Cooperstown Confidential

di Michele Dodde

E’ stato piacevole ed interessante leggere “COOPERSTOWN CONFIDENTIAL”: Heroes, Rogues, and the Inside Story of the Baseball Hall of Fame, libro scritto nel 2009 con inchiostro al vetriolo dall’opinionista Zev Chafets, fondatore e caporedattore del Jerusalem Report e collaboratore di altri periodici statunitensi tra cui The New York Times Magazine e The New York Daily News.

Negli Stati Uniti, ed ora nel Mondo, la parola Cooperstown vale quale metonimia per la National Baseball Hall of Fame and Museum, mitica e munifica Galleria degli Onori idealmente voluta nel 1930 da Frick Ford, decimo presidente della National League, e di fatto realizzata in forma privata dal capostipite della famiglia Clarks, Stephen Clark Carlton, nel 1939.

Stephen, proprietario di un hotel in quel di Cooperstown, al fine di richiamare i turisti in quella sua città così fortemente colpita dalla Grande Depressione, ebbe la felice intuizione di sfruttare la leggenda che voleva il giornalista Abner Doubleday avesse dato proprio lì nel 1839, ben cento anni prima, i natali allo spirito del cosiddetto “gioco antico”, ovvero “batti e corri” o meglio il “baseball”. 

Realizzò così un edificio da destinare a Museo e successivamente gli diede vita ed interesse con l’apporto di Henry Edwards, segretario dell’American League, che ebbe l’idea di coinvolgere ben 226 membri della Baseball Writers’s Association of America (BBWAA) chiedendo loro, ad insindacabile giudizio, di stilare una prima lista dei migliori giocatori e personaggi del gioco e dei quali era opportuno ed essenziale tramandarne le gesta. 

Da allora poco è cambiato e sia la famiglia Clark sia la BBWAA ne detengono ancora oggi il controllo ed il monopolio. Col passare degli anni e con l’aumentato interesse verso il gioco, così ben attagliato alle scelte di vita, Cooperstown è diventata la più incisiva mostra della storia popolare degli Stati Uniti poiché attraverso il pantheon dei pionieri, dei giocatori, dei dirigenti e degli umpire scaturisce quel tessuto connettivo sociale che solo il baseball è riuscito ad idealizzare con la vita comune tra la gente.

 

Questa intrigante riflessione ha indotto Zev Chafets a scrivere “Cooperstown Confidential”, libro apparentemente pettegolo ma che da ultimo chiude bene il trittico su Cooperstown iniziato nel 1994 con “The Politics of Glory” di Bill James, libro fantastico,  e seguito nel 2007 da “Clarks of Cooperstown” di Nicholas Fox Weber. 

 

Dunque, pur esprimendo amabili e favorevoli commenti sulla Hall of Fame indicandolo come luogo decisamente da visitare per conoscere e meditare su quella pura filosofia del vivere ed intrinseca anima del popolo americano che è il baseball (cfr. “Il Giorno dell’Indipendenza” di Richard Ford) Zev  Chafets evidenzia energicamente l’incongruità ed il non oggettivo spirito del  regolamento di ammissione alla Hall of Fame riducendo la stessa ad una semplice icona di appassionati di parte e non a livello istituzionale


Infatti le apparenti selettive regole, in particolare la ipocrita Regola 5, di fatto sono state più volte adombrate o decisamente inattese e porta ad esempio come uno dei primi immortali introdotti nella Hall of Fame, il sempre citato Ty Cobb, in realtà non era altro che un notorio sociopsicopatico, forse un assassino, di certo un famoso razzista appartenente al Ku Klux Klan.

Ancora, poiché sempre connessi con il KKK, lo erano stati anche Tris Speaker e Rogers Hornsby per non parlare poi di Hank Greenberg e Joe Di Maggio fortemente collusi con la mafia.


E tutto questo mentre la Regola 5 sancisce che l’ammissibilità configura che il soggetto non solo deve primeggiare per qualità e capacità atletiche, ma soprattutto ed anche per integrità sportiva e virtù morali. Con i principi di questa Regola 5 infatti ci si è irrigiditi su Mark McGwire, Barry Bonds, Roger Clemens, Alex Rodriguez per un chiacchierato uso di sostanze dopanti per finire poi con Pete Rose mai perdonato per le sue scommesse clandestine.


Usati sfacciatamente diversi pesi e misure, ma è giusto tutto ciò? Al lettore allora resta la personale risposta concedendo o meno a Zev Chafets la onesta patente di verità interpretativa assoluta poiché in chiusura sommessamente afferma che sì, le placche dei vari personaggi presenti a Cooperstown sono un miscuglio di eroi e furfanti, ma questo è sinonimo “proprio come il resto dell’Umanità. D’altra parte il compito della Hall of Fame non è quello di selezionare Santi, ma solo coloro che in un modo o nell’altro hanno contribuito alla Grandezza del Baseball. E per i milioni di appassionati, questo è più che abbastanza”.



NOTA: per inciso e verità storica, chi scrive fu il primo a lanciare dalle pagine di Tuttobaseball, all’inizio degli anni ottanta, l’idea di realizzare una Hall of Fame del Baseball e del Softball italiani al fine di puntualizzare, attraverso i personaggi, la storia mitica e fantastica delle due discipline praticate in Italia. La sede da me indicata, per il significato che la stessa poteva dare al carisma della Hall of Fame, era la Città di Nettuno. Ci sarà una Famiglia Clarks che la realizzerà ? 


Michele Dodde

 

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