Il capolavoro di Thomas Eakins

di Michele Dodde 

Mai opportunamente quotato e valorizzato in vita per alcune scabrose vicende inerenti la sua vita privata, solo in seguito a Thomas Cowperthwait Eakins fu riconosciuto da parte della critica il dovuto appellativo quale “il più grande e profondo realista della fine del diciannovesimo secolo nell’ambito dell’arte americana”. Nato a Filadelfia nel 1844, e dunque coevo dei vari Winslow Homer e William Glackens, anch’essi pittori della corrente realista, Thomas fu l’unico ad essere stato influenzato dalla caratteristica bellezza dello sport e dall’armonia dei suoi movimenti.

Dopo aver frequentato gli studi serali presso l’Accademia di Belle Arti in quel di Pennsylvania, al fine di dare un senso virtuoso alla sua espressività, volle recarsi nel 1866 in quella mistica meta artistica che era Parigi dove per quattro anni apprese sfumature ed intendimenti presso la scuola di Jean Leon Gerome.

 

Di ritorno negli Stati Uniti si trasferì e lavorò, sino alla sua morte nel 1916, nella sua città natia della quale incomincia a ritrarre i più significativi aspetti sociali, in radicale cambiamento dopo i giorni bui della guerra civile, e gli autorevoli personaggi che la stavano rendendo famosa e/o la condizionavano.

L'autoritratto di   Thomas Cowperthwait Eakins (National Academy of Design, New York)
L'autoritratto di Thomas Cowperthwait Eakins (National Academy of Design, New York)

La sua passione artistica verso lo sport, attratta prima dalla boxe, poi dal nuoto e dalla fisicità dei rematori del canottaggio, si rivolse infine con attenzione verso i giocatori di baseball incominciando a frequentare il diamante del “Jefferson Grounds” dove scoprì quel particolare mondo che egli definirà “Athletics Boys” considerandoli alla stessa stregua dei toreri poiché sempre eccellenti nella loro formazione.

 

In quegli anni il baseball veniva giocato nel pomeriggio ed era durante l’allenamento mattutino che il manager stilava il line up.

 

Di poi, senza soluzione di continuità, i prescelti cambiavano la loro uniforme per andare ad occupare il dug out per attendere il loro turno di gioco.

 

Fu con questa emotività e sensibilità nascente che Thomas concepì e realizzò nel 1875 quello che è stato definito il primo avvincente quadro del gioco del baseball ovvero il “Baseball Players Practicing”, realizzato su carta a matita ed acquarello, e ritraenti, si disse, l’interno Davy Force ed il ricevitore John Clapp di quella formidabile franchigia che fu “The Philadelphia Athletics” che quell’anno arrivò seconda nel campionato della National Association.

 

Il quadro, molto luminoso, mette bene in evidenza con pochi tratti l’intero mondo di quel baseball che fu, ovvero due giocatori in allenamento con i tipici austeri e ruvidi baffi alla moschettiera, maniche della casacca debitamente arrotolate sino al gomito, il caratteristico copricapo ancora senza visiera e l’assenza del guanto, che in quel periodo incominciava a circolare tra quei giocatori definiti ironicamente “sissy”, a delineare come gli stessi, puri “bare hand”, rappresentavano la vera icona di fieri ed aristocratici giovani.

The Ball Players di William Morris Hunt
The Ball Players di William Morris Hunt

 

Due anni dopo, nel 1877,  fu la volta del pittore William Morris Hunt a dipingere con colori ad olio su tela “The Ball Players” ma la sua interpretazione fu quella di un baseball amatoriale o meglio “pastorale”, come fu definito. Ma questa è un’altra storia.

 

Qui sotto "Baseball Players Practicing" realizzato su carta a matita ed acquarello - (Formato ingrandibile)

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