
Articolo tratto da Sports on Earth
Squadre che possono avvalersi di rilievi che lanciano di potenza sono le più difficili da sconfiggere.
Quando vinsero le World Series nel 2004 ponendo fine alla “maledizione del Bambino”, i Boston Red Sox usarono una specifica strategia. L’obiettivo era di costringere il partente a più lanci possibili e pertanto farlo uscire dalla partita il più presto possibile. Questa strategia costringeva l’avversario a ricorrere al bullpen con rilievi di qualità sicuramente inferiore ai partenti. La strategia ebbe tanto successo che fu determinante anche quando vinsero le World Series nel 2007.
Nel 2014, dieci anni più tardi, i Kansas City Royals utilizzarono una strategia al contrario, potenziarono il bullpen che in definitiva gli permise di arrivare ai playoff per la prima volta dal 1985. Ai partenti si chiedeva di lanciare almeno sei inning per poi affidarsi alle potenti braccia del bullpen. La tattica funzionò, tanto da portarli a Gara 7 delle World Series dove persero per un punto contro i San Francisco Giants.
E’ un segno evidente del cambiamento di tattica rispetto a dieci anni orsono che influisce anche sulla strategia dell’attacco. Una volta si chiedeva ai battitori di essere pazienti e far lanciare i partenti per poi colpire i rilievi, ora non è più così. Oggi, quando entrano dal bullpen, quasi tutti i rilievi tirano a oltre 95mph, quindi è preferibile attaccare subito il partente e portarsi in vantaggio prima che venga sostituito. Questo è in generale, ma quanto fecero i Royals portò il risultato ai massimi livelli con Wade Davis, Kelvin Herrera e il closer Greg Holland che dominarono letteralmente la scena negli ultimi due anni. Nel 2014 i Royals sconfissero gli A’s nello spareggio della Wild Card, vinsero a zero la serie dell’ALDS contro gli Angels e vinsero quattro gare consecutive contro gli Orioles prima di perdere contro i Giants. In quel lasso di tempo Holland concesse un punto in 11 riprese, Davis ne concesse due in 14,1 e Herrera tre in 15 inning. I Royals avevano senza dubbio una buona squadra, ma con quei tre fecero la differenza e accorciarono le partite agli avversari quando in svantaggio alla sesta ripresa.
E’ naturale che una strategia vincente viene copiata dagli altri ed è comprovato che un buon bullpen aiuta a vincere le partite, e nello stesso tempo fa sembrare il manager un genio. Nessuno lo può confermare più di Ned Yost il quale, grazie al suo trio, portò la franchigia ai playoff dopo tre decenni. E dire che solo a inizio campionato i tifosi chiedevano la sua testa. I vecchi detti non sbagliano: L’imitazione è la forma più sincera di adulazione. Una volta il bullpen aveva uno o al massimo due rilievi che lanciavano oltre le 95mph, oggi è nella norma vedere un rilievo raggiungere tale velocità. Ormai quasi tutte le squadre si sono adeguate e si stanno muovendo nella stessa direzione, si vedono sempre più squadre andare alla ricerca di solidi rilievi non solo durante la offseason, ma anche al Trade Deadline.

Quest’anno i Cardinals per esempio, a metà campionato non solo avevano il migliore record delle majors, ma il loro bullpen aveva anche il migliore PGL.
Ciononostante a luglio la società prese altri due rilievi con esperienza da closer proprio per rafforzare il bullpen già di per sé molto stabile. Dello stesso parere furono i Pirates che presero Joakim Soria dai Tigers per potenziare il bullpen rinunciando a un promettente prospetto.
Mai si era verificato in passato che le prestazioni dei rilievi avessero tanto influito sulle statistiche degli attaccanti. I numeri di Craig Kimbral (Braves), Kenley Jansen (Dodgers) e Carlos Marmol (Cubs) ne sono la conferma.

Ma uno su tutti è Aroldis Chapman (Reds) che oltre alle 36 salvezze, realizzò 106 strikeout e concesse 21 valide in 54 inning lanciati, l’equivalente di 17,7 strikeout e 3,5 valide rapportati a nove riprese, valori che costituiscono un record per chi ha lanciato più di 50 inning.
Questi traguardi non sono frutto esclusivamente dell’evoluzione del ruolo, potrebbero essere conseguenza di una migliore nutrizione come potrebbero derivare da una specifica preparazione che parte da lontano. Già al College inizia la costruzione del rilievo, sia fisica che mentale, e sempre più spesso si vedono partenti trasformati in rilievi. In passato, all’All Star Game era difficile vedere un numero così elevato di rilievi. Dal 1971 al 2000 ne furono selezionati solo sei, dal 2001 al 2009 dieci, e negli ultimi sei anni sono stati convocati 17 rilievi. E come se fossero diventati indispensabili.
Di questa idea pare sia sempre stato Bruce Bochy manager dei Giants. Mentre la maggior parte dei plausi è stata riservata ai tre partenti Madison Bumgarner, Matt Cain e Tim Lincecum per la conquistata dei tre titoli di World Champions nel 2010, 2012 e 2014, Bochy attribuisce ai rilievi Jermy Affeldt, Santiago Casilla, Javier Lopez e Sergio Romo pari meriti. Sono essi che molto spesso sono usciti indenni da tante situazioni difficili negli ultimi inning proteggendo il risultato o tenendo la squadra in partita.
In definitiva, la rilevanza del bullpen ha assunto la stessa importanza dell’attacco e della rotazione dei partenti, non solo per le difficoltà che crea agli avversari, ma anche perché mette la propria squadra in una migliore condizione di poter vincere.
Frankie Russo
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