
Quando un evento diventa epocale, per giunta atteso per 108 anni, gli articoli e gli elogi si spendono a chili e poi subito dimenticati. Molto interessante invece la segnalazione della giornalista-scrittrice Judith Testa che è riuscita ad individuare, e poi porre in evidenza, una lettera indirizzata al New York Times da parte di un certo signor S.B. Lewis.
Il commento inerente la finale della World Series 2016, scritto da questo lettore appassionato di baseball, dal mio punto di vista è la nota più interessante che si potesse leggere sui “Cubs” circa la loro fantastica impresa.
La semplicità di questo osservatore, tifoso con giudizio, si distacca con giusta visione dagli articoli osannanti per delineare un aspetto molto significativo dei “Cubs”.
Scrive il lettore infatti che Theo Epstein con questa rocambolesca ed affascinante vittoria nella World Series 2016 non solo ha compiuto un miracolo, ma ben due.
E va a precisare infatti che il primo e più importante non è stato il titolo conquistato dopo aver sfatato la triste leggenda durata ben 108 anni, quanto invece la diversità con cui i “Cubs” hanno giocato a Baseball lì a Chicago.
Nell’indicare questo aspetto ha tenuto in primo luogo a rivolgere un appello a tutti i genitori affinché, memori dello spettacolo sportivo visto, non si dimenticassero di concentrarsi a meditarlo per trasmetterlo in modo educativo ai loro figlioli. Egli ha scritto infatti che i “Cubs” hanno giocato a baseball con gioia partecipativa ed in piena allegria ovvero in totale antitesi con il gioco che si vede e si sente praticare in altre squadre.
Dunque i “Cubs”, così giocando, hanno avuto il privilegio di evidenziare una diversa cultura del gioco quasi in netto contrasto con lo Sport professionistico destinato sempre a trasmettere una ferma determinazione tesa a vincere ad ogni costo. I “Cubs”, ha proseguito ancora Lewis, in questa World Series sono riusciti a trasmettere, con il loro modo particolare di giocare, una spontanea quanto gioiosa sensazione che difficilmente si potrà dimenticare.

Si è anche soffermato poi su gli errori e le sconfitte ma per configurarle come entrambe siano servite alla squadra solo per dare stimolo, poiché mai si è evidenziata una sensazione di disperazione o eccessiva euforia.
Indicativo infine il segnale scaturito alla fine della riunione nello spogliatoio durante la forzata pausa per la pioggia: tutti quei ragazzi, ha voluto sottolineare, erano lì per giocare fortificati dalla loro autostima priva di arroganza.
E durante il gioco, a sdrammatizzare situazioni o riprese, più volte si sono visti a scherzare e sorridere con i membri della squadra avversaria lì sulle basi. Così come ha scherzato anche il catcher che a 39 anni, pur sapendo che stava giocando la sua ultima partita, continuava a chiedersi con incisiva autoironia come avesse fatto a battere il suo personale homerun.
Questo approccio al gioco dunque totalmente diverso dall’usuale è quello che ha voluto chiosare Lewis con grande trasporto affettuoso verso i suoi Cuccioli e, ciò che è ha voluto maggiormente evidenziare nella sua lettera, è che è emotivamente sano. E questo nuovo spirito di gruppo di certo è stato per tutti contagioso.
E termina il suo intervento il buon Lewis precisando che era fortemente convinto che qualunque fosse stato il risultato, lo spirito di questa squadra non sarebbe cambiato. Che si vinca o si perda è solo un risultato. L’importante invece è giocare divertendosi e divertendo. Ora è convinto che questa giovane ed emozionante filosofia viaggerà sempre con i Cubs assemblati da Theo Epstein.
Ma è pur vero che questa è la giusta caratterizzazione del baseball e dello sport al suo meglio. E questa è la magia che ha provato mercoledì a mezzanotte. Non note di esaurimento, ma solo sorrisi.
Michele Dodde
N.d.r - Nelle due foto qui sotto una curiosità: a sinistra il disegno "The Dugout” del famoso illustratore Norman Rockwell pubblicato in copertina del "The Saturday Evening Post " il 4 Settembre 1948 dopo una stagione disastrosa dei Cubs e la vittoria degli Indians alla World Series.
A destra l'illustrazione che il New York Times aveva preparato dopo il 3-1 a favore degli Indians. L'illustrazione doveva essere pubblicata dopo la quarta sconfitta dei Cubs - presumibilmente il 3 novembre - che come tutti sappiamo non avvenne. Da notare in ordine: Kyle Schwarber, Joe Maddon, Jake Arrieta, Javier Baez e Kris Bryant. In tribuna, i famosi Cleveland Indians fan Tom Hanks e LeBron James.
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Frankie (lunedì, 14 novembre 2016 11:14)
Ed il segreto di tutto questo parte dal manager Joe Maddon il quale, può avere si la fama di essere un pizzico presuntuoso e arrogante, ma ha saputo inculcare nei suoi giocatori questa cultura del divertimento e del niente panico. La comunicazione e il far sentire i giocatori a loro agio in qualsiasi situazione sono i suoi punti di forza e che fanno di Maddon uno dei migliori di questa generazione insieme a Francona e Bochy.