
Presentazione di Paolo Castagnini
Ed ecco arrivati a fine 2016. Un altro anno passato a scrivere e raccontare le cose che ci piacciono. Perché il nostro piccolo gruppo è così che funziona. Cerchiamo di comunicare qualcosa attraverso il baseball e il softball. Non scriviamo di partite perché ci sono altri che lo fanno già molto bene. Ci siamo ritagliati quel piccolo spazio che ci sembrava vuoto. Scrivere di cultura, storia, racconti e un po' di tecnica e filosofia del gioco. Lo facciamo ininterrottamente dal 2012. Questo è il quinto anno. Il numero di lettori che cresce ogni giorno ci sprona a proseguire. Grazie perciò a tutti voi e, come nostra tradizione, vi facciamo gli auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo, nella speranza che sia per tutti almeno un po' meglio di quello trascorso. Per questi Auguri abbiamo usato la magica penna di Michele Dodde con un suo bel racconto. Buona lettura!
Un guanto racconta - di Michele Dodde
Confesso che questa parentesi di riposo invernale non mi dispiace, anche perché così posso raccogliere e memorizzare tutte le emozioni passate quest’anno durante il mio impiego. Ed è stato un impiego partecipativo non da poco. Certamente, se si vuole dare un inizio al tutto, bisognerebbe incominciare col dire: c’era una volta. Ma c’era una volta sembra essere stato sempre l’emblematico inizio di una favola o di una leggenda, anche se, cortocircuitando quell’antico spot cui piaceva recitare che se la leggenda configura la realtà, allora vince la leggenda, questa di fatto è una storia vera che attraverso me ha interessato più persone.
Accadde a dicembre quando ormai il sole era tramontato e la luce che illuminava i luoghi ed i volti era quella artificiale delle lampade. Ma anche sotto quella luce gli occhi di quei volti erano ritornati innocenti perdendosi dietro visioni che sapevano di dolcezza ed armonia.
Tuttavia questa storia non è per tutti. Sono molti infatti coloro che non danno alcun credito alle comuni cose quando invece tutte, anche le più insignificanti, hanno un’anima, dei sentimenti ed un’affettuosa quanto intima voglia di comunicare. Si dice sempre che i sassi non hanno la possibilità di parlare ma a saperli osservare attraverso il loro silenzio si avrebbe sempre la certezza di conoscere e capire la vera storia umana vissuta. Io questo silenzio ho imparato a conoscerlo e so come ascoltarlo e quanto rumoroso sia a volte il suo fragore. Come quello che si dice del mio silenzio che invece vuole essere partecipativo.

Dunque avrete voglia di chiedervi chi mai io sia. Allora andiamo con ordine. La storia della mia famiglia risale al 1870 quando un tale Doug Allison, giocatore dei Cincinnati Red Stockings, dopo aver subito un infortunio alla mano sinistra, decise di cautelarsi ideando una specie di rudimentale protezione per la mano.
Confezionò un qualcosa di pelle imbottita con ovatta e striscioline di feltro con particolare rinforzo là dove si praticava la presa.
Quel mio primo antenato tuttavia serviva a poco ed era proprio brutto da vedere, anche perché sembrava il fratello gigante delle strane manopole che usavano gli allora ciclisti. Ma in fin dei conti non mi va di sottolineare che ognuno ha il proprio antenato che si merita perché di certo non tutti sono belli ed aitanti.
Comunque, nonostante la bruttezza che da qui dette origine al famoso detto che tutti i figli appaiono belli alla mamma loro, e figuriamoci allora al loro papà, egli iniziò ad avere altri fratelli spuri che tuttavia non trovarono favorevole accoglienza nella società comune e quindi continuarono a non essere ben visti ed accettati.

