
Traduzione dell'articolo da Grantland.com dal
titolo:
Five Lessons We Learned From the 2014 MLB Season
Madison Bumgarner ha trascinato i Giants alla conquista del loro terzo titolo mondiale in cinque anni concludendo una stagione che ha coinciso con l’addio di una legenda del
baseball, un numero esagerato di infortuni occorsi ai lanciatori e le due finaliste delle World Series sopravvissute alla formula della Wild Card. Ora che il 2014 è ormai alle spalle, andiamo ad
analizzare cinque insegnamenti che ci ha lasciato per il 2015 e oltre.
1. Non è sufficiente una “Stella”
Barry Bonds non ha mai vinto un titolo mondiale, neanche Ted Williams, Ty Cobb, Ken Griffey Jr., Archy Vaughan, Juan Marichal, Willie McCovey, Rod Carew, Carl Yastrzemsky, Nap Lajoie, Fergie Jenkins, Andre Dawson, Ron Santo, Ernie Banks o qualsiasi altro giocatore che ha giocato per i Chicago Cubs nel corso dell’ultimo secolo.
Almeno Mike Trout e Clayton Kershaw, i due migliori giocatori di quest’era, sono in buona compagnia dopo che non sono riusciti a portare le loro squadre oltre le finali di divisione. Gli Angels di Trout hanno conseguito il maggior numero di vittorie nel 2014, poi hanno perso inaspettatamente la serie ALDS a zero contro i sorprendenti Royals.
I Dodgers di Kershaw, non solo sono usciti troppo presto dai playoff dopo aver vinto la NL West, ma in gran parte è dipeso dalle due prestazioni disastrose nella NLDS proprio del loro punto di diamante, Kershaw appunto.
Naturalmente i Dodgers si aspettavano una migliore prestazione da Kershaw, ma è anche vero che il manager Don Mattingly è stato costretto ad un utilizzo esagerato del suo asso mancino per sopperire alle scarse prestazioni del bullpen e per cercare di contrastare l’inefficienza dell’attacco che ha segnato solo tre punti nelle ultime due gare di qualificazione contro i Cardinals.
Pur tenendo conto che Trout ha battuto solo 1-12 nell’ALDS, non è stato lui l’unico responsabile per cui la squadra ha segnato solo sei punti in tre partite, e nemmeno ne è stato la causa la scarsa prestazione di C.J. Wilson in gara 3.
Anche se è stato detto tanto volte, vale la pena ripeterlo: Il Baseball non è il Basket. Una squadra non può contare solo sul proprio migliore giocatore nei momenti decisivi e pretendere che il resto della squadra si faccia da parte, a meno che quel giocatore non sia Madison Bumgarner, naturalmente.
Per arrivare fino in fondo nel baseball, è necessario che contribuiscano l’attacco, la rotazione dei partenti, il bullpen e i giocatori in panchina, non solo la loro “stella”.

2. La formazione del roster a ottobre è più importante del risultato conseguito in campionato
Gli Angels di Trout con 98 vittorie hanno accusato oltre il dovuto l’infortunio occorso al giovane asso Garrett Richards avvenuto in agosto e dello scarso rendimento nei playoff dell’altro talento Matt Shoemaker.
Gli Orioles con 96 vittorie hanno perso due pezzi importanti come Matt Wieters e Manny Machado per infortuni e successivamente Chris Davis sospeso dalla Lega, rendendo la squadra molto più vulnerabile a ottobre non avendo il roster al completo.
Al contrario, i Royals si sono presentati ai playoff con tutti i migliori giocatori in piena salute e poi, oltre ogni aspettativa, sono andati meglio di quanto lasciasse immaginare il loro record e la loro reputazione.
L’introduzione nel 2012 della nuova formula dei playoff ha raggiunto il suo obiettivo quest’anno aggiungendo altre due squadre come Wild Card che sono finite per essere delle vere e proprie outsider.
Sarebbe forse il caso di considerare che le squadre della Wild Card non siano poi così deboli come si vorrebbe far intendere. Il fattore campo nel baseball è quello che ha meno impatto rispetto a ogni altro sport professionistico del Nord America, significando che qualsiasi squadra della Wild Card con solo 88 vittorie conseguite durante il campionato, ha le stesse probabilità d’inserirsi per la conquista del titolo se ben bilanciato nel roster e costruito per ottobre.

