operato nell’emettere giudizi ed interpretazioni del regolamento dimenticando intellettualmente quella prassi comune portata avanti sino al 1884, cioè quando il lancio era del tipo sottomano, e che vedeva gli umpire concordare con i giocatori, e qualche volta anche con gli spettatori, se il lancio fosse da giudicare strike o ball.

Dal 1888 dunque molti furono i cambiamenti e nel periodo seguente emerse, tra gli altri, lo stimatissimo Ben Young, il primo che, oltre a concepire per gli umpire una congeniale divisa (pantaloni e camicia “blue”, che poi dettero origine al nomignolo in slang), delineò per iscritto un codice di etica e definì l’importanza dell’unicità di una scuola tecnica che sperimentasse, e quindi realizzasse, tra le tante iniziative, il canovaccio di una prima meccanica da attuare sui diamanti tra due umpire.
Questo iniziale impiego atto a coprire meglio tutte le fasi del gioco in specie tra le basi tuttavia fu considerato dalla National League una pruriginosa quanto stravagante ricercatezza preferendo invece privilegiare l’utilizzazione di un solo umpire come giudice delle fasi di gioco e possibilmente responsabilizzando umpire di grande personalità e spessore come il già citato John Gaffney o Bob Ferguson, anche lui dapprima qualificato giocatore, poi calibrato manager ed infine apprezzatissimo umpire dalla singolare filosofia: “Non cambiate mai una decisione –diceva ai giovani- e non perdete mai tempo fermandovi a parlare con un giocatore che chiede chiarimenti su un giudizio. Anzi, chiamate subito gioco al fine di chiudergli la bocca. Infine, non abbiate mai alcun timore eccetto quando avrete la sensazione che il pubblico stia concordando con il vostro operato. L’umpire dovrà sempre essere solo con i propri giudizi: così diventa grande.”

Ma la ferma posizione della National League era destinata a sgretolarsi dinnanzi all’evolversi dei tempi ed anzi già nelle World Series del 1909, a partire da gara quattro, a giudicare l’incontro tra i Pirates ed i Tigers furono impiegati non solo i soliti due umpire, ma ben quattro: Bill Klem a casa base, Billy Evans sulle basi e Silk O’Loughlin e Jimmy Johnstone sulle linee di foul.
Il baseball ora era diventato un indiscutibile quanto necessario patrimonio sociale e nulla doveva essere più demandato al caso e pertanto anche i segnali, cioè quei gesti che indicano al pubblico le decisioni, inventati da Cy Rigler nel 1905, furono unanimemente accettati e codificati dalla nascente scuola tecnica.
Con il passare degli anni infine è certo che questi insostituibili “uomini invisibili” per via della loro autoironica “ininfluenza” sull’andamento della gara (si pensi che in una partita ideale il chief umpire è chiamato ad emettere ben 163 giudizi fortemente decisionali) hanno avuto la capacità di affermarsi e confermarsi raggiungendo altresì anche traguardi di prestigio misto a curiosità varie.

Significativi infatti quelli di Bill McGowan che a tutt’oggi detiene l’insuperato record di ben 2541 partite dirette consecutivamente dal 1925 al 1954, di Bill Klem che ha diretto per 37 anni ininterrottamente dal 1903 al 1940 e di Ed Rommel che a Washington nella gara tra i Senatores e gli Yankees il 18 aprile del 1956 fu il primo ad indossare gli occhiali. “Per vederci meglio”, come fu detto dagli insigniti dell’Ordine della Giarrettiera!
Anche in Italia però gli umpire di baseball, ed in seguito quelli di softball, hanno avuto una particolare storia da me scritta per ricordare le loro vicissitudini, anch’essi Uomini Invisibili, o meglio “Indimenticabili”.
Una storia la loro sviluppatasi in parallelo con l’affermazione tecnica e popolare del gioco e, sotto molti aspetti, piena di sfumature e di fascino per le qualità, iniziative, modalità di reclutamento e validità espresse già a partire dai primi pionieri.
Ed allora in chiusura voglio ancora ricordare tra gli Indimenticabili il triestino Carmelo Pettener dallo stile aristocratico ed interpretativo, il parmense Enrico Spocci principe della determinazione e rigidità, il nettunese Franco Faraone dalla grande e vitale filosofia di vita, il milanese Attilio Meda imperturbabile quanto signore del diamante, il bolognese Cesarino Mingardi dalla simpatia disarmante, il romano Mario Noli dai decisi e carismatici giudizi, il nettunese Sante De Franceschi inossidabile e longevo highlander ed il livornese Riccardo Fraccari dall’inconfondibile e studiato stile.
E la storia infinita continua.
Michele Dodde
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