La verità è che in quel periodo i giocatori che praticavano il gioco erano ammirati e osannati per il loro rude modo dignitoso ma aristocratico nell’affrontare la presa della pallina a mani nude, ovvero gli applauditi “Bare Hands”. Le signore si scioglievano dinnanzi a quei gesti virili e non nascondevano il desiderio intimo di essere da quelle mani accarezzate mentre giravano con disprezzo il loro dolce viso quando la presa era effettuata da coloro che avevano incominciato ad usare i guanti ridicolizzandoli con il nomignolo di “Sissy”. E non ci vuole un’enciclopedia per capire il perché.
Comunque, in seguito, le migliorie tecniche del gioco influenzarono di molto la velocità della pallina tanto che il suo impatto nel palmo della mano divenne non poco difficoltoso. Fu così che anche Charles Waitt, nel 1885, quale inimitabile chirurgo plastico, ci si mise di buon cipiglio per eseguire e poi registrare il primo progetto di un guanto degno di tal nome e di fatto. Niente di eccezionale, semplici operazioni di estetica facciale che però migliorarono molto l’impatto visivo e la loro utilità fu oggettivamente accettata dall’intera franchigia dei St. Louis Cardinals che per prima incominciò ad indossarli.
In seguito, nella continua perfezione delle cose e quando iniziò ad usarlo soprattutto quella celebre star e mecenate che fu il prima base Albert Spalding, la partecipazione al gioco da parte del guanto si generalizzò con successo.
E le signore incominciarono a capirlo cambiando la loro attrazione verso altri approcci. Comunque fu solo nel 1920 che la mia dinastia assunse la quasi forma attuale con l’inserimento tra il dito indice ed il pollice di una primordiale sacca interdigitale e ciò a seguito di un semplice quanto interessato suggerimento del lanciatore Bill Doak, eccellente fromboliere sempre della grande famiglia dei St.Louis Cardinals. Da allora la mia famiglia, come si dice, ebbe estimatori e studiosi di alto rango e lignaggio che contribuirono a realizzare un albero genealogico di tutto rispetto con ben cinque rami cadetti, di fatto tutti cugini stretti.

Il mio personale primo ricordo risale a quando fui assemblato. Esperte mani scelsero con cura la pelle “pieno fiore” affinchè fossi catalogato quale “premium”, poi inserito nella tipologia cosiddetta da “interno” e dunque destinato ad avere la dimensione massima di circa 40 centimetri.
Il colore blu navy mi inorgoglì non poco però, confesso, subii con un certo fastidio la marcatura della casa produttrice. Poi fui inscatolato in una confezione di lusso e, posizionato in una vetrina di un grande magazzino tra una divisa ed una mazza da baseball, non nascondo che facevo una gran bella figura.
Mi divertivo nell’osservare gli sguardi incuriositi di chi mai aveva visto, tra le altre cose inerenti le attività sportive, un fondamentale attrezzo del gioco del baseball quale io ero. Infine un giorno fui tolto dalla vetrina, posto in una variopinta borsa shopping con tanto di nastro a fiocco rosso e portato via.
Quando fu aperto l’involucro dove ero stato sistemato vidi per la prima volta il viso di un simpatico ragazzo, che poi seppi chiamarsi Vincenzo, e ricordo con malcelato sorriso il suo stupore e poi il suo primo goffo tentativo per indossarmi.
In effetti era perché mi sentivo intimamente felice di essere stato una sorpresa. Nei successivi giorni, crescendo un significativo legame di amicizia con lui, incominciai a sentirmi come la mitica coperta di Linus per via del calore e delle morbide carezze cui era fatto segno e questa sensazione non mi ha più lasciato.
Mi sono sentito un tutt’uno con Vincenzo e la sensazione era di essere diventato lo scrigno indispensabile e segreto dei suoi pensieri e delle sue motivazioni. Così passavano i giorni freddi dell’inverno tra una sistematina all’altra. Ricordo anche il giorno in cui accompagnai Vincenzo a scuola e come divenni nella classe del suo Liceo Scientifico l’attrazione principale durante la ricreazione. Tutti volevano toccarmi e provare la mia duttilità.