3. I manager hanno il loro peso … ma fino a un certo punto
Viviamo in un’epoca in cui non è sufficiente solo decantare la bravura di un giocatore. I tifosi, armati di carta e penna, pagine e pagine di statistiche, MLB.TV, Twitter e quant’altro, fanno delle critiche un’ossessione a tempo pieno. E non sempre sono fuori luogo: Quando vediamo un rilievo scarso entrare in una situazione di risultato pari solo perché è il sesto inning e non il nono, o quando un buon battitore è spostato verso il basso del lineup o rimosso perché ultimamente ha battuto 4 su 34, allora è anche lecita la critica.
Ned Yost non è mai stato considerato un grande stratega, ma ciononostante è riuscito a portare i suoi Royals a disputare gara 7 delle World Series, considerando pure che nel mese di ottobre ha migliorato l’uso delle sue tattiche.
Mentre Bruce Bochy certamente ha messo del suo nell'aiutare i Giants a conquistare il titolo. Bisogna ammettere che è molto più facile per un manager essere un genio quando ha a disposizione un lanciatore come lo fu Pedro Martinez nell’ALDS del 1999.
Seguendo le statistiche del “Managerial Meddling Index”, risulta che Clint Hurdle dei Pirates è stato il manager che ha avuto più ingerenza nel gioco della squadra, mentre Matt Williams dei Nationals è risultato ultimo, ma entrambe le squadre sono arrivate ai playoff.
A questo punto possiamo desumere che diversamente dagli altri sport, in particolare per il football americano, raramente i tecnici nel baseball hanno un impatto sul risultato, almeno per quanto riguarda la tattica e a dispetto di quanto abbiamo visto nei playoff. Quindi, se pensate che il vostro manager è il peggiore stratega mai esistito, sappiate che è in buona compagnia. Persino Bruce Bochy ha avuto la sua parte di critiche durante la postseason, ma sono i giocatori che vincono o perdono le partite; i manager molto spesso sono solo dei commissari o dei semplici osservatori.

4. La campagna acquisti può influenzare più di quanto si crede
Le molte ed esagerate critiche mosse per le acquisizioni di James Shields e Wade Davis da parte dei Roylas nel 2012 si sono mostrate del tutto infondate. Le critiche erano basate sul fatto che, se era vero che i Royals avevano bisogno di un lanciatore dominante, ci si chiede se era proprio necessario rinunciare a Wil Myers e altri tre prospetti nella transazione per ottenere Shields.
In effetti, coloro che hanno criticato eccessivamente l’operazione, si sono focalizzati troppo sulla perdita di Myers, tralasciando di considerare tutti i benefici che Kansas City avrebbe tratto dalle acquisizioni di Shields e Davis. Davis era stato un mediocre partente a Tampa Bay, ma un rilievo dominante durante l’ultima stagione. Si tende troppo a sottovalutare l’importanza dei rilievi dal momento che il successo del bullpen è fugace, e anche in considerazione del fatto che molti rilievi sono ex partenti che non hanno avuto tanto successo. Ma Davis non è stato semplicemente un buon rilievo quest’anno per i Royals, è stato straordinario registrando una delle migliori prestazioni come rilievo da quando la specializzazione del bullpen fu introdotta da Tony La Russa.
I meriti di Shields sono meno visibili. Anche se non ha lanciato bene nella postseason, è stato determinante per raggiungere i playoff. Oltre ad avere lanciato bene nelle due stagioni con i Royals confermando il ruolo di asso dei partenti, Shields ha aiutato i compagni in tanti altri modi. Ad cominciare dal 2008, Shields è stato utilizzato più di ogni altro partente, ad eccezione di due, e ha lanciato più inning di ogni altro lanciatore dell’AL in campionato sin dalla gara di apertura del 2013.
Tutti quegl'inning lanciati hanno aiutato Yost a preservare il bullpen per i playoff, ed il gran lavoro ha aiutato le due stelle nascenti del 2014, Yordano Ventura e Danny Duffy, a trovare maggior tranquillità, limitando le loro prestazioni a 5/6 inning in quanto il bullpen non era stato sottoposto a super lavoro, e non dovendo rischiare più del dovuto le loro giovani braccia.