La mia sistemazione in bella vista ebbe fine con l’arrivo della primavera, ovvero quando il sole un giorno lo permise, e con Vincenzo iniziai a provare le mie capacità.
Erano le prime prese per migliorare i fondamentali unitamente a calibrare i movimenti e si era lì durante il pomeriggio su quel prato verde dalle due alle tre ore.
Poi arrivarono i primi allenamenti con gli altri componenti della squadra in cui giocava Vincenzo e da allora non mi fu più permesso di sbagliare.
L’inizio del campionato non fu tra i più felici poiché più che giocare fui relegato a guardare le partite dal dugout e non ci furono momenti liberatori per un ingresso in campo. Ma poi, come sempre accade nella vita reale, bastò un piccolo granello di sabbia che andò casualmente ad ingrippare il motore continuo del seconda base. Quella leggera distorsione alla caviglia bloccò di fatto la sua via ma schiuse però la stessa all’improvviso sorpasso da parte di Vincenzo.
Era proprio vero il detto, sentito a suo tempo, che una barricata può chiudere da una parte la strada ma di fatto apre una via dall’altra. Così Vincenzo calcò bene il suo cappellino, mi indossò con cura e si recò in diamante a bilanciare quell’invisibile equilibrio che esiste in asse con la Key Stone. Ed ebbe inizio allora un continuo dialogo tra rapidità, intenzioni, scelte e coinvolgimenti che non hanno mai richiesto aggettivi ma solo constatazioni.
E da allora, fatelo dire anche a me con pieno diritto, “ho visto ed udito cose che voi umani non avete mai visto ne udito”: spettatori traditori della casalinga poltrona di casa urlare dagli spalti sentenze inaudibili; tuttologi del gioco la cui ignoranza poteva riempire volumi enciclopedici, quelli che lasciavano di stucco perché tutte chiacchiere e distintivo, quelli che faccio tutto io perché il migliore, quelli che la loro passione del gioco era solo eterea forma e non concreta sostanza, così come però anche quelli che il baseball lo conoscono, ne apprezzano le sfumature e ne capiscono la filosofia.…
Da ultimo devo pur dire che non nascondo quante volte durante le gare di quel campionato sono caduto nella polvere, ma è pur vero che più spesso sono stato posto sugli altari e dunque è stato bello conoscere e capire i giudizi di tutti coloro che sanno come il baseball a tutti interamente si dona ma non a tutti del tutto si svela. Ecco allora il vero e grande segreto del gioco ben racchiuso sul diamante dal suo dichiarato fondatore Alex Cartwright. E questa è una sfumatura non da poco.
Dunque, vi state ancora chiedendo chi io sia? State pensando forse che io sia un guanto da baseball?. E’ vero, ma non sono solo un guanto, poiché io sono stato e lo sarò sempre, il regalo di Natale.
Con buone feste a tutti.
Michele Dodde e tutti noi di
Baseball On The Road
Qui sotto il Presepe di Michele Dodde
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Franco Ludovisi (venerdì, 23 dicembre 2016 21:07)
A Paolo, Michele, Frankie, Allegra, e me ne dimenticherò certamente qualcuno che collabora fattivamente al sito, faccio gli auguri di buone feste che vengono da dentro, dentro, dentro.
Un piccolo segreto:
quando al mattino mi applico ad internet il mio primo contatto è BASEBALLONTHEROAD. Fate come me, così non vi dimenticherete mai di consultarlo!
E così facendo il giorno comincerà bene.
Paolo (sabato, 24 dicembre 2016 23:04)
Grazie delle tue parole Franco!
Buon Natale!
Frankie (domenica, 25 dicembre 2016 10:13)
Grazie Franco e Buone Feste anche a te. L'interessamento dei lettori è la nostra forza e ci spinge a fare sempre meglio.