Inoltre, Duffy dà merito a Shields per avergli insegnato l’importanza del cambio e per averlo guidato passo dopo passo nella sua prima stagione nelle majors. Da non sottovalutare il fatto che Shields ha portato con sé da Tampa la tradizioni delle grandi feste e celebrazioni dopo le vittorie, balli con luci psichedeliche e fuochi d’artificio rendendo tutto più divertente come faceva con i Rays.
Rimane veramente difficile quantificare quanto Davis e Shields abbiano influito sui risultati dei Royals. Resta arduo anche comprendere non solo gli elementi evidenti, ma anche quei fattori invisibili come leadership e spogliatoio. I dirigenti dei Royals probabilmente avevano già calcolato questi fattori quando hanno scambiato Myers, e probabilmente non sarebbero arrivati alle World Series senza di loro.
Anche le altre società dovrebbero tenere presente questi elementi quando formano il roster. Pertanto, non dovremmo limitarci ciecamente a criticare gli addetti ai lavori solo perché è il loro lavoro, ma vale la pena soffermarci a riflettere su ciò che non conosciamo, e cercare di capire come e se siamo in grado di sapere perché una certa decisione è stata presa.

5. E’ più facile costruire una squadra campione che comprarla
I Giants non erano tra i favoriti ad inizio stagione. Il totale degli stipendi da pagare per il 2014 era di 154 milioni di dollari, risultando il sesto più alto fra tutte le società. Oltre al contratto biennale stipulato con Tim Hudson, San Francisco è rimasta lontana dal mercato dei Free Agents e dalle grosse transizioni.
La struttura della squadra è formata dai giovani del vivaio: Buster Posey e Pablo Sandoval, Brandon Belt e Brandon Crawford, Joe Panik e Sergio Romo e, ovviamente, Bumgarner.
Per aiutare a comprendere la conquista di tre titoli in tre anni, vanno aggiunti alla lista anche Tim Lincecum e Matt Cain! La società che una volta sbancò per acquistare Barry Bonds (grandioso!) e Barry Zito (non troppo bene!), era ossessionata dal fatto di acquistare i grossi nomi sul mercato dei Free Agents, preferendo crescere i loro talenti nelle minors. Anche quando la società si è rivolta al mercato libero per l’acquisizione di un giocatore, i Giants hanno fatto di tutto per considerarlo uno dei loro, sia in termini di abilità che di inserimento nel roster, e solo allora confermarne la permanenza, come è avvento con Hunter Pence.
Una squadra, anche se sembrerebbe una possibile dinastia, rappresenta ben poco nel lungo temine. Lo scouting e lo sviluppo dei giovani restano elementi fondamentali e indispensabili. La tesi sembra trovare conferma nel constatare come squadre sotto valutate quali i Giants, le ancora più giovani e trascurate squadre quali i Royals, e persino i favolosi Yankees degli anni 90 con i suoi potenti battitori, mai avrebbero potuto raggiungere tali risultati senza l’inserimento dei loro giovani prospetti.
Il punto massimo delle prestazioni di un giocatore di baseball sembra essere quando essi sono ancora nei loro anni 20 e non nei 30. Il che fa supporre che generalmente non è un buon affare spendere tanto per i Free Agent sul mercato che normalmente entrano nella categoria dopo i 30 anni.
La verità è che non c’è modo per battere il sistema. Nell’era di Moneyball le società erano ossessionate dalla ricerca di giovani talenti dei college, e assumendo ancora un maggiore rischio, persino dalla ricerca nelle scuole superiori, specialmente se lanciatori. Poi salta fuori un Nolan Ryan o un Josh Beckett o un Madison Bumgarner ricordandoci che spesso più alto è il rischio, maggiore è la ricompensa. Le società che dedicano i loro sforzi alla ricerca del prossimo eroe liceale che li porterà alla gloria, favoriranno le altre società nella ricerca dei migliori giocatori dei college, delle leghe internazionali e ovunque si possono trovare talenti.
Per il momento i Giants sono campioni. L’anno prossimo 30 squadre continueranno la ricerca della gloria nella speranza di trovare il giovane talento che li aiuterà a conquistare il titolo finale. Nessuno mai avrà la giusta risposta.
Considerando quante nuove, pazze e impossibili storie ci offra questo sport ogni anno, forse è meglio che tutto resti così com’è!
Articolo scritto da Jonah Keri e tradotto da Frankie Russo
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